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Il brutto “affare” della Dometic


La Dometic è un’azienda multinazionale facente capo ad una finanziaria svedese che nello stabilimento di Forlì produce sistemi di climatizzazione per camper impiegando circa settanta addetti, fra impiegati e operai.
Non è un’azienda in crisi, anzi i suoi prodotti riscuotono un certo successo nel mercato internazionale, tuttavia  due mesi or sono, appena dopo aver elogiato lo stabilimento di Forlì come fiore all’occhiello del suo sistema industriale, paradossalmente, la direzione comunicava la decisione di chiudere per trasferirsi in Cina.
Da quel giorno i dipendenti si sono regolarmente recati al lavoro nonostante la produzione fosse ormai quasi ferma; e questo in virtù di un accordo sottoscritto dalle parti che prevedeva fino alla fine di agosto la sospensione di ogni azione relativa alla condizione delle maestranze e all’utilizzo degli impianti.
Tuttavia , a dimostrazione che quasi sempre a ricchezza economica corrisponde  povertà umana, l’azienda ha tentato per due volte di svuotare il  magazzino dove ancora  giacciono apparecchiature  in ordine di consegna.
Grazie all’attenzione dei lavoratori  e, per loro fortuna, anche a causa della goffaggine degli autori,i suddetti tentativi sono falliti miseramente. Tuttavia ciò ha costretto  ad una maggiore e costante vigilanza  attraverso un presidio permanente messo in atto a partire da Domenica 25 agosto di fronte allo stabilimento di via Virgilio.
Questa in sintesi la cronaca delle vicenda; riguardo ai particolari invece ne hanno dato ampio resoconto i giornali di Domenica nelle pagine locali.
Ma a noi, e certamente anche ai lavoratori della Dometic che rischiano il posto di lavoro, interessa soprattutto quale sarà il loro destino.
Su questo occorre premettere la certezza  che esso dipenderà, oltre che dall’avere chiaro l’obbiettivo comune, dalla capacità di mantenere il massimo livello di mobilitazione e unità fra di loro e nella ricerca  di appoggi esterni.
L’esperienza insegna che il principio generale delle lotte che si sono concluse con una vittoria operaia ( vedi quella esemplare alla INSE di Milano), è che: ad un attacco bisogna rispondere sempre con una forza almeno uguale e contraria; e contrattaccare se è possibile.
Per cui :  se l’azienda vuole chiudere bisogna contestarne la chiusura, se no già si parte svantaggiati nelle trattative avendo già concesso al padrone una prima vittoria.  Insomma è il padrone ad avere subito il coltello dalla parte del manico per imporre le sue priorità che sono opposte a quelle dei lavoratori , la cui priorità è ovviamente il lavoro.
Bisogna inoltre considerare che gli attori in campo non sono soltanto i lavoratori e la proprietà ma c’è anche il sindacato, cioè i funzionari di mestiere che hanno lo stipendio  e la pensione garantiti; che devono rispondere del loro operato, non solo ai lavoratori, iscritti e non, come dovrebbero( e sarebbe giusto che fosse), ma alla politica dei loro partiti.
Per cui è nella loro natura mantenere il livello del conflitto il più basso possibile e concludere ogni situazione di crisi soddisfacendo gli interessi delle imprese ( e dell’attuale governo di banchieri strozzini e avidi capitalisti industriali ) e in subordine, molto in subordine, quelli dei lavoratori.
Contemporaneamente però, i burocrati sindacali, devono mostrare ai lavoratori di essere dallo loro parte; e sono molto abili in questo: parlano quasi sempre con lingua biforcuta e un occhio lo strizzano al padrone e l’altro ai lavoratori.
Per esempio e fatto salve le ovvie differenze, alla Micromeccanica di Forlì, alla Croci di Bertinoro, come anche l’Electrolux: alla fine la proprietà ha sempre ottenuto ciò che voleva, chiudere o ristrutturare licenziando una parte dei lavoratori e certamente la situazione non cambia in proiezione nazionale.
Al massimo alla fine di estenuanti trattative, fatte per fiaccare la combattività dei lavoratori, ciò che le burocrazie sindacali hanno ottenuto (presentandolo poi come il massimo possibile) è qualche prolungamento degli ammortizzatori sociali ( pagati con le tasse versate da tutti i lavoratori ) o qualche decina di migliaia di euro di buonauscita, che probabilmente la controparte aveva già previsto di  dover sborsare fin dall’ inizio.
Questo non vuol dire che il sindacato sia sempre contro i lavoratori , ma  vuol dire che l’iniziativa  deve partire da loro e sono loro che devono decidere gli obbiettivi e le forme di lotta più adatte a raggiungerli : in questo caso anche il peggior sindacato è costretto, suo malgrado, a seguire e sostenere i lavoratori.
E’ già successo in passato, nella storia del movimento operaio e sindacale, che alcune lotte più radicali siano state condotte inaspettatamente da settori sindacali moderati, mentre altri considerati per loro natura più conflittuali siano stati a guardare, salvo poi accodarsi all’ ultimo momento.
Naturalmente, comunque vada a finire, la nostra solidarietà nei confronti dei lavoratori della Dometic è assoluta ma se la vertenza dovesse concludersi con la chiusura definitiva dell’azienda sarebbe un’altra sconfitta, non solo per quelli che non riusciranno a trovare  un altro lavoro, ma per tutta la classe operaia, noi compresi.
Ormai da qualche anno seguiamo le varie situazioni di crisi nelle aziende nel nostro comprensorio e da allora abbiamo sempre proposto la costituzione di un consiglio o comitato ( il nome non importa ) dei delegati e dei lavoratori delle aziende in crisi, aperto alle forze politiche e sociali che intendono unificare le lotte operaie (che fin’ora sono rimaste separate) sulla base di una precisa rivendicazione: no ai licenziamenti, senza se e senza ma.
NO AI LICENZIAMENTI; UNITI LICENZIAMO I PADRONI !
Cellula operaia PCL forlì Cesena

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