Ecologia: l’impronta ecologica

A cura di Falaghiste

L’ impronta ecologica è uno strumento che ci consente di calcolare la sostenibilità ambientale delle attività umane localmente globalmente, a seconda della -scala- presa in considerazione. 
Il concetto di impronta ecologica è stato introdotto da Mathis Wackernagel e William Rees nel loro libro Our Ecological Footprint: Reducing Human Impact on the Earth, pubblicato nel 1996. A partire dal 1999 il WWF aggiorna periodicamente il calcolo dell’impronta ecologica nel suo Living Planet Report.
Nel 2003 Mathis Wackernagel e altri hanno fondato il Global Footprint Network, che si propone di migliorare la misura dell’impronta ecologica e di conferirle un’importanza analoga a quella del prodotto interno lordo. Il Global Footprint Network collabora attualmente con 22 paesi – tra cui Australia, Brasile, Canada, Cina, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Messico, Regno Unito, Russia, Sudafrica, Svizzera – e con agenzie governative, autorità locali, università, istituti di ricerca, società di consulenza e associazioni. In Italia collaborano con il Global Footprint Network il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche e dei Biosistemi dell’Università di Siena, l’Istituto Ricerche Economico Sociali della Regione Piemonte, la società di ricerca e consulenza Ambiente Italia Srl, la Rete Lilliput.
In Italia l’impronta ecologica viene calcolata non solo per l’intera nazione, ma anche su scala regionale e locale. Il Cras (Centro ricerche applicate per lo sviluppo sostenibile) ha calcolato l’impronta per le regioni Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Puglia, Sardegna, Sicilia e Toscana; l’Istituto Ricerche Interdisciplinari sulla Sostenibilità, costituito dalle Università di Torino e di Brescia, ha calcolato l’impronta ecologica per le province di Ancona, Ascoli Piceno, Cagliari, Forlì-Cesena, Pesaro Urbino, Siena e per il comune di Follonica. Anche la Provincia di Bologna ha pubblicato i calcoli relativi all’impronta del proprio territorio.
L’impronta ecologica misura l’area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria a rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e ad assorbire i rifiuti prodotti. Utilizzando l’impronta ecologica è possibile stimare quanti “pianeta Terra” servirebbero per sostenere l’umanità, qualora tutti vivessero secondo un determinato stile di vita.
Confrontando l’impronta di un individuo (o regione, o stato) con la quantità di terra disponibile pro-capite (cioè il rapporto tra superficie totale e popolazione mondiale) si può capire se il livello di consumi del campione è sostenibile o meno.
Per calcolare l’impronta ecologica si mette in relazione la quantità di ogni bene consumato (es. grano, riso, mais, cereali, carni, frutta, verdura, radici e tuberi, legumi, idrocarburi, elettricità, acqua.) con una costante di rendimento espressa in kg/ha (chilogrammi per ettaro). Il risultato è una superficie espressa con l’unità di misura “ettaro globale”.
Si può esprimere l’impronta ecologica anche da un punto di vista energetico, considerando l’emissione di diossido di carbonio espressa quantitativamente in tonnellate, e di conseguenza la quantità di terra forestata necessaria per assorbire le suddette tonnellate di CO2.
L’importanza di questo indicatore complesso è data dall’approccio, che ribalta l’impostazione di quelli che l’hanno preceduto. Se in passato ci si domandava quante persone potevano essere sostenibilmente insediate su un dato territorio, l’Impronta Ecologica si distingue perché si domanda quanto territorio è necessario per sostenere quella data popolazione (secondo il suo determinato stile di vita e di consumo).Il principale vantaggio è che ogni valore (energetico o di consumo di risorse) inserito nell’indicatore viene tradotto in termini di spazio, rendendo in maniera immediata più universalmente comprensibile il consumo di risorse di una popolazione in base ai suoi consumi attuali.
Lo svantaggio è che, in conseguenza di questi risultati intuitivamente più comprensibili, si possono però generare incongruenze comunicative. Se ad esempio si dice che al passo dei consumi attuali sarebbe necessario un 20% di pianeta Terra in più molte persone penseranno ad un errore o ad una esagerazione, in quanto appare subito contraddittorio e insensato il sostenere di star consumando più di quel che si ha già. A questa obiezione si dovrebbe rispondere che le porzioni di territorio in eccesso che si stanno consumando, corrispondono a territori “avanzati” o “risparmiati” dal passato. Ad esempio l’uso di idrocarburi corrisponde al consumo di risorse territoriali accumulate dal pianeta al tempo della scomparsa dei dinosauri. In altri termini: lo spazio della terra non andrebbe letto come una superficie unica, ma stratificata come una cipolla e lo spazio in più corrisponde ad uno spazio/tempo che le generazioni di oggi starebbero intaccando attingendo dalle risorse ereditate dalle generazioni precedenti.

Si considera l’utilizzo di sei categorie principali di territorio:

Terreno per l’energia: Superficie necessaria per assorbire l’anidride carbonica prodotta dall’utilizzo di combustibili fossili.
Terreno agricolo: Superficie arabile utilizzata per la produzione di alimenti ed altri beni (iuta, tabacco, ecc.).
Pascoli: Superficie destinata all’ allevamento.
Foreste: Superficie destinata alla produzione di legname;
Superficie edificata: Superficie dedicata agli insediamenti abitativi, agli impianti industriali, alle aree per servizi, alle vie di comunicazione.
Mare: Superficie marina dedicata alla crescita di risorse per la pesca.

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