Osservazioni e riflessioni sulle posizioni espresse nell’intervista alla lavoratrice CISA

Di Falaghiste

L’intervista a Sara Cavina (operaia della CISA di Faenza) sulla crisi dell’azienda ha il merito di informare su alcuni punti piuttosto significativi e originali del comportamento dei proprietari. Primo fra tutti l’idea di “fare magazzino” che rispetto alle odierne strategie produttive “Just in time” può considerarsi una vera e propria eresia. Inoltre, la tempistica con cui l’azienda si è mossa (sulla quale ci informa Sara), sembrerebbe testimoniare un salto di qualità tattica rispetto ad altre situazioni simili, come la vertenza Electrolux di Forlì.

Tale crisi iniziò con l’annuncio di delocalizzazione dell’intero gruppo in Polonia, e finì come al solito: aumento dei ritmi di lavoro, “cappellate” di soldi pubblici e vantaggi fiscali all’azienda. La “firma” di tale porcheria fu salutata dai soliti e grotteschi inni alla vittoria dei Sindacati Confederali, del Governo e del sistema mediatico al servizio dei padroni.

Come emerge dall’intervista, i lavoratori sono pienamente coscienti del rischio che anche alla CISA possa finire in questo modo. Tuttavia, a mio parere, è sul da farsi nell’immediato, e cioè sulla tattica di lotta e sulla strategia da adottare contro la Proprietà da parte dei lavoratori che emergono contraddizioni e qualche limite di prospettiva.

La lavoratrice sostiene infatti che per il momento convenga aspettare a mettere in atto forme dure di lotta, fino a che non saranno emerse le vere intenzioni dell’azienda; e cioè se davvero vuole delocalizzare o, come l’Electrolux , cerca soltanto di spremere ulteriormente lo Stato e i lavoratori.

Quindi, si pensa erroneamente, conviene limitarsi a iniziative di propaganda e ricerca di solidarietà e sensibilizzazione nel territorio: nelle istituzioni, fra i lavoratori, fra le forze politiche e della società civile.

Ma questo è ciò che è avvenuto anche all’ Electrolux per mesi consecutivi, con il solo risultato di stancare e dividere i lavoratori e non creare alcun problema al padrone; il quale può cedere qualcosa soltanto se ha paura di rimetterci di più.

Questo non vuol dire che la ricerca di appoggi e solidarietà esterna sia inutile, anzi può essere determinante, oltre che di esempio per altre situazioni simili, ma solo se basata su una precisa tattica di lotta e su un comune obbiettivo finale.

Altrimenti è il solito solidarismo generico delle anime belle, buono solo per perdere tempo.

Ci vuole una strategia chiara: discussa, decisa e votata dai lavoratori della CISA riuniti in assemblea plenaria e non nel chiuso delle ristrette direzioni sindacali.

Tale strategia deve essere altrettanto forte e contraria all’attacco del padrone. Per la semplice ragione che se uno ti spara con il cannone non puoi rispondergli con la fionda ma se ti riesce devi minacciarlo con un missile.

Per cui l’obbiettivo dichiarato dei lavoratori non può essere che il mantenimento della piena occupazione con il ritiro del piano di ristrutturazione dell’azienda. Solo così, a parità di condizioni, qualunque siano e si determineranno, i lavoratori potranno ottenere il massimo possibile.

Spesso si sente inoltre dire che, se l’azienda è davvero determinata a de localizzare, “non c’è niente da fare” e che, in questo caso, l’obbiettivo massimo sarebbe ottenere una congrua buona uscita per i lavoratori.

Ma a parte il fatto che comunque sarebbero cifre irrisorie rispetto alla perdita del lavoro e alla ricaduta sociale sul territorio, perché ritardare la lotta e non puntare sull’ ipotesi che l’azienda in realtà non abbia tutto questo bisogno di delocalizzare?

E poi, che ci sia un calo della domanda sarà anche vero, ma se la produzione continua vorrà pur dire che qualcosa si vende. E allora perché non prendere in considerazione il blocco delle merci in uscita?

Infine, se si riconosce al padrone il diritto di chiudere e di licenziare centinaia di lavoratori in cambio di un’elemosina, allora si è già perso in partenza. Perché anche in questo caso, sempre che si rimanga uniti e determinati, c’è una possibilità: rivendicare la nazionalizzazione dell’azienda senza indennizzo alla proprietà e sotto il controllo dei lavoratori e su questa ipotesi vi sono esempi reali di lotte concluse con la vittoria piena dei lavoratori.

Insomma, se non si comincia a mettere in discussione il diritto dei proprietari di comandare sulla produzione anche la crisi “CISA” finirà con un’altra sconfitta per l’intero mondo del lavoro.

E sarebbe un delitto davvero, perché sabato scorso i lavoratori hanno dimostrato una forza davvero incontenibile, ma se questa forza non verrà indirizzata verso la giusta direzione, si perderà ancora una volta nel vento.

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