Fusione nucleare: fallimento e successo fra propaganda e realtà.

Di Falaghiste

12 dicembre 2022, il -Sole 24 ore- titolava: “Fusione nucleare, l’annuncio Usa: -Svolta rivoluzionaria, ma per l’uso commerciale ci vorranno decenni- Martedì l’annuncio: Scoop del Washington Post: la scoperta storica nei Lawrence Livermore National Laboratory in California”. -.

Subito dopo, gli altri media mainstream, meno specializzati, e più portati alla manipolazione, rispondevano celermente con tutta la loro potenza massiva. Spinti e sospinti dalle lobbies nucleariste, davano la notizia a modo loro.  Praticamente ignorando la precisazione finale: “Siamo vicini alla scoperta di una energia inesauribile e assolutamente ecologica”. I decenni ancora necessari per l’uso commerciale si perdevano nell’imperscrutabile vortice della comunicazione interconnessa, e univoca, occidentale e occidentalista.

Tuttavia, non sono mancate le voci fuori dal coro. Per esempio, qui da noi, pochi giorni dopo l’annuncio, il “Fatto Quotidiano” pubblicava un art. di Maro Agostinelli e Massimo Scalia (Vedi nota*):” Fusione nucleare, soltanto il Sole è rinnovabile”.

Essi non sostenevano soltanto che un uso industriale e conveniente della fusione nucleare non sarà mai possibile ma si spingevano oltre: “Sulla terra è impensabile ottenere una disponibilità di energia illimitata e a basso costo…. Il progetto USA -a iniezione- non assicura continuità e produce gravi danni all’ambiente, oltre alla sottrazione di risorse a progetti di interesse sociale…. Nonostante la propaganda i reattori produrrebbero tonnellate di materiale radioattivo e dovrebbero utilizzare elementi di difficile reperimento…Quanto al vanto proclamato dal Livermore, se si considera tutta l’energia impiegata dai laser e non solo quella che incide sul target, si ha un rendimento da prefisso telefonico…. Maldicenza? vedremo il rendiconto scientifico dell’esperimento.” In quanto agli elementi di difficile reperimento, si tratta di trizio e deuterio, inesistenti allo stato naturale E a questo punto il pensiero va agli attuali conflitti bellico-commerciali fra grandi potenze, per il possesso dei semiconduttori (metalli e terre rare) necessari alle produzioni di punta delle industrie multinazionali.

Ma l’esperimento può considerarsi un successo?  In linea di principio, nella sperimentazione di base qualsiasi risultato è potenzialmente utile, se non altro per esclusione. Allora, se l’obbiettivo dell’esperimento del Livermor era dimostrare che la fusione nucleare controllata sulla Terra è possibile, si può dire che sia stato un successo. Invece, se si voleva ottenere un surplus significativo per certificare che la fusione nucleare sarà in futuro la principale fonte di energia, sarebbe lecito considerarlo un fallimento. Ma, probabilmente, la verità sta nel mezzo. Per esempio, se oggi ci fosse qualcuno capace di correre i cento metri in meno di nove secondi e cinquantotto decimi (record mondiale maschile) non significa affatto che in futuro sarà una prestazione alla portata di tutti, ma comunque rimarrebbe una notevole impresa.

Naturalmente, sport e scienza non sono la stessa cosa, in quanto i risultati sportivi sono verificabili, mentre i risultati scientifici, e le relative conseguenze sociali ed economiche, rimangono in gran parte patrimonio esclusivo degli addetti, nell’opacità dei vari interessi economici contrapposti. Tutto questo all’interno di una guerra senza esclusione di colpi fra lobby e potenze imperialiste. Caratteristica, ormai ridondante, dell’antropocene entropizzante. Cioè, del dominio assoluto dei Sapiens sulla Terra, espresso nella ricerca spasmodica di energia, nel consumo progressivo di materie prime e nella frammentazione/distruzione degli ecosistemi. E che declina l’efficienza in termini esclusivamente tecnici e monetari: rispettivamente, come minima potenza impiegata in rapporto al lavoro svolto e quota di profitto sul capitale investito.  Con ciò escludendo gli esseri viventi, ineluttabilmente corporei, sensibili, in quanto essi stessi prodotti naturali.

Chi ha tratto vantaggio dall’esperimento del Livermore? Sicuramente i nuclearisti di ogni specie; specialmente gli sponsor di ITER. Si tratta di un progetto europeo che mira a costruire la macchina per la fusione più grande al mondo. La propaganda sostiene che ITER crea crescita economica e opportunità di lavoro, ponendo nel frattempo l’UE in prima linea nella ricerca mondiale sulla fusione. L’obbiettivo è previsto per il 2050, che storicamente è dietro l’angolo, ma abbastanza lontano da non suscitare interesse o preoccupazione nel quadro temporale di una società pietrificata nel presente.

Ma anche le grandi imprese private e semipubbliche, e i loro dirigenti, che propendono per le centrali a fissione di quarta generazione, devono aver assunto linfa vitale (opportunità di attrarre capitali). Come il nostro -ecologico- ex ministro Cingolani, uomo per tutte le stagioni, nominato AD di -Leonardo-dal governo Meloni. E anche i lobbisti del parlamento europeo, che da non molto hanno inserito l’energia nucleare nella lista delle energie rinnovabili (quindi ecologiche a sentir loro), devono aver brindato a champagne, nei ristoranti gourmet che solitamente frequentano. D’altronde, chi sa la differenza fra fusione e fissione nucleare? Insomma, un’altra campagna di massa per fare ingoiare ai popoli dei paesi che non ce l’hanno le centrali nucleari purchessia.

Sulla questione delle -scorie radioattive- prodotte dalla fusione se si va cercare nella pubblicistica ci si perde nel caos. La propaganda più bieca strilla ai quattro venti lo slogan: “la fusione nucleare non produce scorie radioattive”. Invece, i media un po’ meno deficienti le minimizzano: da nulle diventano poche. Un’indicazione di come stanno le cose, si trova nel sito del CNR (Centro nazionale delle ricerche). Il quale, nel commentare l’esperimento Yankee, sostiene che la fusione non comporta scorie nucleari ad alta intensità radioattiva, ma non precisa di quali altri tipi di scorie si tratta, se di media o bassa intensità e in che quantità. E la cosa non è irrilevante, dato che le scorie nucleari ad alta intensità rimangono pericolose per migliaia di anni, quelle di media intensità per secoli e quelle a bassa intensità per venti/trent’anni. Se fossero di media intensità, sarebbero comunque una minaccia per le generazioni future, considerando che il tempo in ogni caso è un moltiplicatore del rischio.

L’impressione è che a tutto ciò sottenda un malinteso: la confusione fra scorie nucleari e rifiuti radioattivi. Generalmente per -scorie- nucleari si intendono i residui di materiale prodotti all’interno del reattore (l’uranio e plutonio delle centrali a fissione) e sono sempre di alta intensità. Mentre i rifiuti, o materiali, radioattivi sono i componenti della struttura del reattore e le barriere di contenimento a contatto. Per cui, siccome il procedimento di fusione avviene (avverrà?) fra isotopi di idrogeno, producendo atomi di elio, si direbbe che non vi saranno scorie ad alta intensità radioattiva. Non è nemmeno chiaro che fine faranno le scorie del trizio non coinvolto nella fusione, che per quanto minime saranno sicuramente radioattive. Insomma, ognuno tira l’acqua al suo mulino, destreggiandosi abilmente o goffamente fra superficialità, incompetenza o inganno.

Le centrali nucleari sono una roba talmente grossa, che non si dovrebbero diffondere stupidaggini, anche in buona fede, fidando sul fatto che: “La massa bruta non ci capirà mai niente “. Naturalmente è lecito che la -gente comune- abbia priorità diverse da approfondire le questioni nucleari, anche se probabilmente in Italia, a netto del referendum che bloccò le centrali nucleari, sussiste ancora una paura diffusa. Ma di fronte ai costi in crescita dell’energia e alla crisi ambientale (spacciata per crisi climatica), non sarà la paura a fermare i nuclearisti, piuttosto un’opposizione di massa sulla base di una proposta alternativa alla ricerca utopica dell’energia assoluta. Cioè, un modo non mercantile ed energivoro di produrre i beni necessari alla riproduzione degli esseri viventi in condizioni migliori di quelle attuali.

Purtroppo il panorama, se non proprio deprimente, non è all’altezza dei tempi. Gli stessi Agostinelli e Scalia, tanto precisi nel denunciare le criticità tecnologiche e commerciali della fusione, non lo sono altrettanto nel proporre una prospettiva che non sia la pura sostituzione dei fossili con le fonti di energia rinnovabili: eolica, fotovoltaica e idroelettrica. E siccome Il progetto ITER non sarà operativo prima del 2050, sostengono che a quel punto sarà inutile, in quanto :” la percentuale di elettricità da fonti rinnovabili, nella EU, sarà vicina al 100%”. Al cento per cento di che? Forse della domanda complessiva mantenendo invariati i consumi.? Improbabile!  Inoltre, che ne sarà del resto del mondo, in particolare dei paesi più poveri?  Quando si ragiona di energia bisognerebbe farlo a livello globale (dell’ecosfera), ovviamente con grande attenzione ai particolari. Il problema è che l’ambientalismo borghese, o presunto riformista, pensa di cambiare tutto senza cambiare niente. Come se abbandonare un modo di produzione energivoro secolare non presupponesse uno stravolgimento fondamentale dei rapporti inter-sapiens e dei sapiens con l’ambiente naturale.  E relativamente delle strutture e delle gerarchie sociali. Una rivoluzione, insomma.

Invece, questi ambientalisti proni al potere politico vigente: scienziati e attivisti, guru ed eletti in parlamento, autori di inchieste e documentari su quanto e come ci stiamo distruggendo, rimangono abbarbicati all’idea dello sviluppo sostenibile: crescita del PIL, ovvero della produzione di merci, ma senza danneggiare la natura (e gli affari). E così derapano anch’essi nell’ ossimoro positivista borghese: credono nella scienza ma non traggono insegnamento dai suoi fondamenti; rimangono ciechi perché a loro conviene. E i fondamenti ci dicono che più energia e più merci prodotte corrispondono al deterioramento dell’ambiente naturale, a prescindere, a parità di potenza, dalla qualità di energia utilizzata.

Certamente le fonti rinnovabili, non producendo CO2, sono molto meglio degli idrocarburi, ma, se si vuol continuare a produrre oggetti in gran parte inutili e poco duraturi, non saranno risolutive della crisi ambientale. In sostanza, opporsi al vigente modo di produzione criticandone l’inefficienza e la scarsa qualità dei prodotti è una strategia perdente. In quanto lo spreco di risorse e dissipazione di energia (entropia) sono gli elementi originari e fondanti del sistema capitalistico. Utile ricordare che i procedimenti industriali per realizzare le cellule fotovoltaiche producono scorie tutt’altro che ecologiche, acide e radioattive, oltre lo sbancamento di interi territori. Insomma: niente si crea, niente si distrugge, tutto si trasforma… e tutto ha un costo in termini ecologici.

Ma torniamo alla fusione nucleare, ipotizzando che funzionerà alla grande e che l’umanità futura sarà fusionista: essa ci servirà per continuare a produrre montagne di rifiuti? Quale sarebbe la convenienza ecologica? E dunque qual è la via giusta da prendere: lo sviluppo (crescita) delle forze produttive andrebbe arrestato? Tutto sta nel definire cosa si intende per forze produttive. Per questo occorre considerare lo sviluppo del capitalismo su scala mondiale: “lo sviluppo della scienza, della tecnologia e della tecnica si converte costantemente, per via dell’accumulazione del capitale, in uno sviluppo di forze distruttive che degradano le fonti stesse della ricchezza, la natura e gli esseri viventi”. In pratica, il modo di produzione capitalistico non sviluppa, come sembra, ma deprime le forze produttive. Infatti, se le materie prime avessero un costo monetario quantificato, la diseconomia schizofrenica di questo sistema sarebbe evidente.

Relativamente, per una via di uscita dalla crisi ambientale tutt’altro che utopica, il concetto di –sviluppo sostenibile delle forze produttive– andrebbe sostituito con –massimo sviluppo delle forze produttive, nel senso di massima efficienza ambientalmente compatibile-. Così, il fine della crescita sarebbe la specie umana, in quanto al tempo stesso naturale e principale forza produttiva.  Questo a garanzia dei bisogni materiali della società attuale, senza compromettere la possibilità di soddisfare i bisogni delle generazioni future.  Le vere ricchezze diventerebbero i valori d’uso e non di scambio (gli oggetti utili e non il denaro) il tempo disponibile per le attività ricreative, le facoltà degli individui e le loro relazioni sociali, liberate dallo sfruttamento e dall’alienazione.

Nota

Mario Agostinelli (1945) ha lavorato come ricercatore chimico-fisico per l’ENEA presso il CCR di Ispra. Dal 1995 al 2002 è stato Segretario generale della Cgil Lombardia e nel 2004 ha dato vita al movimento- Un’altra Lombardia- con l’obiettivo prioritario di rinnovare dal basso le forme della rappresentanza. Ha ricoperto un incarico istituzionale come Consigliere regionale in Lombardia, eletto come indipendente nelle liste di Rifondazione Comunista, e nel 2009 ha aderito a Sinistra Ecologia Libertà. Sul piano internazionale si è contraddistinto per un intenso impegno nel Forum Mondiale delle Alternative e nel Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre.

Massimo Scalia ha insegnato fisica matematica al Dipartimento di Matematica della Sapienza Università di Roma. Fondatore della Lega per l’Ambiente, ora Legambiente, delle Liste Verdi è stato tra i primi parlamentari eletti negli anni ottanta, poi capo gruppo e ancora primo presidente della Commissione bicamerale d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti. Il suo nome è legato alle battaglie contro il nucleare e per le energie sostenibili. Dopo l’esperienza nei Verdi è oggi tra i fondatori e i dirigenti nazionali degli Ecologisti Democratici e del Movimento Ecologista.

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