M5S e sindacato. La conferma di un programma reazionario

«Disintermediare» la relazione tra dipendente e impresa. Questo concetto è al centro del documento programmatico di governo del M5S in tema di lavoro. Ovviamente il concetto è avvolto dalla tradizionale nebulosa ideologica più o meno futuribile («nuove forme di partecipazione nei luoghi di lavoro», ecc.). Ma dentro la voluminosa confezione la merce è chiarissima: se “uno vale uno” che senso ha una rappresentanza di classe dei lavoratori con poteri di contrattazione?

La suggestione non è nuova. «Il sindacato è roba da ‘800» esclamava Beppe Grillo in un comizio a Reggio Calabria nel 2013. «Eliminiamo i sindacati che sono una struttura vecchia come i partiti, voglio uno Stato con le palle» gridava il comico guru a Brindisi nel gennaio 2013. «Ogni lavoratore si rappresenti da solo, il sindacato non serve a nulla» dichiarava un mese fa Luigi di Maio a proposito dei licenziamenti di Almaviva. Si potrebbe continuare a lungo. Non si tratta di esagerazioni oratorie. Si tratta della cifra profondamente antioperaia del M5S. Una ideologia che dissolve le classi e il loro conflitto in una massa indistinta di “cittadini” atomizzati, soli davanti al proprio computer nell’universo virtuale della rete, per quale ragione dovrebbe riconoscere una organizzazione collettiva dei salariati?

Non è una postura puramente “ideologica”. È un posizionamento politico. Una forza politica che assume la piccola e media impresa capitalistica come proprio referente sociale strategico, che offre alle imprese l’abolizione dell’Irap (con cui si finanzia la sanità pubblica) a vantaggio dei loro profitti, segnala semplicemente al proprio mondo di riferimento la propria avversità al sindacato, dentro una competizione nel corteggiamento dell’impresa che si fa particolarmente affollata. Negli stessi anni in cui Marchionne ha scatenato la propria offensiva antisindacale, in cui il padronato lavora a svuotare il contratto nazionale nel nome di “libere relazioni aziendali” (sfruttando la subalternità delle burocrazie sindacali), in cui le imprese si costruiscono il proprio welfare aziendale rafforzando il vincolo di subordinazione dei propri dipendenti, il programma di “disintermediazione” del rapporto tra lavoratore e impresa avanzato dal M5S è tutto tranne che casuale: da un lato esprime sintonia con le tendenze dominanti, dall’altro si pone in aperta concorrenza col renzismo e col centrodestra nella conquista del blocco piccolo-medio borghese proprietario. Di più. Proprio nel momento in cui l’indebolimento politico subìto ha costretto Renzi (e Gentiloni) a retrocedere dall’offensiva frontale contro i sindacati, il M5S gioca cinicamente allo scavalco del renzismo sul terreno della contrapposizione al sindacato. Proprio nel momento in cui il centrodestra fatica a ricomporre le proprie contraddizioni politiche nella rappresentanza del proprio blocco piccolo-medio borghese, il M5S si candida scopertamente a rappresentare quel mondo.

«Il M5S realizzerà ciò che voleva fare Berlusconi… che è stato un punto di riferimento per gli imprenditori» (La Stampa, 9/4): non lo ha detto un rozzo calunniatore del grillismo, ma Massimo Colomban, assessore della giunta Raggi, padrone del Nord-Est, mediatore nazionale dell’incontro tra M5S e l’organizzazione padronale Confapri, tra i principali organizzatori del convegno celebrativo di Ivrea a un anno dalla morte di Casaleggio. La proiezione del M5S verso la vecchia base sociale del berlusconismo nel Nord e nel Nord-Est ha rappresentato sin dall’inizio un assillo di Gianroberto Casaleggio. Ad oggi il Nord ed in particolare il Nord-Est è ancora il lato relativamente più debole dello sviluppo del grillismo. Ma proprio per questo l’attenzione politica del M5S verso il blocco delle imprese del Nord si farà sempre più insistente, in proporzione alle ambizioni nazionali di governo. Il convegno di Ivrea è stato un investimento anche e soprattutto in quella direzione.

Il grande capitale non punta oggi sul M5S. Diffida della sua improvvisazione, sente estranea la sua logica di setta, guarda con apprensione il suo possibile accesso al governo. A Ivrea, non a caso, la grande impresa era sostanzialmente assente (con l’unica eccezione di Google Italia). Ma parallelamente, la crisi congiunta del renzismo e del centrodestra rafforza il grillismo e la sua presa interclassista. E la setta dirigente del M5S sa che lo sviluppo della propria forza elettorale e il proprio radicamento nella piccola e media impresa è anche la via per lustrare la propria candidatura di governo agli occhi del grande capitale.
La borghesia non sposa mai di primo acchito le forze populiste reazionarie, preferendo i propri strumenti tradizionali. Ma se e quando le forze populiste dovessero apparire una carta vincente o un riferimento obbligato nella contrapposizione al lavoro, la borghesia non si farebbe scrupolo nell’usare la loro massa d’urto. È la lezione dell’esperienza storica.

Naturalmente ci sono ben presenti le contraddizioni del M5S, i suoi elementi di fragilità, la guerra per bande che l’attraversa nei territori, la sua difficoltà a selezionare un quadro dirigente della macchina statale borghese che sia al tempo stesso “capace” e fedele al comando della setta. L’esperienza di Roma (e non solo) è emblematica. Ma sono le contraddizioni di un movimento politico reazionario con influenza di massa. Non cogliere questo aspetto, e salutare il M5S come possibile sponda politica e sindacale per i lavoratori, significa disarmare l’avanguardia di classe di fronte a un nemico politico. Continuare ad affermare, con tono indulgente, che il M5S non è né di destra né di sinistra, e per questo permeabile alle ragioni del lavoro, significa avvallare la truffa del grillismo proprio nel suo aspetto ideologico: la rivendicazione di una rappresentanza dei cittadini fuori dalle vecchie ideologie è infatti esattamente la cifra di una cultura reazionaria in funzione del suo sfondamento interclassista. Non a caso è un tratto ideologico costante, seppur in forme diverse, di tutti i populismi reazionari in Europa e nel mondo. Il grillismo, sicuramente atipico, non fa eccezione.

La battaglia politica contro il grillismo è stata ed è in questi anni un aspetto importante della nostra battaglia controcorrente tra i lavoratori e nel confronto a sinistra. Tanto più lo è e lo sarà in un contesto politico nel quale l’accesso del M5S al governo del capitalismo italiano è una prospettiva che, per quanto difficile, non può più essere esclusa. La contrapposizione alle tre destre (renzismo, salvinismo, grillismo) è oggi più che mai la cartina di tornasole di una politica di classe.

Partito Comunista dei Lavoratori

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