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Dignità significa combattere

“Ho sempre tentato. 
Ho sempre fallito. 
Non discutere. 
Prova ancora.
Fallisci ancora. 
Fallisci meglio!”.  
Samuel Beckett

di Maddalena Robin – “Questi sono discorsi da reduci”, più o meno sono state queste le parole, che ieri sera un compagno ha usato per definire un suo articolo sui sanguinosi giorni di Genova.
Reduci, questa parola ha continuato a ronzarmi in testa fino a stamattina… è vero, siamo dei reduci! Anzi, siamo i veri reduci di quella battaglia e di tante che l’hanno preceduta e dobbiamo rivendicarlo, soprattutto ora, che tutti (anche il PD!) dedicano pagine su pagine di scritti e memorie sui fatti di Genova e sull’assassinio di Carlo Giuliani, dimentichi (?) delle dichiarazione fatte a pochi secondi dalla sua morte e della loro immediata ritirata dalle piazze.
Ora Carlo è figlio di tutti, non è più un “black bloc morto”, e neppure il “facinoroso ucciso mentre assaltava i carabinieri”, uno di quelli da cui prendere al più presto le distanze.

Ci sono voluti dieci anni. Ora tutti ricordano … tutti raccontano, tutti piangono i maltrattamenti dello “Stato cattivo”, si auto flagellano nel ricordo, con la memoria sterile di chi si ricorda solo le mani dipinte di bianco e tutti gli altri erano infiltrati, stranieri, anarcoinsurrezional-terroristi, black-block! Ricordano così tanto che a sentire quei racconti ti viene voglia di lanciargli una molotov all’ammoniaca (stile Val Susa).

Quello che però non ho letto nei tanti resoconti dei reduci sono le parole di Gianfranco Fini, che pochi giorni prima aveva annunciato come era stato predisposto un obitorio per 500 salme “per ogni evenienza”; lo stesso Gianfranco Fini, che in quelle ore sedeva ai posti di comando dove tutto è stato deciso.
Non ho letto nulla su coloro che hanno voluto per forza dichiarare guerra, sapendo di lasciare per terra qualcuno.
Non ho letto nulla sulla totale e imbarazzante mancanza di una qualsiasi forma di servizio d’ordine nelle manifestazioni. Sulla quasi inesistente critica ai portavoce di quelle maledette giornate.

Non intendo con questo dire che debbano tacere o addirittura dimenticare, al contrario … ricordiamo e parliamo.
Parliamo eccome! Ma non di “io ricordo” che sembra di stare alle riunioni degli alcolisti anonimi  o su una puntata di “la vita in diretta”.
Parliamo assolutamente dei processi e della cassazione che ora si pronuncerà per far scontare a dei compagni una moltitudine di anni di galera. Nel silenzio totale.
Parliamo di noi, di quello che abbiamo subito consapevolmente, parliamo di quello che abbiamo costruito e di quello che avremmo potuto costruire, in questi dieci anni. Parliamo delle stronzate che sono state fatte passare.
Parliamo di questo paese che se non fosse per la Val di Susa  avrebbe cancellato la definizione “conflitto sociale” da ogni dizionario. Salvando però quelle di “guerra umanitaria” e “missione di pace”.
Parliamo di coloro che si definiscono di sinistra, la cui memoria funziona a comparti stagni, quelli che sono sempre pronti a parlare di resistenza e confino ma che sono stranamente muti ed inconsapevoli se si parla di lotta armata e leggi speciali, che saltano dalle torture naziste a Bolzaneto, da Dante di Nanni a Carlo Giuliani come se in mezzo non ci fossero state le torture, l’annegamento simulato  o l’uso degli elettrodi sui genitali praticato da Ucigos e Nocs nel biennio 1982-83, i morti di Via Fracchia e Mara Cagol.
Parliamo di loro e facciamoli infine tacere soffocandoli sotto il peso dell’unica verità che non potrà mai essere discussa. Quella della storia.

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