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Il PRC e la questione palestinese

di Belva Vorrei portare all’attenzione dei lettori un’iniziativa di Rifondazione che non può che far gelare il sangue nelle vene a ogni sincero internazionalista, e di conseguenza (si spera) a ogni comunista. Sto parlando dell’adesione di PRC alla campagna di raccolta firme “Freedom for Palestine” (lanciata inzialmente proprio in Italia il 3 marzo 2011); prima di criticarlo, ve ne propongo il testo.

Noi cittadini europei, liberi e nel pieno esercizio dei nostri diritti civili e politici, chiediamo al Parlamento Europeo il RICONOSCIMENTO immediato dello Stato indipendente e sovrano di Palestina sui confini antecedenti il 4 giugno 1967, Stato di Palestina che vivrà in pace e sicurezza accanto allo Stato di Israele. 

Ora, è desolante il fatto che qualcuno si appelli al Parlamento Europeo su una questione di politica estera così delicata dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (il surrogato della Costituzione Europea, bocciata da vari popoli del nostro continente, calato dall’alto dalla burocrazia di Bruxelles) il quale, è bene rammentarlo, toglie di fatto la maggior parte del potere legislativo al Parlamento Europeo per potenziare il potere burocratico dei funzionari di Bruxelles, servi politici delle lobby private europee e americane. Ma la speranza è l’ultima a morire, quindi concediamola pure a Ferrero e soci, se li fa sentire meglio.
Il problema è un altro: ma quando mai un partito comunista può appoggiare un fermento nazionalista che non ha la benchè minima prospettiva progressista, figuriamoci quella socialista? Si sta forse cercando di dare la scalata all’Everest del centrismo? Mi spiego: se Israele è di fatto uno stato confessionale, credete forse che delimitando uno stato palestinese usando come discriminante nazionale prevalente la religione (che è l’unica soluzione possibile per creare un ipotetico stato separato da Israele), non si crei un altro stato confessionale musulmano? Certamente sì: verrebbe a formarsi uno stato popolato quasi solo da arabi musulmani, spinti a fare della discriminazione religiosa un punto di forza della loro identità nazionale minacciata dagli israeliani “infedeli”. Questo stato, poi, assomiglierebbe alla Prussia degli esordi: un colabrodo tenuto insieme da veri e propri colli di bottiglia larghi poche centinaia di metri, facilmente controllabili all’occorrenza dalle forze armate israeliane. Non capisce Ferrero quanto sia ambiguo dire “i confini antecedenti il 4 giugno 1967” visto che quei confini furono costantemente violati da Israele, Egitto e Giordania? Un esempio della ingiustizia di tali confini: a Ferrero sta bene che il deserto del Neghev, storica patria dei beduini, rimanga per intero un campo di esercitazione per Tsahal [le forza armate di Israele]? Vuole forse PRC fomentare una guerra di religione, dove gli arabi, incoraggiati nell’odio religioso, tornino a sognare di “buttare a mare gli ebrei”, e dove i sionisti si producano in massacri e bombardamenti a tappeto, discipline dove eccellono? Spero di no.
Qual è allora l’alternativa a questo scenario e a quello attuale, dove una potenza nucleare occupa delle terre non sue disprezzando qualsiasi richiamo dell’ONU?
Semplice, l’alternativa migliore è quella di riunire la Palestina in un’unica comunità nazionale e politica dove gli attuali cittadini ebrei di Israele siano tutelati come minoranza nazionale (eh già: poichè gli ebrei palestinesi sono meno numerosi degli arabi-musulmani palestinesi) e dove sia perseguita realmente una cultura della solidarietà tra gli oppressi di ogni luogo della Terra (anche in Israele ci sono proletari e borghesi!), che è poi la prospettiva socialista. Dunque, è chiaro che la “questione Palestina” non sarà risolta finchè non si formerà uno Stato palestinese che comprenda tutta la Palestina, e che possa fermare una volta per tutte la guerra infinita sostenuta dallo Stato d’Israele per scacciare gli “untermenschen” arabi dalla “Terra Santa”.
Si chiedano, i cosiddetti comunisti italiani, se questo è possibile fuori da un processo di rivoluzione socialista…

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