Lottiamo contro la violenza sulle donne, contro il capitalismo e il patriarcato!
Testo del volantino distribuito in occasione della mobilitazione del 25 novembre contro la violenza sulle donne
La vita delle donne è fatta spesso di violenza quotidiana: dalle pressioni psicologiche all’interno della famiglia e della società a violenze fisiche gravissime come lo stupro e il femminicidio. Il clima sociale, la concezione dei rapporti interpersonali, il sostrato ideologico e la struttura stessa della società compongono il quadro in cui maturano le condizioni per questi atti.
In una società dove è normale sfruttare, è ovvio imporre alla vita altrui i ritmi che richiede il capitalismo, dove tutto deve “rendere”. Dove tutto frutta a pochi un profitto sempre più alto.
Tutti i giorni nei luoghi di lavoro lo vediamo con costanza: i nostri salari sono complessivamente inferiori a quelli degli uomini che svolgono le stesse mansioni, i padroni, piccoli o grandi che siano e altrettanto i dirigenti, si sentono liberi di poter commentare volgarmente il nostro modo di vestire, di parlare e di vivere, spesso siamo soggette a molestie e aggressioni sessuali che violenze, il cui scopo è umiliarci, tenerci a bada, reprimerci, annullarci. La nostra oppressione è funzionale a questa realtà gerarchica, che si costruisce attorno alla proprietà.
L’oppressione non si limita a luoghi di lavoro: ogni giorno anche nei rapporti familiari ci può accadere di doverci destreggiare nel tentativo di dimostrare la validità di quanto diciamo e facciamo. La concezione familista lega la nostra vita alla procreazione e alla vita di coppia; il silenzio ormai orrendo sul quotidiano doppio lavoro che svolgiamo per organizzare la vita delle nostre famiglie, nel mito della rinascita della paternità e della sussidiarietà, rende possibile renderci più “produttive”. Mentre si decretano tagli a tutti quei servizi e strumenti che lo stato dovrebbe garantire a chi si trova in situazioni di grande disagio (incluse disabilità o difficoltà psicologiche), tutti i governi di ogni colore mettono mano alla materia previdenziale, decretando che le donne possono essere pari agli uomini, solo quando si tratta di perdere diritti, come ad esempio l’aumento dell’età pensionabile a 67 anni per spremere lavoratori e lavoratrici fino all’ultima goccia, senza oltretutto tenere conto del peso del lavoro di cura che grava sulle nostre spalle, e senza che alcun organismo di pari opportunità vi contrapponga la dura realtà. La battaglia per i diritti delle donne diviene centrale per l’emancipazione di tutti.
L’oppressione riguarda tutte le donne, ma sono quelle delle classi sfruttate a pagarne più duramente il prezzo. Contro la retorica delle pari opportunità, del welfare aziendale, dei bonus familiari, non vi sono vie di fuga per le donne che non lavorano e quindi non possono permettersi di fare scelte di emancipazione dalle situazioni peggiori. Anche le lavoratrici devono affrontare tutte le difficoltà di questa realtà al giorno d’oggi: precariato, ricatti, molestie, per tenersi il posto di lavoro, nessuna garanzia per il futuro, povertà odierna.
Mentre noi lottiamo contro questa violenza quotidiana che può anche diventare efferata, tutto nella società in questa fase va contro la nostra emancipazione: sarà necessario essere presenti con costanza in tutte le istanze di lotta, proiettandole in una prospettiva anticapitalista, contro la violenza sessista, come contro quella razzista – contro i piani governativi e del padronato che tolgono il lavoro a tutti, e prima di tutto a noi – contro i ripetuti attacchi della Chiesa alla nostra autonomia.
Lottare contro la violenza sulle donne significa rivendicare:
– L’annullamento delle leggi di precarizzazione del lavoro, a cominciare dal Jobs Act, che ci espongono ai ricatti sociali e sessuali, dalla perdita del lavoro per la maternità, alle molestie sessuali: vogliamo il ripristino totale dell’art. 18 e la sua estensione a tutte le lavoratrici e a tutti i lavoratori, la ripartizione del lavoro esistente fra tutti e tutte con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di paga.
– Un salario garantito a chi è in cerca di occupazione, contro ogni forma di reddito di autodeterminazione o di cittadinanza, che slegato dalla condizione lavorativa non garantisce autonomia, ma al contrario prospetta maggiori probabilità di rinchiudere le donne nell’ambiente domestico.
– La cancellazione delle controriforme sulle pensioni, che erodono i nostri tempi di vita, e il ritorno al sistema pensionistico retributivo.
– L’eliminazione dei tagli ai servizi sociali legati alla cura e della pratica della sussidiarietà privata, che aggravano sulle spalle delle donne i carichi del lavoro di cura. La prospettiva deve essere quella della socializzazione del lavoro di cura.
– L’eliminazione di tutte le leggi securitarie che legittimano la violazione dei diritti delle donne migranti e di fatto le pratiche di violenza diffusa nei loro confronti.
– La ricostituzione dei consultori pubblici per le donne, gestiti dalle utenti e dalle tecniche, per un controllo delle decisioni sul nostro corpo nelle nostre mani: vogliamo l’abolizione dell’obiezione di coscienza e il libero e gratuito accesso all’interruzione di gravidanza e alla contraccezione.
– Vivere libere dall’oscurantismo religioso, liberate cioè dai privilegi e dal potere reazionario della Chiesa cattolica e della CEI: aboliamo il Concordato! Basta 8×1000! Basta insegnamento religioso nella scuola pubblica!
Se vogliamo che qualcosa cambi, tutto deve cambiare. Non sarà sufficiente lottare per cambiare la “natura” degli uomini: è questa società di sfruttamento e diseguaglianza che non ci vedrà mai libere.
Il patriarcato e il capitalismo, fondati sulla nostra oppressione, possono essere rovesciati solo congiuntamente, dalla rivoluzione.
Solo con il rovesciamento della società divisa in classi e l’abbattimento del patriarcato, solo in una società socialista può esserci una vera liberazione delle donne e di tutte le minoranze oppresse.
Antipatriarcali, anticlericali, anticapitaliste!