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“LAVORARE PER IL MONDO” n°6 – La dialettica in Marx, “capitolo VI inedito” del Capitale

Il presente articolo è già stato pubblicato sul sito “il comunista” (http://ilcomunista23.blogspot.it/2013/06/la-dialettica-in-marx-cap-vi-inedito.html) ed è legato al ciclo di video qui disponibile http://www.youtube.com/watch?v=UzQ3jByb_Fo&list=PL762B203FF376DC46

 

La dialettica in Marx – cap. VI inedito – introduzione

di Stefano Garroni

  Marx è un autore in realtà profondamente diverso da quello che comunemente si pensa. 
Noi non dobbiamo dimenticare due fatti: 
1) una dichiarazione di Lenin il quale nei suoi quaderni filosofici diceva che senza aver capito la logica di Hegel non si capisce nulla del capitale di Marx. E purtroppo questo è proprio vero. Lenin ricavava da questa osservazione la conseguenza che “quindi sono 50 anni che nessuno capisce niente del testo di Marx” . E la situazione è cambiata solamente per il numero degli anni. 
Ora, questo rapporto stretto con la logica di Hegel deve in qualche modo spaventare. Io lo dico anche con una funzione se volete terroristica, nel senso che Marx è un autore difficile, complesso. La decisione di cominciare a capire che cosa Marx dice è una decisione importante che implica un impegno intellettuale per ognuno. 
Io credo che noi dovremo procedere già dalla seconda riunione in questa maniera: e cioè volta a volta un compagno fa una sorta di esposizione riassuntiva di una parte del testo che lui ha letto – lo incarichiamo volta a volta – e successivamente discutiamo quella parte introducendo tutti gli elementi di approfondimento che consentano poi di capire effettivamente che cosa c’è scritto in quella parte. 
Perché procedere così? Perché è importante che ognuno sia effettivamente impegnato nella lettura del testo e si renda conto anche direttamente della complessità del ragionamento marxista. e badate che questo ha una conseguenza politica importante: appunto esser comunisti non è una cosa semplice, non è semplicemente l’elaborare una politica contro un’altra politica, ma è una forma di impegno estremamente più di fondo. E questo noi dobbiamo riuscire a ricavarlo ovviamente da Marx. 
2)perché abbiamo scelto il capitolo VI inedito del capitale? Al fondo ci sono due osservazioni: a) se Marx non avesse scritto il capitale occuperebbe al massimo poche righe dentro la storia della filosofia nel capitolo sullo sviluppo dell’hegelismo. La partita di Marx si gioca tutta sul capitale. Quindi bisogna avere bene in testa questo: senza un rapporto con il testo del capitale non si ha un rapporto con il pensiero di Marx. Questo deve essere chiaro: non ci sono scorciatoie. 
In più il capitolo VI inedito appartiene a quelle migliaia di pagine che Marx scrisse nel periodo in cui andava tentando di comporre l’opera del capitale. 
Voi sapete che Marx consegnò all’editore solamente il primo libro del capitale. Il resto lo ha lasciato tutto in condizioni di appunti, di prime stesure, di seconde stesure: tutto materiale grezzo. Solo successivamente alla sua morte Engels, Kautsky e Bernstein, si occuparono di pubblicare il secondo e il terzo libro e il così detto quarto libro del capitale. Il quarto libro sarebbe la serie di note che Marx prende quando riflette su i vari pensatori dell’economia politica. Però in realtà Engels, Kautsky e Bernstein, hanno fatto una selezione tra le migliaia e migliaia di pagine che Marx ha scritto. 
Mano a mano, a partire dagli anni ’70 in sostanza, queste migliaia di pagine che sono state pubblicate – prima nell’edizione dell’opera di Marx in lingua russa, poi nell’edizione tedesca e poi anche in Italia – non hanno veramente fatto attempo ad agire su un universo culturale perché sono state pubblicate – come dire -, troppo recentemente. 
Quello che va sotto il nome di “Capitolo VI inedito” è un piccolo numero di queste pagine che non trovarono posto nel primo, nel secondo e nel terzo libro del capitale, e che si collocano a cavallo tra il primo e il secondo libro. In questo senso costituiscono una sorta di riassunto, se non di tutto il capitale, ma almeno di alcuni temi fondamentali, scritto da Marx stesso.
 
È troppo ovvio che quando si fanno i riassunti c’è sempre il rischio di falsare le cose di cui si fa il riassunto, e siccome questo riassunto lo ha fatto Marx difficilmente lui ha falsato il proprio pensiero.
Di questo testo in italiano esistono tre edizioni: una della Newton Compton (che io non ho), un’altra fu pubblicata dalla Nuova Italia con il titolo “Il capitale, libro primo, capitolo VI inedito”, e un’altra che è la migliore, si intitola “Risultati del processo di produzione immediato” ed è a cura di Badaloni per gli Editori Riuniti. 
Concretamente, noi useremo nel nostro lavoro il testo tedesco ed entrambi queste versioni italiane, perché ovviamente la traduzione è estremamente importante. Il linguaggio di Marx è un linguaggio complicato, non è un linguaggio semplice. Il rapporto con Hegel è vero, e allora bisogna cercare di capire bene e sarà interessante anche cogliere differenze di traduzione che sono molto significative. A volte potrà essere mostrato come la traduzione italiana rende impossibile capire quello che Marx ha scritto. 
Perché fare questo tipo di lavoro? Noi non siamo in una università e quindi perché fare questo lavoro? La ragione, molto francamente, è politica. Credo che sia assolutamente necessario recuperare questa consapevolezza: il comunista non è un chiacchierone, non vende fumo. Il comunista costruisce la propria personalità, il proprio comportamento, la propria azione politica, su conoscenze precise. Il comunista è eminentemente un personaggio che si muove contro l’ideologia, cioè contro le frasi, contro le chiacchiere, e vuole conoscenze determinate, precise e serie. Allora è importante che si riprenda un lavoro che tanti anni fa i partiti comunisti facevano, che è quello veramente di formazione di quadri , nel senso di far scontrare i compagni con le difficoltà effettive della riflessione politica ed economica.
Ovviamente noi viviamo in una epoca buia in cui il discorso politico che sentiamo in continuazione in televisione, o nel parlamento o sui giornali, è di uno squallore tale, che appena uno dice “politica”, gli viene un senso di disgusto.
Però attenti compagni: la politica non è questo. Questo imbroglio che ci viene presentato come politica, non è per caso, ma è perché non si vuole che noi capiamo i problemi. E i comunisti hanno l’impegno di capire e di far capire i problemi veramente. E allora ecco perché sono contro le ideologie, contro le mistificazioni, contro le frasi e contro l’imbroglio. Per questo il marxismo è legato all’analisi scientifica; per questo Lenin, vi ricordate, il problema che si pone agli inizi del ‘900 è quello di combattere una corrente interna al suo partito, scrive un libro come “Materialismo ed empiriocriticismo” in cui va alla ricerca dei fondamenti scientifici della posizione che lui vuole combattere. Questo è il messaggio. Quel libro di Lenin potrebbe anche essere tutto sbagliato – e in parte lo è –, ma questo messaggio è fondamentale. Non c’è politica comunista se non si muove anche sulla base di una conoscenza puntuale, determinata e scientificamente seria. E questo vale per tutti, anche per i nostri dirigenti. 
Allora, questo tipo di lavoro serve a mostrare che…beh, Marx era comunista, Marx se ne intendeva di lotta politica. Oggi viviamo in un momento in cui l’uomo pratico si erge contro l’intellettuale che legge i libri. Questo è un criminale. Marx è un uomo pratico che costruisce la prima internazionale. Ha passato qualche tempo sui libri, ed è per questo che ha potuto costruire la prima internazionale, ed è per questo che ha potuto scrivere un libro – Il capitale – che ancora ci insegna che cosa è il capitalismo, a distanza di più di un secolo. Perché ha perso del tempo a leggere, e quindi anche a riflettere? 
Il senso della nostra iniziativa è questo. Il messaggio è molto chiaro, un messaggio politico preciso: essere comunisti vuol dire lavorare in questo modo. 
Evidentemente qui il mio compito è complesso nel senso che il mio dovere in questa situazione è quello di cercare di rendere comprensibile – a persone che generalmente non vengono né dalla facoltà di filosofia e né dalla facoltà di economia – certi nodi fondamentali del ragionamento di Hegel e di Marx. 
Ovviamente lo posso fare bene e lo posso fare male, ma c’è un criterio che permette a voi di sapere se lo faccio bene o lo faccio male: se riesco a farmi capire. Se non riesco a farmi capire, voi potete, dovete, criticarmi; però da parte vostra ci deve essere una disponibilità: io sono costretto a parlare di cose che non appartengono all’esperienza comune e né a quello che oggi passa per politica. Voi mi dovete concedere questa apertura ad un altro mondo rispetto a quello che oggi passa per politica, però io mi metto di fronte a un ostacolo e posso essere criticato esattamente se non riesco a farmi capire: quella è la prova che ho sbagliato. Quindi vi propongo uno sforzo ma mi metto di fronte a una possibile bastonatura da parte vostra. 
Tanto per andare sul leggero, noi oggi cominciamo proprio nel modo più ostico. Ce lo ha detto Lenin e tra l’altro lo scrive anche Marx in una lettera ad Engels, e cioè che lui per scrivere il capitale ha trovato grande giovamento a rileggere la logica di Hegel. Mi dispiace ma è così.
E allora come cominciare se non con la logica di Hegel? anche qui noi stiamo in un altro guazzabuglio, perché anche qui esistono immagini tradizionali di questa figura che sono in buona parte false. E quindi appunto l’operazione non è semplice ma il bastone della vostra critica ha da essere sempre tenuto in mano perché io posso rendere comprensibili certe cose, però voi dovete essere disponibili a questa larghezza di sguardo. 
Io ho voluto l’acquisto della lavagna perché noi dovremo in sostanza ragionare su alcuni schemi e anche su alcune espressioni della lingua tedesca che ci serviranno per capire il ragionamento di Marx. 
Ovviamente non lasciatevi impressionare dalla stupidità degli esempi, servono solo per capire il concetto che c’è dietro.
Io qui ho scritto tre serie di numeri, indicati con A, B, e C.
La prima è: 0, 1, 2, 3 ecc., la seconda: 2, 4, 6, 8 ecc., la terza: 2, 5, 4, 25 ecc.
La prima serie non ci pone nessun problema: è una serie di numeri naturali e quindi vedendola capiamo subito di che si tratta. Però intendiamoci: capiamo subito di che si tratta perché siamo addestrati fin dalle elementari a sapere che questa è una serie di numeri naturali. Voglio dire che non è proprio evidente, ma è evidente in quanto la regola che costituisce questa serie noi la conosciamo fin da piccoli. Quindi qui c’è una serie di numeri disposti secondo una certa regola che non abbiamo difficoltà a capire perché siamo lungamente addestrati alla cosa. Comunque ciò che è vero è che noi vedendola subito capiamo. 
La seconda (2,4,6,8) l’ho fatta come un esempio di una soluzione intermedia e cioè di qualcosa che è un pochettino diversa dalla serie naturale dei numeri, perché raccoglie solo i numeri pari, e quindi diciamo di primo acchito c’è un primo attimo di incertezza, però subito la risolviamo e capiamo quale è la regola. Appunto, un piccolissimo attimo di incertezza, prendetela come un esempio che può essere introdotto in altra maniera, in cui, quell’incertezza significa che abbiamo un’esperienza diversa da quella a cui siamo immediatamente abituati e dobbiamo fare un piccolo sforzo per capire la regola che costruisce questa esperienza.
Nel terzo esempio (2,5,4,25), il senso immediato di incertezza è un po’ più forte. Con un po’ di riflessione si comprende che la cosa è costruita alternando il quadrato di 2 e il quadrato di 5. 
Gli esempi B e C servono a dire: 1) un po’ di smarrimento, poi riflessione, individuazione della regola che costruisce la serie e quindi, una volta che ho capito quale è la regola e riguardo la serie di numeri, allora tutto mi appare chiaro. 
Ora, siamo abituati a considerare questi segni come indicanti enti matematici. Però ad esempio nell’800 si è costruita in Inghilterra una logica in cui la simbologia usata era questa. Voglio dire che questi sono semplicemente simboli che possono essere usati per indicare qualunque significato. Per es. 0, 1, 2, 3 potrebbero essere la nascita, la giovinezza, la maturità e la vecchiaia. Cioè basta stabilire come tradurre i simboli. 
Quindi io li uso unicamente per intendere una serie di fenomeni e per dire che esistono alcune serie di fenomeni che non ci pongono problemi, ci appare immediatamente chiaro come sono costruiti; altre serie invece che appaiono più complesse – donde lo smarrimento – poi mano a mano andiamo ad individuare una regola che regge quella serie e a questo punto la serie ci appare chiara. 
È chiaro che se questi fossero stati fisiologici per es., questa relativa bizzarria rispetto alla prima serie, facciamo conto un medico che conosce la regola di quella bizzarria – cioè nel caso di malattie – non ha incertezza perché capisce subito come si dispongono perché conosce la regola. 
Allora noi possiamo individuare tre fasi importanti nel nostro rapporto con l’esperienza, quale che sia l’esperienza. 
C’è una prima fase di incertezza, una seconda fase in cui si è elaborata la regola di quella esperienza, e una terza fase in cui, illuminati da questa regola, i fenomeni ci appaiono chiari e trasparenti. Perché? Perché sono il modo di realizzarsi di quella regola. 
Però qui c’è un qualche cosa da tirar fuori: certo, sono il modo di realizzarsi di una regola, e allora vale quella regola. 
È del tutto chiaro che la regola si realizza in questi fenomeni. Cioè brutalmente: se uno dicesse che c’è da una parte la regola e dall’altra parte il fenomeno sbaglierebbe perché la regola esiste proprio in quanto si realizza in quei fenomeni. 
Quindi i fenomeni sono disposti così perché funziona una certa regola, ma quella certa regola c’è in quanto esistono i fenomeni. Quindi se la regola fosse per conto suo sarebbe una regola astratta, puramente formale. È una regola reale in quanto organizza dei fenomeni. La regola reale che organizza i fenomeni chiamiamola “concetto”, ed esattamente chiamiamola begriff, che è il termine Hegeliano che Marx riprende.
Per es. nei Grundrisse Marx dice che il concetto (begriff) è la linea di movimento della cosa stessa. È il discorso che facevamo: è la regola che organizza i fenomeni. 
Ma qui stiamo attenti perché la cosa è sottile: di solito quando noi diciamo “concetto”, intendiamo una definizione generale, che raccoglie una serie di fatti, per es. il concetto di gatto. Allora ogni singolo gatto che noi vediamo in realtà è diverso dal suo concetto. Ma che rapporto c’è tra questo concetto e i singoli gatti che poi sono ognuno diverso dal concetto? 
Con Hegel e con Marx il concetto ha cambiato significato, perché è divenuto la regola che organizza i fenomeni. Non è più la nozione astratta dei fenomeni, cioè quell’immagine di gatto che io ricavo facendo astrazione dalle differenze dei singoli gatti, per cui alla fine vai a fare astrazione dalle differenze e in realtà che mi resta in mano? Un nome. 
No, il concetto qui è diventato la regola che organizza lo sviluppo dei fenomeni, la regola che organizza la possibilità della serie. 
Voi capite allora perché l’idea è reale. Certo, l’idea – o concetto – , è la regola che organizza i fenomeni. Quindi non esiste se non nei fenomeni, non esiste se non nello svolgersi dei fenomeni. 
Marx nel capitale analizza il concetto di capitale. Significa un qualcosa di analogo al concetto di gatto? No. Vuol dire l’individuazione della regola che organizza lo svolgersi dei fenomeni del modo di produzione capitalistico. 
Quindi questa idea, questa regola, questo concetto, è dentro le cose stesse, perché è il loro modo di muoversi. 
Ora immaginiamo invece un’altra situazione, una situazione B. Nelle precedenti c’era questa nota caratteristica: iniziale smarrimento – che cosa diavolo sarà? -, poi l’individuazione della regola, e a quel punto la serie appariva chiara. Allora immaginiamo una situazione in cui si abbia una serie caotica di eventi e una volta individuata la regola, la serie resti caotica. 
Ovviamente questa sarebbe una situazione profondamente diversa dalle precedenti, in cui avrebbe senso parlare sempre di concetto di quella serie – nel senso della legge che spiega il muoversi di quei fenomeni, i quali però paradossalmente resterebbero caotici. Quindi in questo caso verrebbe coniugata – cioè presa insieme – sia la possibilità di arrivare al concetto della cosa, sia il mantenersi dell’aspetto di casualità degli eventi. 
Cosa è mai una situazione di questo genere? Noi ci viviamo dentro. È la società capitalistica, è il mercato capitalistico. Cioè il fatto che si realizzino quotidianamente, continuamente singoli scambi, singole vicende economiche sganciate l’una dall’altra ma tuttavia proprio per il fatto che esistono tanti singoli atti economici sganciati l’uno dall’altro, proprio da questo si determina un tipo di regola, quella del modo di produzione capitalistico.
Allora questo è interessante: se negli esempi precedenti noi vedevamo sempre insieme l’individuazione del concetto e la scomparsa del senso di casualità degli eventi, esiste invece una situazione in cui il concetto si accompagna alla casualità degli eventi che restano tali. 
È questo che Marx chiama l’anarchia del modo di produzione capitalistico. Badate che questa anarchia non significa che non esistono delle leggi del modo di produzione, ma che queste leggi intanto possono esistere in quanto i fenomeni economici sono anarchici. Proprio attraverso quella mancanza di legge si forma quella particolare forma di legge che regola il modo capitalistico di produzione.
A questo punto voi capite bene l’assurdità, poniamo, del dibattito politico contemporaneo quando noi sentiamo tutti impegnarsi a discutere di regole, che non significa assolutamente nulla. Le regole del mercato sono esattamente ciò che risulta dalla mancanza di regole. 
E quindi il discorso sulle regole non ha radici reali. È chiacchiera. Appunto è quel tipo di discorso che ci viene dato in modo che noi ci occupiamo di altro rispetto alle cose reali.
Allora è chiaro che – data questa nuova serie D – in cui la casualità e la regola stanno insieme, il concetto – begriff – ha cambiato di forma rispetto ai casi precedenti. 
Nel caso precedente sappiamo che solo di primo acchito c’è smarrimento, poi si individua la legge, la regola e il concetto e quindi tutto appare chiaro. Qui no: si individua la regola e tutto resta opaco, anarchico: questo intendo per cambiamento di forma.
Il che è molto importante perché ci abitua a pensare che quando noi diciamo concetto, non è vero che diciamo sempre una stessa forma logica, ma diciamo forme logiche diverse, perché il concetto non è un’astrazione che sta da un’altra parte, ma è la regola che regge certi eventi. Ora gli eventi sono diversi e dunque il concetto è – come dire – affetto dalla diversità degli eventi e quindi modifica, il concetto, le proprie caratteristiche formali, a seconda delle cose di cui è concetto. Questo ovviamente è un motivo dialettico fondamentale, e voi vedete qui come l’approccio dialettico faccia tutto uno con un approccio realistico, nel senso che è estremamente legato alla consapevolezza della diversità. 
Concetto non è sempre una stessa cosa. Concetto ha forme diverse in contesti diversi. Allora dal punto di vista della dialettica il gusto è proprio per cogliere e marcare le diversità, anche le diversità formali. Questo è molto importante perché di solito quando si pensa alla dialettica, al marxismo ecc., si ha l’immagine di un sistema chiuso e compatto. E invece è tutto il contrario. 
Molte volte si contrappone il senso della differenza al marxismo. Questa è follia, perché esattamente il senso della differenza è centrale nel ragionamento dialettico, ed è solo con il ragionamento dialettico che si coglie che anche la nozione di concetto ospita dentro di sé la diversità. Solo che ovviamente il ragionamento dialettico è ragionamento, cioè la dialettica si pone sul piano della ragione. Allora la diversità è diversità logica e non irrazionale. È diversità dentro la scienza, non fuori e contro la scienza. Questa è la differenza.
Perché attribuisco tutto ciò alla dialettica e non a Marx? Perché queste cose Marx le prende direttamente da Hegel. e guardate che è una esperienza di grande importanza questa: leggere in contemporanea un libro di Hegel e un libro di Marx, perché mette in condizioni di vedere quanto è nutrita la pagina di Marx dai modi del ragionamento hegeliano. Qualcosa di analogo si può fare leggendo Lenin. Purtroppo anche qui noi siamo abituati, – almeno nell’epoca in cui Lenin veniva letto, di solito venivano lette le opere scelte in due volumi. Lenin come è noto ne ha scritti più di 40 di volumi. Quindi le opere scelte in due volumi sono inevitabilmente una falsificazione. Se noi prendiamo in particolare gli articoli politici di Lenin, – del Lenin che si occupa per es. della tassa sul macinato, di quel certo problema dell’ Uzbekistan, cioè di problemi determinati – noi vediamo come è costruita dialetticamente la pagina. Appunto, la dialettica è questo senso della differenza, dell’articolazione logica della differenza – logica, non irrazionale.
Hegel è un personaggio importante per Lenin come è noto, e allora veniamo a un piccolo testo di Hegel. Questo testo io lo prendo da un libro pubblicato negli anni ’90, il libro è a cura di un nostro compagno, il compagno Losurdo. Hegel scrisse una filosofia del diritto. Ora, Hegel era una persona umana che viveva in un mondo umano, e quindi in mezzo a difficoltà pratiche che sono quelle che conosciamo tutti quanti, tra cui anche la censura politica. Ed è chiaro che parlare di filosofia del diritto, cioè centralmente parlare dello Stato, significa proprio andare in bocca alla censura. Il testo che lui scrive e pubblica tiene conto del fatto che c’è la censura. Poi Hegel fa lezione all’università, e li spiega il suo libro. All’università succede un po’ l’analogo di quello che succede qui: lo studente generalmente non è politicamente conformista, e Hegel quando spiega il suo discorso tiene conto del pubblico e dà del suo discorso una versione più a sinistra rispetto al testo scritto. 
In quell’epoca però succedeva che le lezioni venivano frequentemente stenografate e poi – dopo averle fatte leggere al docente -, pubblicate dagli studenti. Addirittura – e questo vale per Hegel, ma anche per Kant -, queste lezioni valgono come testi autentici. 
Ci sono delle occasioni in cui Kant o Hegel dicono: “No, questa versione della mia lezione non va bene”, e la fa correggere, quindi valgono come testi autentici. 
Allora noi abbiamo in sostanza la filosofia del diritto pubblicata, e le lezioni, che accostate ci mostrano questo comportamento tattico dello Hegel, però accostando i testi sui singoli problemi, riusciamo ad avere uno spettro ampio della posizione di Hegel. E allora vediamo che i suoi tatticismi, – più a destra o più a sinistra – sono variazioni sul tema che non modificano la sostanza. Comprendiamo come sia una leggenda che Hegel sia un autore politicamente conservatore. Nella Germania del suo tempo lui era un monarchico costituzionale che a quell’epoca voleva dire una posizione di sinistra, non estremista, ma sempre una posizione di sinistra. Tipo PC e Lotta Continua facciamo conto. 
In più noi abbiamo pubblicate le migliaia di pagine che la polizia segreta prussiana aveva redatto su Hegel perché questo di nascosto sosteneva anche economicamente delle persone politicamente segnalate alla polizia, che dovevano nascondersi dalla polizia ecc.
Però contemporaneamente – e questo è un elemento di grande importanza – Hegel polemizza contro certi estremisti, o demagoghi -, che sono, se noi andiamo a leggere, l’analogo della nuova sinistra nostrana. 
Cioè persone il cui discorso è costruito non già sulla scienza e sulla ragione, ma sull’irrazionale, sul sentimento, sulla passione. Contro questi Hegel polemizza nettamente. Ed è estremamente interessante perché proprio facendo l’accostamento con i testi, molte volte sembra che lui abbia letto Il Manifesto (quello della Rossanda). 
Ed è estremamente puntuale nella critica, il che anticipa l’atteggiamento che poi Marx ed Engels avranno per es. quando polemizzeranno contro le varie forme di utopismo e contro l’anarchismo. Voglio dire che la vocazione antiutopistica e antirrazionalistica, questa è componente organica della tradizione dialettica da Hegel a Marx. 
Veniamo a questo testo di Hegel: qui Hegel sta parlando proprio della così detta società civile e cioè del mondo dell’economia politica, del mondo di cui parla l’economia politica e cioè della società capitalistica. 
Lui la descrive così, badate bene: “Ci si presentano solo accidentalità, solo arbitrio, ma questo universale brulichio degli arbitri, produce da sé determinazioni universali”, cioè il discorso che facevo: una serie casuale di eventi, ma proprio questa serie casuale di eventi nella sua casualità produce determinazione universale (la regola, il concetto). “Questi arbitri sono governati e retti da una necessità” (la regola) “che interviene di per sé. Cogliere in essi questa necessità e conoscerla è oggetto dell’economia politica.”
Allora voi vedete che qui c’è una descrizione del caso D: l’economia politica è quella scienza che riesce a cogliere in questo brulichio di arbitri e di casualità, la regola che si impone di per sé. È quella situazione per cui l’arbitrario si colloca con la regola, con la necessità, con la determinazione universale. 
Noi sappiamo che Hegel è un autore che si è occupato molto degli economisti del suo tempo. E badate che generalmente Marx si occupa esattamente degli stessi economisti di cui si è occupato Hegel. 
C’è quel bel libro di Luckacs, “Il giovane Hegel”, che è ampiamente dedicato all’analisi delle note di Hegel sull’economia politica ed è di utilissima lettura per vedere nettamente gli anticipi rispetto a Marx. 
Qui però il terreno – questo dell’economia politica – dove, concretamente analizzando le pagine, noi potremmo cominciare a mettere con i piedi per terra il discorso complicato del rapporto Hegel – Marx, e quindi anche le differenze. 
Però ecco, l’individuazione del carattere fondamentale dell’economia politica che riesce ad essere questo caso D, cioè questa scienza paradossale che non toglie l’arbitrarietà – questo Hegel già lo sa-; Marx è da questo che prende la cosa. 
Da questa descrizione Hegel ricava una conseguenza. Il testo è solo minimamente un po’ più complicato di quello di prima. Quindi, stante quella descrizione che lui ha fatto dell’universo di cui si occupa l’economia politica, dice: “L’intellettualismo dei fini soggettivi e delle sentenze morali, si è rivolto con massime universali contro l’arbitrio, contro l’accidentalità, si appiglia solo all’uno o all’altro, e vi contrappone la morale. Nell’intero sistema vede solo arbitrio ed accidentalità senza riconoscervi l’apparire della razionalità.” 
In sostanza è lo svolgimento di quella critica ai demagoghi di cui dicevo prima, cioè: l’economia politica ha messo in evidenza come questo brulichio di accidentalità, quindi questa serie del tutto irregolare di numeri, in realtà produce di per sé una razionalità determinata, una regola. Che cosa fanno alcuni, individuati qui come coloro i quali sono portatori dell’intellettualismo dei fini soggettivi e delle sentenze morali? Protestano contro questa o quella manifestazione accidentale e arbitraria contrapponendo ad essa quel fine morale che loro hanno stabilito, quel fine intellettuale che loro hanno prodotto, senza riuscire a cogliere invece come questo brulichio produca una regola, e quindi non si può fare i conti staccando il singolo evento dagli altri eventi, e non si può non comprendere come questo brulichio crea una necessità obiettiva, reale, a cui io non posso contrapporre semplicemente la mia scelta soggettiva riguardo ai fini e riguardo ai valori morali. Cioè è la critica all’utopismo. È la critica a coloro i quali per es., fate conto: si possono fare anche grandi manifestazioni in cui si dice: “Viva la solidarietà”. Ma che significa? Non significa nulla, perché la non solidarietà è un “uno” manifestazione del brulichio dell’accidentale che viene fuori ed esprime quella necessità universale che è il sistema capitalistico. 



Il mondo descritto dall’economia politica ha da esser compreso nella sua necessità perché solo al livello di questa comprensione sarà possibile anche toglierlo. 
Per es. – Marx poi ce lo mostrerà – individuando le contraddizioni interne, i fenomeni che lo rendono instabile, che ne annunciano la morte, ma appunto calando la propria critica sul piano dell’oggettiva necessità di questo mondo, nella sua regola.
Se invece io mi faccio prendere dalle singole accidentalità, e acquisto e contrappongo fini che io ho stabilito essere migliori, che la mia coscienza morale mi indica, ma che non hanno un radicamento oggettivo, allora faccio chiacchiere. Faccio le grandi scene contro la mancanza di solidarietà, quando il problema è colpire il fondo monetario internazionale che regola l’economia in un certo modo. 
Allora vedete che appunto, c’è un ancoraggio profondo: antiutopismo e approccio dialettico. Lenin insisteva molto sul fatto che bisogna mantenere la prospettiva dialettica di analisi perché se non la si mantiene poi va al diavolo anche l’indicazione politica, non perché ovviamente dalla dialettica si ricavi l’indicazione politica, ma perché attraverso un approccio dialettico si può mettere i piedi per terra e quindi ricavare dall’analisi dei fatti le condizioni per il superamento. E quindi è in questo senso il nesso profondo tra politica e scienza critica. 
Purtroppo ho sbagliato a prendere gli appunti, ma c’è un’altra parte del testo di Hegel – che però adesso vi riassumo – ma leggerlo aveva questo senso: è incredibile – noi non siamo abituati a questo – vedere come Hegel abbia individuato tutti i temi, tutti i capitoli del capitale di Marx. 
Proseguendo questa pagina lui descrive quali sono i fenomeni fondamentali che caratterizzano la società civile, cioè quel mondo di cui l’economia politica è la scienza. 
Hegel comincia a dire questo – dovete credermi sulla parola perché non ho la pagina adesso, però la prossima volta ve la porto -: 1)individua il fatto che il valore delle merci è dato dal lavoro. Individua il fatto che l’operaio deve produrre non solo per pagare il salario proprio, ma anche di più. 
Non solo, ma individua anche un altro elemento estremamente importante, e cioè che esiste un rapporto tra circolazione del mezzo di scambio – cioè il denaro – e circolazione delle merci reali; e che il prezzo deriva dal rapporto tra la quantità di denaro in circolazione e la quantità di merci. Per cui se aumenta la massa di denaro ma non la massa di merci, allora aumenta il prezzo nominale. Cioè individua questo rapporto, il che significa aver individuato il fatto che il sistema capitalistico è in un doppio senso luogo di circolazione di merci. O se volete: è in un doppio senso un sistema di mercato: nel senso delle merci reali, e nel senso della rappresentazione simbolica delle merci nel denaro; e che queste due dimensioni possono entrare in conflitto l’uno con l’altro. 
Qui c’è un elemento di fondo: la circolazione del denaro rappresenta la circolazione delle merci. 
Vedete però che si da il fatto che il rappresentante acquista una sorta di autonomia per cui ha un suo processo di circolazione, che poi si ritorce contro il processo di circolazione delle cose di cui lui è rappresentante. 
Voglio dire: il prezzo della merce viene modificato dalla merce reale, sulla base di una esistenza di una maggiore o minore massa di denaro. Allora vuol dire che il denaro essendo rappresentate della circolazione delle merci, però conosce delle sue proprie vicende – aumento della massa monetaria, deprezzamento, inflazione ecc. – che si ripercuote sul prezzo donde sulla possibilità effettiva di circolazione della merce reale. 
Quindi il rappresentante si capovolge sul rappresentato e agisce su di lui. Un tema fondamentale di Marx – ma anche di Hegel – è che Cristo è la figura centrale della religione cristiana. Perché Cristo è il rappresentante di Dio, è mediatore. Ma il mediatore è l’elemento fondamentale. Questo Cristo che media – e quindi c’è un potere superiore Dio – invece è lui l’elemento maschio attivo, è lui il centro. Cioè questo paradosso per cui ciò che rappresenta diventa poi qualche cosa che agisce su ciò di cui lui è rappresentante.

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