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Aspettando il 25 aprile, spazzoliamo la storia contropelo

di Maddalena Robin

Sono la maggioranza coloro che, nel nuovo medioevo che stiamo vivendo, fanno a gara nel dichiararsi non-ideologici, anti-ideologici, post-ideologici, tanto che professare una ideologia sembra essere diventato il reato più grave, la madre di tutte le colpe.

L’ideologia è il mondo della memoria. è l’Idea, che indica la meta finale e conclusiva dell’emancipazione umana, l’anti-ideologia è, invece, per sua indole, il mondo dell’oblio, del qualunquismo senza nessuna direzione.

La politica senza ideologia, in cui tutto si consuma di giorno in giorno in una banalità vissuta ed immediatamente dimenticata, fa parte della logica culturale del tardo-capitalismo, imperante da alcuni decenni, che ha contribuito a banalizzare la Storia distorcendola per convenienza ed opportunismo.

La Storia è diventata il discount della politica anti-ideologica che, abbandonato ogni senso di continuità e memoria, ha sviluppato un’incredibile capacità di saccheggiare la Storia stessa.

E sono proprio questi gli obiettivi che il potere politico ha perseguito negli ultimi anni, in una instancabile rivisitazione falsificata della storia, che fa a pugni col buonsenso: si ricordi, ad esempio, la proposta di legge, il decreto 1360, che chiedeva di mettere sullo stesso piano morale i partigiani della liberazione con i nefasti manipoli di Salò, mercenari e al servizio dei nazisti per la continuità dello schiavismo e del genocidio di razza.

Ricordare il 25 aprile per chi è materialista storico, significa innanzitutto dover restituire alla Storia la sua complessità, utilizzandola come laboratorio sociale e non certo come un supermarket dell’idea ad uso e consumo dell’attualità.

Perché il mito-menzogna degli “italiani brava gente” si è fatto strada?

Perché si avviato un progetto di delegittimazione dei partigiani?

Questi interrogativi sono tutti riconducibili ad un comune denominatore: il recupero di politiche espansioniste e imperialiste da parte dello Stato italiano (indipendentemente dal colore politico dei governi al comando); perché, è evidente, se la memoria collettiva rimuove i crimini precedenti, diventa più facile spacciare la teoria della guerra “umanitaria”.

La delegittimazione dei partigiani è legata allo stesso percorso mentale: se la guerra “umanitaria” si trova ad occupare un territorio per “liberarlo”, è ovvio che ci si imbatterà in oppositori, e questi oppositori sono per l’appunto i partigiani.

È evidente quindi che il partigiano non può essere considerato come un liberatore (in tutte le sue varianti), ma deve essere descritto dalla meta-narrazione imperialista come un “terrorista”.

Sia chiaro, non si tratta di denunciare un disegno occulto, o trame complottiste; si tratta semplicemente di prendere atto di un dato ineluttabile e facilmente visibile: è stata cancellata la memoria e distorta la realtà storica.

Chi sono i responsabili di questa situazione? Non solo la destra erede del fascismo (oggi ormai sdoganata e al governo con tanto di ministri) ma anche i vari esponenti politici di centrosinistra sono responsabili e complici di questo processo di banalizzazione storica al servizio della pacificazione nazionale.

Possiamo affermare, in tutta onestà, le responsabilità profonde, possono essere individuate sin dal 1945. Questo percorso è stato possibile, infatti, perché all’indomani della liberazione si è spacciato il mito della Resistenza come esperienza nazionale condivisa. Si è spacciata per buona l’idea che la Repubblica italiana fosse nata dalla Resistenza. È vero invece il contrario, ed è necessario dirlo senza mezzi termini, la Repubblica (borghese) italiana è nata nonostante la Resistenza.

All’indomani della liberazione si è assistito ad un’autentica continuità fra lo stato fascista e la democrazia repubblicana. Questo è necessario sottolinearlo sia per amor di verità per ricordare coloro che hanno combattuto per una società diversa ma anche e soprattutto per apprendere una grandiosa lezione dal passato: bisogna quindi guardarci da chi vuole modificare la storia per affermare nel presente un nuovo autoritarismo fatto di razzismo e discriminazioni nei confronti di ogni “diversità”, di negazione dei diritti dei lavoratori, di repressione poliziesca del dissenso, di annientamento di ogni garanzia sociale.

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