Democrazia sì, senz’altro, ma quale?

Di Falaghiste

Nell’antichità arcaica, la storia del mondo non poteva essere narrata con la scrittura: veniva diffusa tramite il mito. Con la mitologia si diffondeva una precisa idea del mondo: della sua creazione, del funzionamento della natura e a quale morale la rettitudine dovesse ispirarsi. I re, le caste guerriere e sacerdotali, incarnavano l’ideale di uomo; a loro toccava, per investitura divina, impugnare lo scettro del comando. Agli altri, alla stragrande maggioranza, non restava che obbedire, nella sola speranza di ricevere un premio, a discrezione del principe, in cambio della loro fedeltà. Con l’avvento del cristianesimo, il premio per la fedeltà dei semplici si trasferiva dalla terra all’aldilà: dopo la morte tutti gli individui sarebbero stati uguali, sempre che in vita avessero seguito i precetti della Chiesa.

Nella modernità, il mito e la religione sono diventati la ricerca della felicità; la felicità del singolo, il quale, però, per soddisfare sé stesso e legittimare la propria ricchezza, deve anche operare per il bene comune.

Sicché l’egoismo e non la collaborazione sono oggi la sola ragione del progresso sociale, a condizione che vi siano delle regole, affinché l’equilibro fra individuo e società non degeneri in un conflitto.

Tali regole sono certificate e garantite dalle costituzioni, dalla giurisprudenza che da esse deriva e soprattutto dal suffragio universale. Il voto, diritto inalienabile di ogni cittadino, sarebbe dunque la garanzia che ogni legge, di un qualsiasi governo, rappresenta la volontà della maggioranza dei cittadini. Questa sostanzialmente è la democrazia come viene generalmente intesa.    

Ma se la maggioranza dei cittadini vota per un governo che disprezza tali regole, anzi, che le vuole abolire a vantaggio di un sistema autoritario, che vuol dire? …che la democrazia è, paradossalmente, tanto democratica da permettere che governi chi la vuole abolire?… oppure, che la democrazia in realtà non è  tale ma tutta un imbroglio, o in parte un imbroglio?  

Non è facile districarsi. Anche le persone più avvedute difficilmente riescono ad affrontare il problema del governo del popolo, della democrazia: da una parte sostengono che il suffragio universale è stata una conquista, ma dall’altra si avviliscono nel constatare che la maggior parte degli elettori vota senza cognizione di causa, ignorando le conseguenze sociali della propria scelta elettorale. Gli intellettuali democratici, che per definizione devono mostrarsi sicuri nelle loro affermazioni, imputano tale contraddizione a difetti interni al sistema: nelle leggi elettorali o nella carenza culturale delle masse popolari… e, ovviamente, non ci cavano le gambe, mentre osservano basiti la presa del Governo da parte di gente che disprezza la democrazia come propriamente l’intendono: la democrazia parlamentare del libero mercato.

Eppure, è proprio per questa incapacità di critica al nostro tipo di democrazia che sorgono questi infiniti dubbi, malintesi e titubanze, senza che emerga una soluzione al problema dell’incoscienza politica della maggioranza degli elettori, della superficialità con cui si affidano ai pifferai magici, che intonano melodie risolutive dei loro problemi e dei problemi del mondo.  

Innanzitutto, bisognerebbe capire che la nostra democrazia occidentale è un sistema a variabilità dipendente dall’andamento dell’economia: nelle fasi di crescita può permettersi di assolvere una parte dei bisogni basilari: casa, istruzione, sanità, eccetera; ma, nelle fasi recessive deve per forza diventare uno strumento truffaldino per espropriare le masse dei diritti acquisiti nella fase precedente.

Inoltre, dovrebbe risultare evidente che i populisti hanno una intrinseca capacità di rimescolare le carte in tavola. Per esempio, se si guarda ai loro programmi da un di vista democratico progressista, bisogna ammettere che vi siano elementi indubbiamente di sinistra, a prescindere che siano solo propaganda: contro la TAV e le grandi opere, per l’abolizione della legge Fornero, il reddito di cittadinanza, la tassazione dei profitti del clero, eccetera; e ciò crea un cortocircuito politico-culturale, dove il Governo, grazie ai cinque stelle, sembra schierarsi dalla parte delle classi subalterne.

A prescindere che alla fine tutto si risolva in una carità, anzi peggio, senza sostanzialmente incidere nelle ingiustizie sociali ,anzi peggiorandole, è innegabile che la platea elettorale della sinistra riformista, sia diventata il terreno di conquista dei populisti.

Senza una critica e un attacco ai fondamenti del sistema, sarà impossibile risalire la china: gli strumenti ci sarebbero, come le idee. Per esempio, tornando alla questione elettorale, se è necessario che ogni cittadino possegga gli strumenti cognitivi per valutare correttamente le conseguenze del voto… e, tenendo presente che è praticamente impossibile attuare una istruzione teorica generalizzata di massa: storica, ideologica, istituzionale e teorica; bisogna avvicinare i cittadini al vissuto materiale, nella concretezza degli interessi e dei bisogni di base. Concretamente, una democrazia non certo perfetta, ma più vicina all’ideale assoluto, si esprimerebbe soltanto se il voto riguardasse, non già farraginosi programmi basati su principi generali economici e truffaldini, di cui il comune cittadino è all’oscuro, ma l’elezione dei dirigenti di impresa, dei capireparto e dei capiufficio, del dirigente sanitario, dei presidi scolastici, eccetera; con vincolo di mandato: periodicamente revocabili e sostituibili. Solo in questo modo si potrà sconfiggere il periodico ritorno degli autoritarismi, che nell’immensa distanza fra cittadini comuni e istituzioni, fra conoscenza e ignoranza, fra lavoratori e padroni, distrugge e mortifica la conquista del suffragio universale.

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