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Alchimie politiciste o partito rivoluzionario?

INTERVENTO DI MARCO FERRANDO; IN RAPPRESENTANZA DEL PCL, ALL’ASSEMBLEA DELLA FEDERAZIONE DELLE SINISTRE DI ALTERNATIVA
(18 Luglio- Roma- Centro Congressi di via Frentani)

Care compagne, cari compagni,
intervengo volentieri a nome del PCL in questo vostro convegno, di fronte ad una platea di compagni/e con cui ho condiviso in passato una comune esperienza politica e con i quali esiste un rapporto di reciproca conoscenza e familiarità. Un rapporto che consente, per parte mia, grande franchezza.
Intervengo non tanto per portare una critica al progetto di federazione, su cui dirò, ma per avanzare una proposta che provi a misurarsi con quella questione dell’unità a sinistra che è posta non solo dalla domanda di tanti lavoratori, ma anche e soprattutto dalla situazione politica e sociale.

Sul progetto di Federazione, che qui è stato presentato, mi limito ad una considerazione di fondo: è un progetto legittimo, non privo di una sua logica interna, ma che per sua stessa natura non ci riguarda e non ci coinvolge. Questo progetto infatti non rappresenta né una proposta di unità d’azione, né una proposta di quadro comune di discussione, per i quali siamo e saremmo pienamente disponibili. Segna invece la riorganizzazione di un preciso soggetto politico, quali che siano le forme organizzative che si darà, caratterizzato dalla continuità di posizioni, indirizzi, gruppi dirigenti degli ultimi 15 anni. Vedo la continuità di un’immutata impostazione programmatica “antiliberista” di tipo neoriformista, pur a fronte della più grande crisi capitalistica degli ultimi 80 anni e di un massiccio intervento dello statalismo borghese nell’economia. Constato la continuità della collocazione nelle giunte di centrosinistra di larga parte d’Italia a partire dalle Regioni, ciò che coinvolge di fatto il nuovo soggetto ( seppur oggi in forma contraddittoria) all’interno di quel bipolarismo che qui viene criticato. Rilevo soprattutto la comune esperienza di governo in due legislature di centrosinistra negli ultimi 15 anni, con una pesantissima corresponsabilità nelle politiche antioperaie della borghesia italiana. E qui consentitemi una considerazione obbligata. Tutti voi conoscete il giudizio che il PCL dà delle misure varate dai ripetuti governi di centrosinistra, col voto di tutte le sinistre: missioni di guerra, aumento delle spese militari, leggi di precarizzazione del lavoro, regalie a banchieri e Confindustria…. Posso chiedere ai compagni qui presenti com’è possibile rivendicare un “nuovo inizio” senza neppure nominare una sola di queste enormità commesse contro i lavoratori e gli oppressi? Peraltro: come è possibile invocare il superamento della frammentazione a sinistra senza neppure citare, fosse pure per sbaglio, quei crimini politici che hanno innescato la frammentazione?

Ma non voglio indugiare su questo nei pochi minuti disponibili. Voglio porre invece un’altra questione: come soggetti e progetti diversi, tra loro incomponibili, possono provare a lavorare insieme su terreni comuni. In un contesto eccezionale, in cui la crisi sociale più profonda che la nostra generazione abbia sperimentato si combina con il governo più reazionario che l’Italia abbia conosciuto dall’epoca del governo Tambroni(1960). In un contesto in cui l’esigenza centrale della più ampia unità d’azione a sinistra, si confronta con un livello di scontro storicamente nuovo.

Alcuni esempi e proposte.
Andiamo ad un’autunno sociale drammatico, segnato dall’annuncio dei licenziamenti collettivi. Vi andiamo non solo senza una direzione adeguata del movimento operaio e sindacale, ma con la più grande organizzazione del mondo del lavoro, la CGIL, che nel momento in cui pure subisce gli accordi separati, da un lato non promuove alcuna continuità della mobilitazione, dall’altro si vanta, con Epifani, di saper scongiurare ogni possibile esplosione sociale “alla francese” o “alla greca”. Il risultato è che padronato e governo avanzano come un rullo compressore senza incontrare nessuna reale barriera di resistenza, e che nello stesso popolo della sinistra dilagano frustrazione e disorientamento.
Possiamo dire insieme, pubblicamente, che questa linea sindacale porta al disastro?
Possiamo sviluppare insieme una battaglia politica contro questa linea, che si misuri non solo con il congresso della CGIL ( che pure è un passaggio essenziale), ma anche con la necessità di promuovere tra i lavoratori e in tutti i sindacati una proposta e una pratica d’azione alternativa che miri ad una svolta di unificazione e radicalizzazione delle lotte, che miri a innescare quella dinamica di esplosione sociale che Epifani vuole scongiurare? Perché solo un ‘esplosione sociale può arrestare l’avanzata reazionaria, incidere sui rapporti di forza, strappare risultati.
Nel concreto: possiamo provare insieme a dare un’indicazione unificante, di forme di lotta e di obiettivi, alle migliaia di vertenze aziendali disperate e in ordine sparso a difesa del lavoro, ponendo la questione delle casse di resistenza, dell’occupazione operaia delle aziende che licenziano, della loro nazionalizzazione sotto controllo operaio? Oppure ci si entusiasma talvolta quando simili proposte o pratiche di lotta si affacciano in altri paesi, salvo rassicurare ( chi?) che non possono riguardare l’Italia?

Prendiamo la questione delle “ronde”.
Non si tratta di semplice propaganda. Al di là di ipocrite cautele normative di carattere formale, si tratta dell’inizio dell’autorganizzazione della forza da parte di settori reazionari. Per la prima volta nella storia della Repubblica, si sviluppano apertamente forme di organizzazione paramilitare extraistituzionali con la legittimazione del governo e la spinta diretta della Lega e di ambienti fascistoidi.
Come replicare? Possiamo limitarci alla pura denuncia propagandistica di testimonianza? O appellarci a quel “monopolio della forza” dello Stato, cioè della polizia e dei carabinieri; che abbiamo visto all’opera nella mattanza di Genova?
Noi proponiamo la formazione di strutture unitarie di vigilanza operaia e popolare realmente operative sul territorio: che contrastino il rondismo, che tutelino tutti i soggetti minacciati, che estendano il controllo popolare all’insieme della criminalità capitalistica (omicidi bianchi, sfruttamento del lavoro nero, evasione fiscale, saccheggio ambientale..), declinando in termini alternativi la cosiddetta domanda di “sicurezza” e costruendo battaglia di egemonia alternativa sul senso comune e l’immaginario collettivo.
E’ possibile ragionare insieme su questo terreno, e costruire una proposta comune da rivolgere all’insieme delle organizzazioni popolari, o dobbiamo rassegnarci al nulla, magari lasciando spazio, su un terreno così delicato, a repliche “fai da te” avventurose e maldestre?

Sono solo alcuni esempi, fra i tanti possibili. Ma ogni passo avanti sul terreno reale dell’unità d’azione, al nuovo livello di scontro imposto dalla situazione, sarebbe un contributo al movimento reale mille volte più importante delle migliori esercitazioni su formule organizzative e contenitori.

Per sviluppare questo confronto sull’unità d’azione e sulle prospettive abbiamo proposto e qui riproponiamo una possibile cornice comune: che abbiamo chiamato “parlamento delle sinistre”.
Non è una proposta di per sè contrapposta alla Federazione, come non è contrapposta ad altre soggettività politiche. Al contrario: parte proprio dalla presa d’atto di una molteplicità di soggetti diversi a sinistra, per proporre a tutti questi soggetti, e a tutte le tendenze interessate dei movimenti un quadro comune e democratico di rappresentanza, di discussione, di iniziativa unitaria.
Non un “soviet”, nelle condizioni attuali, ma neppure un’intergruppi tra vertici di partito. Quanto piuttosto un’assemblea pubblica permanente a carattere elettivo, periodicamente convocata con sessioni regolari di lavoro, in cui ogni soggetto sia presente in proporzione al consenso registrato, nella quale il confronto possa avvenire alla luce del sole, agli occhi dei lavoratori e del popolo della sinistra, non nei conciliaboli riservati agli addetti ai lavori; che sia infine strumento di organizzazione e unificazione del fronte di opposizione contro governo, Confindustria, Vaticano.
Non è solo la proposta del più largo raccordo unitario a sinistra, nel rispetto della piena autonomia di ogni soggetto e progetto. Ma è anche una proposta di possibile impatto politico pubblico. A fronte di un Parlamento berlusconiano, di un’opposizione parlamentare largamente impotente e consociativa, di una crisi profonda di rappresentanza politica del movimento operaio combinata con l’estromissione di tutte le sinistre dal Parlamento, la stessa configurazione di un parlamento delle sinistre potrebbe rappresentare un fatto politico rilevante: non solo un atto simbolico e forte di rottura col bipolarismo, ma un punto di riferimento, sociale e democratico, dell’antiberlusconismo popolare che oggi anche per l’assenza di un riferimento a sinistra prende spesso la via del Dipietrismo e del Grillismo.
Perché non provarci? O si teme che un parlamento autonomo delle sinistre possa compromettere gli equilibri di rapporto col PD e il filo di una ricucitura con Bersani?

Queste sono alcune nostre domande e proposte unitarie, a fronte dell’eccezionalità del momento. Sono proposte non nuove che qui ribadiamo e che chiedono finalmente risposte. Sono proposte che formalizzeremo nuovamente con ulteriori atti pubblici e che porremmo come terreno di confronto e sperimentazione, nella misura possibile, anche sul piano locale.
Quanto a noi, la scelta irreversibile di costruire il nostro partito come partito indipendente, sulla base del programma per un governo dei lavoratori, non farà mai velo alla nostra ricerca dell’unità d’azione e del confronto unitario. Sempre e solo nell’interesse generale del movimento operaio e di un’alternativa anticapitalista e rivoluzionaria.

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