LA MALATTIA DEL CAPITALE: IL BUSINESS SULLA PELLE DEI PIÙ DEBOLI

Di Marla Taz
Già nel 1969 era prevista la chiusura dei manicomi quali luoghi atti al solo contenimento comportamentale attraverso l’uso di metodi coatti e cruenti, e senza obiettivi terapeutici volti al miglioramento ed integrazione sociale.
Il meeting di psichiatria avvenuto a Pisa proprio nel 1969 produsse 3 documenti importanti ed altrettante possibili soluzioni sulla base delle correnti di pensiero politico dell’epoca che coincidevano, e coincidono tuttora, sempre con gli interessi economici del momento.

Il primo documento, che potremmo definire di destra, filodemocristiano, auspicava la chiusura dei manicomi quali luoghi infernali, senza soluzioni alternative. Il secondo documento, di stampo riformista , avvallava la teoria del primo, auspicava la chiusura dei manicomi ma proponeva il potenziamento dei servizi sul territorio e di aiuto alla famiglia, caso mai ce ne fosse una; cosa che, a seguito dei continui tagli al welfare ed al sistema sanitario non è mai avvenuta. Il terzo documento, tendenzialmente più a sinistra, date le condizioni economiche del paese tutte volte alla privatizzazione del sistema sanitario e la tendenza politico-economica dello stato a scaricare i costi e le responsabilità sulle famiglie, proponeva la riqualificazione di strutture territoriali volte alla terapia, cura e riabilitazione del malato psichiatrico, nonché il suo reintegro graduale ed assistito nella società e l’abbattimento di metodi cruenti e coatti.

Naturalmente quest’ultimo documento non avrebbe raggiunto l’obiettivo di far risparmiare lo Stato, impegnato a finanziare i privati scaricando i costi sulle famiglie.

Quindi, con la legge Basaglia, i manicomi furono chiusi, i pazienti furono rimandati in famiglia dotati solo di un piano terapeutico e nessun altro tipo di assistenza o riabilitazione, i servizi territoriali a disposizione consistono esclusivamente in uffici pubblici dove l’ammalato deve recarsi spontaneamente a prendere gli psicofarmaci ed in reparti psichiatrici di 15 posti letto all’interno di un solo ospedale provinciale, dedicato ai ricoveri coatti , effettuati in casi estremi di pericolo per la famiglia o per l’ammalato, ricoveri massimi di 15 giorni dopo i quali il paziente viene riscaricato alla famiglia che si ritrova da sola a gestire situazioni ingestibili e davvero difficili , senza mezzi e senza preparazione.

Sono sorte residenze apposite per pazienti psichiatrici che non possono contare su una famiglia, gestite in larga parte da cooperative private , finanziate dal pubblico , in cui i pazienti restano fino al compimento di 65 anni, dopo di che vengono letteralmente sbattuti nelle case di riposo pubbliche. Queste ultime non possiedono caratteristiche idonee ai malati psichiatrici: molti scappano persino in mezzo alla strada perché sono strutture completamente aperte, non possiedono piani riabilitativi ed occupazionali idonei alla psichiatria. Questi ammalati necessitano di un rapporto operatore–paziente di uno a uno, e nelle case di riposo non c’è abbastanza personale. Vale la pena inoltre ricordare che il personale è inoltre giuridicamente responsabile della vita e salute degli ammalati e penalmente perseguibile; non c’è uno psichiatra a disposizione 24 ore al giorno, c’è solo un medico generico 2 ore al mattino 5 giorni la settimana.

Questa è solo una breve sintesi della realtà in Italia dopo la legge Basaglia. Come previsto molti anni prima dalla sinistra scientifica, la soluzione riformista ha raggiunto il suo obiettivo politico ed economico: scaricare costi e responsabilità sulle famiglie e i lavoratori per finanziare direttamente ed indirettamente i privati, fare del dolore e della malattia un grande business.

Nella società attuale le malattie psichiatriche sono in aumento, come le tossicodipendenze, l’alcolismo e le dipendenze più in generale. La causa risiede nel sistema economico capitalista che produce una società non a misura d’uomo, innaturale e invivibile. Continuare a lottare per reintegrare i più deboli in una società capitalista, che fa dei deboli il proprio business, che trae profitto dalla salute, è come lottare contro i mulini a vento. La prevenzione primaria nella lotta contro le malattie e le dipendenze consiste nell’abbattimento del sistema che le genera, cominciando col chiudere il rubinetto dei finanziamenti pubblici ai privati e usando il denaro per migliorare il sistema sanitario nazionale. Lavorare tutti e lavorare meno, tanto per cominciare. A ognuno secondo i propri bisogni, da ognuno secondo le sue capacità.

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