I 30 denari di Renzi

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25 novembre ore 14.30: assemblea sindacale dei lavoratori della scuola. Non si comincia fino alle 15.15, sperando chela sala si riempia. Fremiti di rabbia per motivi contrastanti. Rabbia 1: i sindacati sono talmente asserviti al potere da ridursi a convocare le assemblee sindacali nel pomeriggio in modo da non “turbare” l’orario di servizio di gran parte dei docenti? Rabbia 2: siamo in sedici, in maggioranza personale ATA ( peraltro nemmeno citato nella “Buona “Scuola”!). Dunque i docenti partecipano alle assemblee sindacali solo quando possono non fare lezione? Fermo restando che sull’azione sindacale degli ultimi tempi si dovrebbe scrivere un libro a parte, comunque si va avanti. Alle 17.00 si esce con il cuore pesante. L’invito all’adesione allo sciopero del pubblico impiego sembra aver suscitato sorrisi tra l’ironico e l’imbarazzato. Prevale una disincantata disillusione.

Perché?

Perché lo sciopero del 5 maggio 2015 che ha visto l’adesione più massiccia degli ultimi anni è stato un fallimento. Perché la legge 107 (la “Buona Scuola”) è stata fatta passare ugualmente a colpi di fiducia. Perché c’è stata una voluta disinformazione portata avanti dalla volontà politica di non far funzionare la scuola. Perché la società civile non ha abbracciato la protesta dei lavoratori della scuola non riuscendo a capirne le motivazioni, non percependo il danno sociale che la 107 può provocare. Ad esempio: la “Buona Scuola” reintroduce il contratto separato tra Dirigente Scolastico e lavoratori (art. 1, commi 80 e sg.) eliminato dal 1993. Se tale principio è stato accettato per la scuola allargarlo a tutto il pubblico impiego sarà un gioco da ragazzi. Dopo l’art. 18, si va avanti con i “me ne frego” di mussoliniana memoria per smantellare qualsiasi simulacro rimasto di tutela dei lavoratori. Inutili, risibili, menzognere, false le precisazioni sul fatto che non è il D.S. ad assumere, ma lo Stato. Lo Stato paga, ma il D.S. sceglie i docenti in base alle caratteristiche e all’indirizzo che vuol dare alla “sua” scuola.

La 107 sembra anche confliggere pesantemente con la normativa vigente in materia stipendiale. Ad esempio: secondo la legge Brunetta, il salario accessorio è una voce obbligatoriamente sottoposta a contrattazione con le RSU. Unico Paese in Europa, l’Italia, con la 107, consente che a decidere la meritocrazia – e quindi un salario accessorio di circa 60 euro/mese – sia un Comitato di Valutazione composto da D.S., tre docenti, due genitori (uno studente ed un genitore alle superiori) ed un componente esterno individuato dall’Ufficio Scolastico Regionale. E’ ovvio che, al di là della confliggenza normativa, vi un intento profondamente divisivo perché il D.S., scegliendo l’uno o l’altro dei docenti, seppure in base a criteri stabiliti dal Collegio, creerà attriti, invidie e fratture insanabili all’interno di un corpo che dovrebbe essere i nvece coeso e collaborativo.

E ancora: il pubblico impiego è senza contratto da sette anni. Ai docenti di ruolo – e solo a loro – è garantita una card del valore di 500 euro/anno per l’autoaggiornamento. Siamo ancora alla logica del “divide et impera”. Forse i docenti precari sono fantasmi non degni di stare al passo con i tempi? O un segretario comunale e un impiegato della Ragioneria non necessitano di aggiornamento? Il bonus di 500 euro ai docenti è un’arma usata da Renzi come una chiara manovra da campagna preelettorale: da un lato chiudere la bocca agli insegnanti che osassero ancora parlare di rinnovo del contratto con un “Cosa volete ancora?” strizzando l’occhio a tutti quelli che dei 500 euro non hanno visto nemmeno l’ombra e con buona pace di tutti i soldi che finora i docenti hanno sborsato di tasca loro per aggiornarsi. In realtà, nella sua immensa magnanimità, il governo ha proposto, in un eventuale nuovo contratto, un aumento mensile dello stipendio degli insegnanti che è un insulto: 5 euro/mese a fronte dei 220 euro/mese calcolati come media di perdita del potere d’ acquisto rispetto all’inflazione. Un’ elemosina, insomma. Dall’ altro lato creare l’ennesima frattura all’interno della Pubblica Amministrazione e tra questa e la società civile, che vede comunque il pubblico impiego come una accozzaglia di nullafacenti ben pagati.

E mentre Renzi sbandiera le 82mila assunzioni fin qui avvenute, tace sui 133mila posti di lavoro persi dal mondo della scuola, tace sul caos delle assegnazioni delle cattedre tramite algoritmo, tace sull’esodo e sulle disgregazioni familiari che tale algoritmo ha prodotto, tace sui tagli mai compensati della scuola pubblica e sulla agevolazioni fiscali per chi iscrive i figli alle scuole “paritarie”.

Forse la scuola ha bisogno di cambiare, ma non è a colpi di slide e di spot pubblicitari, di farsesche consultazioni e di fiducia estorta ad un Parlamento sotto ricatto che questo può avvenire. Renzi non apporterà aria nuova calpestando i diriffidei lavoratori della scuola. Lo dimostrano i tanti che ancora, senza sosta, scendono in piazza in tutta Italia contro la legge 107. Soprattutto i ragazzi, quelli che Renzi relega al ruolo di “utenza”. Loro vogliono lottare e, anche se la strada sarà lunga e difficile, prima o poi Renzi se ne renderà conto. Anzi forse se ne è già reso conto. E prova a comprare anche loro. Con 500 euro. 500 euro che, per chi mastica di religione, assomigliano tanto a 30 denari.

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