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Ecologismo e nucleare: considerazioni sparse

Articolo di Falaghiste – Gli argomenti della polemica fra nuclearisti e anti-nuclearisti sono da sempre rimasti quasi gli stessi fin da prima l’incidente alla centrale di Chernobyl (il 26 aprile del 1986) che rese possibile la vittoria del referendum contro la costruzione delle centrali nucleari in Italia.
Da allora, i due schieramenti, si misurano ancora attraverso le più svariate versioni di catastrofismo ecologico (più o meno soft da parte dei contrari al nucleare) e altrettante di genere “sviluppista” da parte dei favorevoli.
Negli anni precedenti a Chernobyl, a cominciare dall’inizio degli anni 70, nacquero i primi movimenti ecologisti.

Fu una galassia di diverse ispirazioni teoriche e “immaginari ecologici” che si formarono all’interno dei grandi movimenti sociali di quegli anni a partire dal movimento hippie, ma anche da culture urbane piccolo borghesi e da minoranze di agricoltori che non avevano accettato l’industrializzazione dell’agricoltura; non mancarono nemmeno movimenti di carattere neo-luddista che rifiutavano la tecnologia e fondendevano lo spirito ecologico e pacifista dei figli dei fiori con l’aspirazione secolare delle masse contadine al diritto alla terra.
Questi ultimi furono protagonisti di azioni (intorno alla metà degli anni settanta) di occupazioni di case coloniche abbandonate sull’appennino tosco-emiliano romagnolo che portarono alla nascita di diverse comuni.
La più famosa di queste, la cooperativa: zappatori senza padroni di pian dei Baruzzoli, nel comune di San Benedetto in Alpe è conosciuta in tutta Europa ed è tutt’ora esistente.
Queste comuni misero in pratica, oltre che il rifiuto della tecnologia, anche stili di vita anticapitalisti. Uno dei loro slogan più famosi era infatti : “la casa a chi la abita, la terra a chi la lavora”.
Espropriarono la proprietà privata, sebbene fossero case abbandonate e ignorate dai proprietari da decenni, violando il dogma della proprietà privata..
Cercarono inoltre di applicare e sperimentere ogni tipo di tecnologia ecologica e agricoltura naturale.

I loro limiti furono la scarsità dei mezzi ma soprattutto il rifiuto di darsi un’organizzazione politica autonoma e questo li costrinse a scendere a patti con la politica borghese.
Considerando l’ascendente che agli inizi queste esperienze esercitavano su ampi settori giovanili si può dire che fu sprecata una grande occasione per unire concretamente in chiave rivoluzionaria: ecologia e socialismo.

Furono invece i movimenti ecologisti piccolo borghesi ad egemonizzare la lotta politica per la difesa dell’ambiente e, visto il trogloditico ritardo del PCI sulle questioni ambientali, ottennero (fondando il partito dei Verdi), consensi anche da settori culturalmente di sinistra.
Nell’opposizione al nucleare quindi tutto il discorso si incentrò sulla pericolosità delle centrali nucleari, sui costi proibitivi della loro costruzione, sui tempi di esercizio limitati e naturalmente sulla questione insoluta dello stoccaggio delle scorie.
Tutti ottimi argomenti che, però, dopo oltre 20 anni sono rimasti più o meno gli stessi, salvo una maggiore sottolineatura sullo sviluppo delle energie alternative che dovrebbero sostituire quelle tradizionali.
Insomma ogni critica di sistema è rimasto completamente fuori dal dibattito.
Anche sull’altro fronte gli argomenti furono gli stessi di oggi: lo sviluppo, la crescita dell’economia, il costo dell’energia importata ecc… e naturalmente il fatto che le nuove centrali sono sicure, come del resto lo erano quelle di una volta rispetto alle precedenti.

Fino a pochi mesi fa, per uno di quei ricorsi a cui la storia qualche volta ci mette di fronte, proprio quando l’affare nucleare sembrava risolto “finalmente” senza nessuna opposizione, ecco che capita un altro incidente sul percorso dei nuclearisti.
Come accadde allora, quando il referendum contro le centrali nucleari si combinò con l’incidente di Cernobyl, ecco un altro referendum alle porte in concomitanza con il disastro giapponese che potrebbe spingere gli italiani a votare consentendo il raggiungimento del quorum. Comunque vada però, dipenderà dall’onda emozionale del momento e non da un ragionamento e da una scelta logica sul futuro energetico del paese, cioè da una coscienza diffusa di che cosa significa utilizzare l’energia per produrre ciò che ci serve senza distruggere la natura.
Del resto anche ai tempi del referendum dell’86 se non ci fosse stato Chernobyl è probabile che avrebbe vinto il fronte dei nuclearisti, o non si sarebbe raggiunto il quorum, ed ora saremo in una situazione assai diversa.
Significa che la vittoria al referendum non fu prodotta e non produsse poi una crescita della “coscienza ecologica”, ma solo un provvisorio arresto del nucleare con la prosecuzione di una disastrosa politica energetica basata sullo spreco delle risorse naturali e sull’abuso dell’importazione dell’energia da paesi terzi.

Nessuno fra gli ambientalisti che furono i depositari della vittoria al referendum, trovandosi così in una posizione di prestigio e credibilità, si pose il problema di andare oltre il fiorellino e il pannellino solare per aprire un discorso di critica al capitalismo come “sistema energivoro” e quindi sulla necessità di cambiare tipo di economia.
Questo però non deve stupire perché i gruppi dirigenti dei Verdi, per le ragioni sopra esposte, sono sempre stati ideologicamente liberali e quindi convinti che il capitalismo è compatibile con il rispetto dell’ambiente naturale e col sennò del poi, si vede la fine che hanno fatto.
Macerati dalle contraddizioni fra la loro ragione sociale (la protezione dell’ambiente) e l’alleanza di governo ripetuta con i partiti borghesi del centrosinistra, il ceto politico ambientalista non potendo contare, come i Verdi tedeschi, di un altro genere di bilanci e quindi di forza contrattuale, è scomparso dal quadro istituzionale per poi disperdersi con varie scissioni negli apparati (e non solo quelli) di centro sinistra.
Fra questo i sopravvissuti hanno tutti abbracciato la teoria della green-economy per la quale la crisi si risolverebbe convertendo la produzione secondo criteri tecnologici di risparmio energetico e compatibilità ambientale, lasciando però intatti i meccanismi prettamente economici di governo del capitale e di formazione del profitto tramite l’organizzazione dello sfruttamento del lavoro.
In effetti, la crisi dell’ambientalismo politico organizzato ( soprattutto dei verdi) sotto certi aspetti assomiglia al disastro della fine del PCI; ovviamente con conseguenze sociali e politiche molto minori, ma simile per potenzialità sprecate e abuso di stupidità e ingordigia burocratica.

Comunque… la vittoria a quel referendum fu un’occasione straordinaria per aprire davvero una nuova stagione di lotte per la salvaguardia dell’ambiente naturale; un’occasione poi sprecata allora, ma che potrebbe ripetersi nelle attuali circostanze.
Certo l’emozione e la paura su Chernobyl fu infinitamente maggiore rispetto allo tsunami giapponese, sul quale già da ora si avvertono segni di cedimento della pubblica attenzione, inoltre i partiti rappresentati in parlamento sono tutti a favore del nucleare e faranno il possibile per boicottarlo, ma comunque dopo molti anni si ripresenta la possibilità di criticare pubblicamente il nucleare con la certezza di catalizzare un discreto consenso.

E’ necessario cogliere l’occasione affinchè finalmente emerga nella campagna referendaria e nel dibattito pubblico la posizione rivoluzionaria che indica e denuncia il capitalismo come unico e non riformabile nemico dell’ambiente e della salute dell’uomo; come sistema economico, che distrugge più di ciò che produce e come sistema sociale, che impoverisce la maggiore parte degli abitanti del pianeta.
Ed anche qui, la parola d’ordine non può essere che rivoluzionaria, non come estrema opzione ma come scelta di semplice buon senso. No al nucleare quindi !….e non solo per la sua pericolosità, ma per la sua inutilità, in quanto possiamo produrre ciò che ci serve utilizzando molta meno energia di quella che sprechiamo attualmente.
La dove, non solo la sete di giustizia, ma anche la logica, la ragione e la scienza cedono alla miseria dell’obbligarietà del profitto, è più facile che emerga la necessità della rivoluzione per il socialismo, come unico sistema possibile di gestione dell’ambiente naturale.

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