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Petizione: opinioni gratuite e offensive sul lavoro delle donne della funzione pubblica

Cronache di resistenza dal mondo del lavoro continuamente attaccato da politicanti, industriali e banchieri. Il PCL si schiera incondizionatamente dalla parte delle lavoratrici della funzione pubblica

La petizione ci è stata inviata via fax e parte del testo risulta illeggibile. Ci scusiamo pertanto con le lavoratrici del pubblico impiego di Forlì se non riportiamo integralmente la petizione (*).

Noi, donne lavoratrici nel Comune di Forlì, siamo state invitate dalla Candidata Sindaco Noushin Mirshokraei, durante un pubblico dibattito, a costruire autonomamente i percorsi di carriera interna, non concedendo favori in cambio di protezione e agevolazioni. Queste gravi dichiarazioni attribuiscono di fatto il percorso di carriera interno delle dipendenti del Comune non al merito e a procedure trasparenti, ma alla concessione di favori.

(*) …offensive per la nostra dignità di donne e di lavoratrici che compiono il proprio dovere con…
professionalità e che si fanno carico quotidianamente della doppia fatica del lavoro fuori e dentro casa.

Facciamo presente alla Candidata Sindaco, espressione di una lista di donne, che il problema fondamentale per le donne ed il lavoro, come risulta dalle statistiche OCSE per il nostro paese, sono: la maggiore precarietà del lavoro rispetto agli uomini, il livello medio di retribuzione inferiore agli uomini per le donne occupate a tempo pieno, la difficoltà nell’accesso ai livelli apicali, pure a fronte di un investimento nella propria istruzione maggiore e con titoli di studio più elevati. Per quanto concerne l’impiego femminile nella pubblica amministrazione in Italia, invece le donne sono concentrate nei livelli e nelle qualifiche medio-basse, e in mansioni considerate ancora tipicamente femminili.

Riteniamo che tutti i Candidati, ma a maggior ragione la Candidata a capo di una lista di donne debbano impegnarsi perché il principio costituzionale della parità fra sessi sia, nel lavoro e nella organizzazione sociale, una pratica concreta e non un principio vuoto, attivando politiche concrete di pari opportunità.

Seguono 96 firme di lavoratrici della funzione pubblica

LA NOSTRA POSIZIONE RISPETTO ALLA QUESTIONE DI GENERE: PER UN MOVIMENTO DI MASSA DELLE DONNE

Il PCL può e deve impegnarsi per lo sviluppo di un movimento di massa delle donne sul terreno della ricomposizione dell’opposizione di classe e anticapitalistica.
Negli anni 70 l’ascesa della classe operaia italiana aprì un varco importante allo sviluppo del movimento delle donne. E a sua volta la lotta delle donne fece un’irruzione forte nel dibattito politico, nella cultura, nella società italiana, favorendo la maturazione di una esperienza di massa più avanzata sullo stesso terreno democratico e ottenendo anche risultati importanti, seppur limitati, dal punto di vista del costume e del diritto (v. legislazione sulle lavoratrici madri, L. 194/78).
Con gli anni 80 l’arretramento del movimento operaio trascinò con sé un’involuzione più generale della sensibilità democratica e della coscienza di massa e, con esse, un arretramento del movimento delle donne.
Ma soprattutto su quello sfondo si svilupparono nel movimento femminile orientamenti culturali di distacco progressivo dai temi sociali e di classe, di rifiuto della contraddizione capitale/lavoro, di ripiegamento intellettualistico-elitario. Le teorie idealistiche ancora oggi presenti in una parte del pensiero femminista – che riconducono l’oppressione femminile a una radice biologica e a un codice simbolico maschile – nacquero in quel clima sociale e culturale.

Negli anni recenti l’inizio di una ripresa del movimento operaio, la crisi di egemonia delle politiche liberiste, l’affacciarsi di una giovane generazione, hanno creato uno spazio nuovo per il possibile rilancio di un movimento di massa delle donne, capace di coinvolgere in primo luogo i settori più oppressi e sfruttati della popolazione femminile. E tanto più oggi il PCL deve impegnarsi in questa direzione: a partire da una lettura di classe dell’oppressione femminile, che non nega la sua specificità, ma la colloca in uno scenario generale.

La crisi congiunta di capitalismo e riformismo, su scala internazionale, si scarica con raddoppiata violenza sulla condizione delle donne. Nei paesi imperialisti disoccupazione di massa, precariato, flessibilità, privatizzazione dei servizi, riguardano spesso, prima di tutto, la popolazione femminile. Nei paesi dell’Europa orientale, sottoposti all’introduzione brutale delle leggi di mercato, si registra un drastico abbassamento del livello di vita delle donne. Nei paesi del cosiddetto Terzo e Quarto mondo le politiche colonialiste di guerra e miseria rendono disumana in primo luogo proprio la condizione della donna.
In Italia le politiche sociali degli ultimi 20 anni hanno determinato un attacco profondo alle condizioni di vita di milioni di donne (Legge 40/98 del governo Prodi, Legge Bassanini del 97 a favore della sussidiarietà, politiche familiste di Berlusconi). Oggi il governo Prodi da un lato dà sponda all’integralismo cattolico (sulla stessa 194), dall’altro innesta il rilancio della “centralità della famiglia” su un ulteriore smantellamento dello Stato sociale, incentivando la donna, attraverso detrazioni fiscali e assegni irrisori al nucleo familiare, a farsi carico di compiti di cura prima propri del Welfare State. La privatizzazione del sistema sanitario e degli asili nido (quando esistenti) va nella medesima direzione. Le donne sono dunque costrette a subire doppiamente sulla propria pelle il carico di lavoro di cura nei confronti dei soggetti a rischio e marginalizzati di questa società (anziani, malati terminali, sieropositivi, portatori di handicap). E questo nel mentre subiscono come prime vittime l’attacco ai posti di lavoro (licenziamenti) e la compressione dei salari.

Da più versanti l’oppressione di milioni di donne ha sempre più un contenuto sociale riconoscibile e inequivoco. Su questo terreno va costruito un intervento di classe teso a ricomporre la più vasta opposizione di massa. La lotta alle privatizzazioni e contro l’attacco allo Stato sociale; la lotta per il diritto al lavoro e per un salario garantito quando il lavoro non c’è; la lotta per il diritto alla salute garantito dal servizio pubblico e gratuito; la lotta per gli asili nido e contro la chiusura dei consultori, possono coinvolgere, in prima fila, i settori più oppressi della popolazione femminile. Ma è essenziale che il movimento operaio assuma queste tematiche all’interno delle proprie lotte come terreno di egemonia e ricomposizione. E che il PCL ponga queste tematiche congiuntamente all’interno del movimento operaio (contro ogni logica concertativa) e come ambito di sviluppo di un movimento di massa delle donne.
Il PCL si pone il compito di monitorare tutte le espressioni di lotta delle donne, di radicarsi al loro interno, di lavorare a estenderle e unificarle. Costruendo sempre una connessione viva tra obiettivi immediati e prospettiva anticapitalistica, entro la logica transitoria. E quindi riconducendo ogni lotta delle donne al processo più generale di emancipazione della classe lavoratrice per un’alternativa di società e di potere.
La ripresa di un forte movimento di liberazione della donna che intrecci rivendicazioni democratiche e di genere e lotta all’oppressione sociale è una componente decisiva del rilancio di una prospettiva socialista. Al tempo stesso, solo una prospettiva socialista che spezzi il dominio del capitale può creare le condizioni necessarie, non sufficienti, per un’effettiva liberazione delle donne dalla loro specifica oppressione(…)
Duplice allora è il compito che ci poniamo: sviluppare nell’avanguardia di classe e tra le masse la coscienza dell’essenzialità della liberazione della donna, contrastando ogni forma di pregiudizio; sviluppare nel movimento delle donne ed in tutti i movimenti di emancipazione sessuale la centralità della lotta di classe e del movimento operaio come riferimento strategico per la propria liberazione.

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