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Il pareggio di bilancio e il silenzio dei media

Maddalena Robin- 235 voti favorevoli , 11 contrari e 34 astenuti. Così è passato il ddl costituzionale, che modifica l’articolo 81 della Carta e che introduce il principio del pareggio del bilancio nella costituzione italiana. Con il superamento della soglia dei due terzi dei voti a favore, la norma è diventata quindi legge dello Stato, senza bisogno del referendum confermativo.

Senza rumore, nella più totale disinformazione; mentre in altri paesi europei sull’ipotesi di inserire in Costituzione il pareggio di bilancio e sul connesso Fiscal Compact si stanno sviluppando discussioni e confronti assai vasti e in Francia si gioca la stessa campagna elettorale per le presidenziali, in questo ridicolo paese dei cachi un silenzio corale ha accompagnato un processo di modifica costituzionale (in corso ormai da sei mesi), che comporta la strumentazione della politica economica che trascinerà a fondo il nostro presente e il nostro futuro.

In realtà questo non mi stupisce, non possono infatti stupire più nessuno né l’ignoranza di gran parte dei politici che hanno votato, né il silenzio interessato dei grandi mezzi di comunicazione, il cui orientamento politico-culturale è ampiamente a favore della politica neoliberista e del governo Monti.

Ho però il diritto di incazzarmi (e molto) per dover pagare le spese di questo mostruoso ibrido, ennesimo figlio di incultura e calcolo politico, che ipotecherà la mia, la nostra vita.

Il futuro di noi tutti è stato commissariato, le modifiche, secondo cui Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico si ispirano alle dottrine dominanti in questa fase della politica europea guidata dalle destre conservatrici e neoliberiste. In sostanza, visto che il pareggio di bilancio viene calcolato su base annua e non pluriennale, la norma comporta l’impossibilità di promuovere politiche espansive nei momenti di crisi e recessione e il taglio continuo e permanente della spesa sociale (le istituzioni pubbliche non potranno più intervenire con politiche di correzione del ciclo economico per sostenere l’occupazione o per attuare politiche di redistribuzione del reddito o fornire i servizi pubblici a garanzia dei diritti sociali). Per non parlare, poi, degli enti locali, i cui bilanci saranno sottoposti agli stessi vincoli e ad un ferreo controllo dall’alto, spingendoli così definitivamente a svendere tutti i loro averi e servizi.

Ma la cosa non finisce qui, perché a peggiorare il tutto c’è che l’obbligo del pareggio di bilancio è figlio del Fiscal compact, un trattato europeo, firmato il 2 marzo scorso da 25 dei 27 Stati membri della UE, che non si limita a stabilire il principio del pareggio di bilancio, ma introduce anche altri vincoli, che chiariscono ulteriormente cosa significhi avere il futuro commissariato: a partire dall’inasprimento dei vincoli di Maastricht, il patto fiscale all’art.4 definisce questo perverso meccanismo: il debito pubblico va ridotto fino al 60% in rapporto al Prodotto interno lordo (Pil), con un ritmo di un ventesimo all’anno. Tradotto in soldoni e considerato che in Italia il rapporto debito/Pil è del 120%, ciò significa che ci aspettano delle manovre annue di 40-50 miliardi di euro e questo alle condizioni attuali, perché in caso di un prevedibile peggioramento della recessione queste cifre sono destinate ad aggravarsi (e questo alla faccia del “non ci saranno altre manovre”, come ha dichiarato l’altro giorno Monti).

Ecco il nostro futuro in questo ridicolo paese, dove non solo ci stiamo molto concretamente avvicinando a fare la fine della Grecia, ma dove, con la costituzionalizzazione di politiche già dimostratesi fallimentari ed incentrate unicamente sul pareggio di bilancio e sul rifiuto delle misure espansive per la crescita e l’occupazione, qualsiasi cosa si dovesse decidere o scegliere, nelle urne o fuori dalle urne, ci si troverà ad affrontare una realtà in cui le disposizioni sono già state scelte da altri e da altre parti.

O meglio, questo sarà il nostro futuro se permetteremo all’indifferenza ed alla rassegnazione di dominare le nostre vite.
Non possiamo permetterlo, è ora di sollevarsi ed alzare la testa! 
Questo è il momento di proclamare lo sciopero generale un’ azione di massa prolungata che blocchi l’Italia sino alla caduta del governo in carica ed allo smantellamento definitivo di questa infame classe politica.

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