OTTO PUNTI DI CLASSE PER L’OTTO MARZO – #8 LA VIOLENZA FINISCE SOLO SE ABBATTIAMO PATRIARCATO E CAPITALISMO

La soluzione sta nella rivoluzione non nel riformismo

“Dovere principale della moglie è provvedere al governo della casa in subordinazione al marito. All’uomo spetta l’ultima parola in tutte le questioni economiche e domestiche e la donna deve essere pronta all’obbedienza in tutte le cose: il suo posto è soprattutto in casa. Son da condannare gli sforzi di quelle femministe le cui pretese mirano ad un’ampia uguaglianza fra uomo e donna.” Papa Paolo VI

La donna non è solo lavoratrice sfruttata. È soprattutto proprietà. Proprietà di altri. Dal momento in cui è stata estromessa dalla produzione e relegata all’insignificanza, la donna è diventata una delle proprietà dell’uomo. Che l’idea di donna come proprietà sia dura a morire lo dimostra la recentissima abrogazione di alcune leggi vergogna. La possibilità del matrimonio riparatore per gli stupratori venne abrogata nel 1981 (Franca Viola) e lo stupro diventa un reato contro la persona e non contro la morale solo nel 1996, il delitto d’onore viene abrogato anch’esso nel 1981.

Che le donne siano una proprietà è universalmente accettato, anzi incoraggiato. Leggete i testi di una canzone d’amore o leggete tra le righe di qualsiasi film strappalacrime… Ci sono tutte le parole e le metafore del possesso, “tu sei mia!”, quale donna non vuole sentirsi dire queste parole…  Alcune per fortuna no. L’amore stesso è pervaso dall’idea capitalista di proprietà.

Il sistema capitalista entra anche nei rapporti amorosi tra le persone, e lo fa con la sua carica distruttrice, mercificando anche i sentimenti. La totale appartenenza di una persona all’amato e il suo totale ed esclusivo annullamento è l’ideale che ci viene costantemente proposto, dalle favole al matrimonio borghese. Quindi questa visione maschilista della donna è patrimonio comune, sia degli uomini che delle donne. Il problema del considerare l’altra persona una proprietà è questo: con ciò che mi appartiene io posso fare di tutto… Io posso amare la mia donna (finché mi è fedele ovviamente), ma posso anche picchiarla e ucciderla se decide di andarsene o fare di testa sua. È su queste basi culturali che si fonda il fenomeno del femminicidio.

La parola femminicidio esiste nella lingua italiana solo a partire dal 2001. Nella lingua inglese invece, dal 1801 esisteva la parola femicide. E a questa prima parola se ne accostò, a partire dal 1992, un’altra che è feminicide. Noi facciamo sempre i conti tardi con le nostre tradizioni nazionali. La parola non indica semplicemente l’uccisione di una donna. Ma l’uccisione di una donna in quanto tale.

Il femminicidio è la prima causa di morte delle donne tra i 16 e 44 anni. Quindi, chiunque tra i lettori e lettrici ha una figlia femmina sappia che ha più probabilità di essere ammazzata dal proprio compagno, fidanzato, padre, fratello o ex che da un incidente stradale, da una malattia, dalla droga, ecc. Sarebbe bello vedere un padre che, quando la figlia esce per andare in discoteca, le dice: “Stai attenta al tuo ragazzo” al posto dei classici “Non bere”, “Vai piano in macchina”, ecc.

I numeri sono abbastanza inquietanti, non serve aggiungere molto. Le donne uccise l’anno scorso sono più dei morti degli attentati di Nizza, ma a nessuno interessa nulla, esattamente come i morti sul lavoro. La motivazione è semplice: esattamente come i morti sul lavoro, i femminicidi sono vittime organiche al sistema, sono prodotte dal sistema, sono inevitabili.

Sono il prodotto della bella famiglia cattolica italica che tanto piace a papa Bergoglio e alle sentinelle in piedi. Una famiglia Mulino Bianco dove, oltre ai femminicidi, avviene anche il 69% degli stupri, oltre a violenze e vessazioni senza fine (in Europa il 12-15% delle donne subisce quotidianamente violenze domestiche). Con buona pace dell’immagine dell’immigrato stupratore che tanto piace ai telegiornali. Fare qualcosa contro queste morti significa mettere in crisi il sistema stesso che le produce. Quindi si ignorano. O al massimo si riserva loro qualche articolo scritto da qualche borghesotta la cui indignazione dura quanto il tè delle cinque con i biscottini.

Malgrado le sanguinose lotte delle donne nella storia ci abbiano garantito la famosa parità di diritti  civili, nel sistema economico attuale capitalista  il paradigma dominante  è ancora lo stesso,  la donna è  oggetto di proprietà dell’uomo al pari di altra merce e in quanto tale può e deve essere usato a piacimento e in quanto merce può essere rottamato quando non è  più utile all’uomo e al sistema stesso. È dunque il concetto di superiore ed inferiore che giustifica lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo e di quest’ultimo sulla donna  e peggio ancora dello stato borghese su entrambi.  Ed è esattamente a questo punto che inevitabilmente  gli interessi delle donne borghesi  e delle donne proletarie non coincidono più perché le donne borghesi  utilizzano esse stesse  il principio dello sfruttamento della propria classe sociale sulle proletarie, non sono disposte a rinunciare ai privilegi della proprietà privata in nome della liberazione di tutte le donne, la donna ricca possiede sovente una serva povera e sottopagata e per queste ragioni qualsiasi lotta femminista che non preveda l’abbattimento delle classi sociali, non  rinneghi la proprietà privata e il principio di sfruttamento che ne consegue, è destinato a fallire o peggio ancora, diviene un ulteriore strumento  di sfruttamento al soldo del capitalismo.

Cosa fare dunque? Se i problemi che vi abbiamo elencato in questi giorni sono originati dalla stessa causa diventa difficile eliminarli uno a uno senza estirpare tale causa comune. Sfruttamento e patriarcato hanno la loro origine comune nella società capitalista. Quindi è necessario abbattere il capitalismo e tutte le forme di controllo sociale con cui si impone. Insomma, la questione femminile si risolve con la rivoluzione socialista, ossia con l’avvento di una società in cui verrà distrutta l’economia basata sul profitto di pochi e verranno distrutte anche tutte le forme di organizzazione sociale funzionali a tale assetto economico, come la famiglia monogama. Si tratta di una società che non scaricherà più il lavoro sociale sulle spalle delle donne, ma lo renderà collettivo.

Liberate dalle preoccupazioni di tipo materiale, grazie alla proprietà dei mezzi di produzione, le persone potranno finalmente scegliere.

COSA CHIEDIAMO

  • Lotta ai femminicidi
  • Fondi ai centri antiviolenza
  • Fondi a case di tutela per donne maltrattate, creazione di un percorso garantito ma rifiuto del codice rosa con denuncia obbligatoria
  • Sottrazione della patria potestà in presenza di violenza domestica

#8M #nonunadimeno #lottomarzo #lottaproletaria #lavoro #autodeterminazione #sciopero

 

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