Edilizia popolare: il burocrate sindacale colpisce ancora

di Marla Taz

Lo smantellamento dell’edilizia popolare prosegue anche a Ravenna. Da ottobre si applicheranno gli adeguamenti dei canoni d’affitto dell’edilizia popolare (E.R.P ) previsti dalla riforma regionale siglata a gennaio dalla regione e sottoscritta beatamente anche dai sindacati confederali.

Tale riforma, sperimentata anche a Bologna da qualche anno, sbatte 500 famiglie sulla strada entro il 2017, ristabilisce nuovi criteri per l’assegnazione degli alloggi pubblici, ma soprattutto nuovi criteri per la permanenza negli alloggi già assegnati.

Premettendo che si apprezza l’onestà e il candore con cui si dichiara che fino ad ora gli alloggi sono stati assegnati anche in maniera non trasparente, la regione, in accordo coi sindacati intende “regolare l’accesso e la permanenza negli alloggi di edilizia popolare con omogeneità e trasparenza, definire canoni calcolati in modo oggettivo considerando le caratteristiche dell’alloggio , introdurre maggiore rotazione nell’assegnazione degli alloggi, garantendo l’accesso ai nuclei familiari in maggiore difficoltà”.

In poche parole hanno modificato i criteri per continuare ad usufruire degli alloggi, sottraendo di fatto il diritto di permanenza alle famiglie assegnatarie in condizioni di fragilità e vulnerabilità, le quali si vedranno aumentare l’affitto come incentivo volto a sloggiare entro i 2 anni successivi di proroga del contratto. Poi saranno fuori. Nel caso non riescano a pagarsi un affitto nel mercato privato degli immobili potranno rivolgersi agli inesistenti servizi sociali il cui aiuto può consistere al massimo nella sottrazione dei figli da “vendere” sul mercato privato delle case famiglia e degli affidi temporanei.

Per quanto riguarda il calcolo dei nuovi canoni definito dai sindacati stessi molto complesso, quindi di difficile comprensione anche per loro ma prontamente condiviso, stabilisce la soglia ISEE di 17.154 euro (lorde) sotto la quale, le organizzazioni sindacali chiedono di mantenere canoni il più bassi possibile che non ci è dato quantificare economicamente, così come per le famiglie con ISEE sotto questa soglia, le quali vedranno ugualmente aumentare l’affitto di una cifra ancora sconosciuta e che conosceranno nel momento in cui dovranno pagarla.

Anche queste famiglie potranno rivolgersi ai servizi sociali o peggio ancora all’A.C.E.R , l’ente pubblico-economico, imprenditoriale-autonomo a cui i comuni hanno concesso la gestione abitativa pubblica, lo stesso ente che a Bologna, nel pieno dell’applicazione di questa riforma, sta scaraventando a forza le famiglie in mezzo alla strada, buttando gli effetti personali e i mobili dalla finestra.

Se pensiamo alla ridicolaggine della rotazione degli alloggi come soluzione al problema abitativo considerato gli alti costi dei traslochi ci viene da ridere (o peggio) alla buffonata di utilizzare il criterio di qualità dell’immobile ai fini del calcolo del canone. Dato che gli appartamenti gestiti da A.C.E.R sono fatiscenti, mai ristrutturati e spesso senza i requisiti minimi di abitabilità, dovrebbero vedere scendere il prezzo e non aumentarlo, quindi le domande sorgono spontanee. Che fine fanno le famiglie con i redditi più bassi che vivono negli alloggi che cadono a pezzi oltre a vedersi aumentare l’affitto? In quanto denaro consiste tale aumento? Gli alloggi fatiscenti in cui vivono verranno ristrutturati?

Il burocrate sindacale non si pone la questione, non gli passa per la testa il sospetto che gli inquilini vengano sloggiati con la scusa della necessaria ristrutturazione incentivandone l’uscita con l’aumento dei canoni per poi svendere ai privati, non gli passa per la testa che questa riforma, esattamente come tutte le riforme degli ultimi 30 anni, nasconde e neanche troppo bene il processo di privatizzazione e svendita della cosa pubblica.

Anzi la C.G.I.L si dichiara soddisfatta per l’equilibrio raggiunto. Nell’attesa di capire se il burocrate sindacale ci fa o ci è, buttiamo lì qualche proposta seria per la riorganizzazione dell’edilizia popolare partendo proprio dal concetto irriformabile di “IMMOBILITÀ” dei beni pubblici (ciò che è pubblico, tale deve rimanere!).

Si parla di carenza di alloggi e mancanza di fondi: gli alloggi non sono sufficienti a rispondere alle esigenze della popolazione. Questo è dovuto in parte all’aumento della povertà generata da disoccupazione, precarietà del lavoro, bassi redditi da lavoro dipendente e di pensioni che investe il proletariato in particolare negli ultimi 30 anni, un impoverimento che vede responsabili le burocrazie sindacali di una politica concertativa sempre più al ribasso per la classe lavoratrice, a favore dei profitti padronali e tutta volta alla privatizzazione.

Parallelamente alle aumentate necessità di alloggi di pubblica edilizia, anziché aumentarne il numero, i comuni vendono immobili per “mancanza di fondi”, questo è l’altro aspetto interconnesso e inscindibile dall’impoverimento dilagante. Territorialmente si rende quindi necessario recuperare una infinità di alloggi sfitti anche privati, appartenenti a proprietari milionari, che in molti paesi possiedono praticamente mezze città, e applicare una patrimoniale altissima sugli alloggi vuoti allo scopo di incentivare la disponibilità ad affittare e recuperare fondi. Ma soprattutto è indispensabile quantificare dettagliatamente quali siano le reali entrate e soprattutto le reali uscite dei finanziamenti ricevuti dai comuni da parte dallo stato, quanto di questo denaro finisce nelle tasche dei privati direttamente o indirettamente tramite appalti della gestione pubblica ad aziende esterne, enti economici come ACER, cooperative, associazioni ecc. il cui obiettivo sostanziale è il profitto anche quando mascherato dalla ragione sociale “no profit “, e interrompere definitivamente il flusso migratorio di denaro pubblico nelle tasche private.

Occorre quantificare quanto denaro viene speso negli incentivi economici erogati ai manager del pubblico impiego, incentivi pubblici equiparabili a profitti veri e propri ed interrompere anche questa emorragia finanziaria per iniziare la fase di recupero dell’enorme quantità di denaro pubblico che ci è stato sottratto fino ad ora con la scusa di una crisi economica creata dal capitalismo per ingrassare la propria pancia e dare il via alla riqualifica dei servizi pubblici.

Questo progetto d’intervento può essere implementato solo se la quantificazione delle entrate reali, i metodi di recupero del denaro che ci è stato sottratto dai privati e dai burocrati dello stato ivi comprese le organizzazioni sindacali, la valutazione delle priorità di intervento e la gestione del denaro pubblico vengono svolte dal proletariato, ossia dalla classe degli sfruttati.

SE NON ORA, QUANDO?

Link : http://corrieredibologna.corriere.it/bologna/notizie/cronaca/2016/9- novembre-2016/case-erp-abbattuta-soglia-reddito-bologna-500-famiglie-fuori-2017-2401047038588.shtml

http://aspugnochiuso.it/

https://www.cgilra.it/file/app/APP_26.pdf

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