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8 marzo: giorno di lotta

Compagne, le elezioni al Soviet di Mosca dimostrano che il partito
comunista si afferma sempre di più in seno alla classe operaia.
Le operaie devono partecipare in maggior numero alle elezioni. Primo e
unico al mondo, il potere dei Soviet ha abolito completamente tutte le
vecchie leggi borghesi, le leggi vergognose che ponevano la donna in
uno stato d’inferiorità rispetto all’uomo, che all’uomo, tanto per
citare un esempio, riconoscevano una posizione di privilegio nella
sfera del diritto matrimoniale o dei rapporti con i figli.
Primo e unico al mondo, il potere dei Soviet, in quanto potere dei
lavoratori, ha abolito tutti quei vantaggi che, originati dalla
proprietà, tuttora vengono attribuiti all’uomo dal diritto familiare
anche nelle repubbliche borghesi più democratiche. Dove esistono grandi
proprietari fondiari, capitalisti e commercianti, non può esistere
l’uguaglianza tra uomo e donna, nemmeno di fronte alla legge. Dove non
esistono grandi proprietari fondiari, capitalisti e commercianti, dove
il potere dei lavoratori edifica una nuova vita senza questi
sfruttatori, esiste l’eguaglianza di fronte alla legge tra uomo e
donna. Ma non basta. L’eguaglianza di fronte alla legge non è ancora
l’eguaglianza nella vita.
Ci occorre che l’operaia conquisti l’eguaglianza con l’operaio non
soltanto di fronte alla legge, ma anche nella vita. Per questo le
operaie debbono partecipare in misura sempre maggiore alla gestione
delle imprese pubbliche e all’Amministrazione dello Stato. Le donne
faranno presto il loro tirocinio nell’amministrazione e saranno
all’altezza degli uomini.
Eleggete dunque al Soviet un maggior numero di operaie, sia comuniste
sia senza partito. Purché un’operaia sia onesta, coscienziosa nel suo
lavoro, che importa se non appartiene al partito? Eleggetela al Soviet
di Mosca! Più operaie al Soviet di Mosca! Dimostri il proletariato
moscovita che è disposto a tutto e fa di tutto per lottare fino alla
vittoria contro la vecchia ineguaglianza, contro il vecchio, borghese,
avvilimento della donna. Il proletariato non raggiungerà una completa
emancipazione se non sarà prima conquistata una completa libertà per le
donne.
Scritto il 21 febbraio 1920 Pravda n°40, del 22 febbraio 1920


8 MARZO. Una data importante che negli anni è stata storpiata dalla borghesia, dalle istituzioni dell’imperialismo e dal riformismo, che l’hanno privata del suo carattere di classe e trasformata in un giorno dedicato a celebrare una tiepida ed innocua “fratellanza delle donne”.
L’8 di marzo, come giorno di lotta della donna lavoratrice, ha radici lontane.
I primi impulsi risalgono alle manifestazioni delle operaie tessili di New York, nonché allo sciopero delle operaie di industrie tessili e dei tabacchi del 1908 a Manhattan.
L’8 marzo 1857, Johnson, il proprietario dell’opificio Cotton di New York, dove le operaie da diversi giorni manifestavano contro le tremende condizioni di lavoro cui erano sottoposte, per impedire alle donne di contattare i sindacati ed evitare che la loro lotta si estendesse ad altre fabbriche,ordinò di serrare le porte dello stabilimento e chiuderle dentro. Qualcuno appiccò il fuoco. E 129 donne morirono bruciate. Tra di loro vi erano molte immigrate che cercavano di migliorare la loro condizione di vita.
Nel 1910 o la Conferenza delle Donne Socialiste a Copenhagen accettò la proposta di Clara Zetkin, dirigente della II Internazionale, di dichiarare l’8 marzo Giornata Internazionale della Donna Lavoratrice. E Rosa Luxemburg propose di adottare la data dell’8 marzo come giornata di lotta internazionale a perenne ricordo di quella tragedia,
Oggi, ogni maledetto 8 marzo, le donne sono umiliate ed offese dagli ipocriti omaggi che l’Onu, i governi, i mezzi di comunicazione e le grandi imprese, fanno alla donna, “onori disonorevoli” perché sono volti a farci credere che l’oppressione sia cosa del passato, perché oggi le donne sono Ministre, Segretarie di Stato, Giudici, Presidenti, ecc.
Niente di più falso! Quelle donne (le Hillary Clinton, le Cristina Kirchner, le Bachelet, le Laura Chinchilla e via dicendo) nulla hanno a che vedere con la lotta delle donne lavoratrici. Sono le nostre nemiche di classe né più né meno degli uomini ed i governi che loro servono (o dirigono) come tutti gli altri governi operano in favore del capitale affinché questo possa, attraverso l’oppressione della donna, meglio sfruttare tutta la classe operaia nel suo insieme.
La vera situazione della donna non è cambiata negli ultimi 100 anni: secondo le cifre fornite dalle stesse istituzioni imperialiste (Onu, Oil, Unicef, Banca Mondiale), le donne coprono il 70% dei 1.300 milioni di poveri assoluti del mondo. E questo nonostante il fatto che il lavoro della donna abbia un ruolo di fondamentale infatti, secondo dati dell’Onu, tra il 50% e il 80% della produzione e commercializzazione di alimenti è affidata al lavoro femminile.
Inoltre, il lavoro domestico non remunerato della donna rappresenta un terzo della produzione economica mondiale (sempre Onu). Delle donne in età lavorativa, solo il 54% ha un impiego fuori di casa, a fronte dell’80% degli uomini (Oil). Le donne svolgono la maggior parte dei lavori mal pagati e meno tutelati (Oil). Guadagnano tra il 20 ed il 30% meno degli uomini (Oil).
Negli ultimi anni è aumentato considerevolmente il numero di donne che, legalmente ed illegalmente, emigrano verso diversi Paesi dell’Europa e verso gli Usa alla ricerca di impiego. Le immigrate sono quelle che più soffrono il sovra-sfruttamento ed ogni tipo di abusi.
Istruzione: due terzi degli 876 milioni di analfabeti del mondo sono donne. A 18 anni le ragazze hanno una media di 4,4 anni in meno di istruzione rispetto agli uomini della stessa età. Dei 121 milioni di bambini non scolarizzati nel mondo, 65 milioni sono bambine (Onu, Unicef).
Sanità: ogni anno muore nel mondo più di mezzo milione di donne in conseguenza della gravidanza e del parto, ciò che è in diretta relazione col livello di povertà. Nei Paesi coloniali e semicoloniali (la periferia del mondo, che prima era conosciuta come “Terzo Mondo” ed ora è chiamata “Paesi in via di sviluppo”), il tasso di mortalità materna è di uno ogni 48 parti. In Paesi europei, come la Spagna, dove il 98% delle donne riceve assistenza durante la gravidanza ed il parto, ne muoiono 3,9 ogni 100.000. Nei Paesi coloniali e semicoloniali, non ricevono assistenza prenatale il 35% delle donne; quasi il 50% partorisce senza assistenza specializzata. Le ultime statistiche indicano che ci sono più donne che uomini contagiate dall’Aids.
Le sempre peggiori condizioni di vita spingeranno sempre di più donne lavoratrici verso gli aborti clandestini o verso i brutali metodi degli aborti casalinghi. Donne lavoratrici e povere continueranno a morire, mentre le cliniche clandestine guadagnano fortune grazie ad una legislazione repressiva che impedisce di abortire negli ospedali gratuitamente ed in condizioni sanitarie ottimali.
Di tutto ciò è soprattutto colpevole la Chiesa cattolica, con la sua ipocrita politica di “difendere la vita”, ma altrettanto responsabili sono i governi ed i parlamentari che distruggono le condizioni di vita della donna lavoratrice e poi, cedendo alle pressioni della Chiesa ed agli interessi dei baroni delle cliniche clandestine, sono contrari alla depenalizzazione dell’aborto.
Questa deprecabile situazione giunge alla sua massima espressione se analizziamo i dati sulla violenza contro la donna. Ogni anno nel mondo, almeno 2 milioni di bambine tra 5 e 10 anni sono vendute e comprate come schiave sessuali. Ogni due ore una donna viene pugnalata, lapidata, strangolata o bruciata viva per “salvare” l’onore della famiglia. Durante i conflitti armati, l’attacco ai diritti umani della donna (assassinio, stupro, schiavitù sessuale e gravidanza forzata) viene utilizzato come arma da guerra. Nel mondo, sono 135 milioni le bambine che hanno subito mutilazioni genitali. La cifra aumenta di due milioni ogni anno. Secondo dati della Banca Mondiale, almeno il 20% delle donne nel mondo ha sofferto maltrattamenti fisici o aggressioni sessuali.
La crisi capitalista mondiale inasprisce radicalmente la già grave situazione delle donne lavoratrici: secondo dati ufficiali, in Spagna ci sono 2 milioni di donne disoccupate (ma il numero è assai maggiore se si considera la cosiddetta “economia sommersa” che non compare nelle statistiche), si tratta per lo più di immigrate; a ciò si aggiunge la “riforma” in atto per “affrontare” la crisi (aumento dell’età pensionabile, riduzione della spesa pubblica ed i contratti a tempo parziale, che condannano migliaia di donne alla precarietà). Contro attacchi simili le lavoratrici e i lavoratori greci hanno proclamato lo sciopero generale. E negli Usa l’attacco all’educazione pubblica sta provocando la reazione di lavoratrici e studenti dell’Università della California.
D’altra parte, nei Paesi coloniali e semicoloniali, le donne lavoratrici e povere devono subire anche l’offensiva colonizzatrice dei paesi imperialisti che si intensifica a causa dell’avanzare della crisi mondiale.
Un’offensiva si esprime nel saccheggio delle risorse naturali, nella defertilizzazione della terra a causa dell’intensificarsi delle coltivazioni di soia, nell’abbattimento della sanità e dell’istruzione pubbliche, nella perdita di sovranità dei loro Paesi.
E così assistiamo in tutto il continente latinoamericano, alla vigilia del bicentenario delle eroiche guerre di indipendenza, a madri di famiglia della classe operaia che si vedono obbligate a lottare in difesa della sanità e dell’istruzione pubbliche, insieme a lavoratori e lavoratrici del settore. A lavoratori e lavoratrici che si scontrano con la criminalizzazione delle loro lotte e la repressione, in alcuni casi ordinata dall’ambasciata USA, come quella subita dalle lavoratrici dell’alimentazione in Argentina. A donne indigene, in Perù, in Ecuador, che insieme alle loro comunità, devono affrontare la voracità imperialista per difendere l’acqua e l’ecosistema. A donne, in Messico, in America Centrale e nei Caraibi, che sono la manodopera centrale delle maquilas e vittime di precarietà, abusi, insidie e violenze sessuali, mancanza di libertà sindacale, salari da fame, lunghe e spossanti giornate di lavoro ed anche di assassini, come in Ciudad Juárez.
Per la donna lavoratrice in tutto il mondo non c’è possibilità di riscatto nel capitalismo. Non può esserci liberazione della donna senza il trionfo della rivoluzione socialista e non ci sarà rivoluzione socialista senza l’inclusione della donna lavoratrice nella lotta. Facciamo appello a tutte le donne a lottare, insieme alla nostra classe, per la nostra liberazione e per una società in cui uomini e donne possano vivere liberi da ogni tipo di oppressione, sfruttamento e disuguaglianza: la società socialista.

La crisi la paghino i capitalisti e non i lavoratori e le lavoratrici!

No alla precarizzazione del lavoro! Per lavoro e salari degni ed uguali per uomini e donne!

Basta alla violenza contro la donna! Strutture di rifugio in ogni quartiere per le donne vittime di violenza! No alla tratta di persone!

La donna non è una schiava: lavanderie, mense ed asili pubblici e di qualità!

Programma sanitario per la donna: ampio accesso a educazione sessuale e contraccezione! Aborto legale, sicuro e gratuito!

Contro tutte le forme di discriminazione per motivi di razza, etnia, sesso, orientamento sessuale ed età!

Il corpo della donna non è una merce. Aboliamo la pubblicità che vende la donna come un prodotto di consumo!

Ampia campagna di sindacalizzazione delle donne! Lotta ad ogni forma di machismo nei sindacati e negli organismi della classe!

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