La Resistenza nella Provincia di Forlì

di D.P.

L’incidenza del fascismo nella provincia di Forlì al principio fu piuttosto scarsa a differenza di quanto si potrebbe pensare; stiamo infatti parlando non di un territorio qualsiasi, bensì “della provincia del duce”, dove questi nacque nel 1883. Prima della marcia su Roma la provincia forlivese contava poco più di 500 tesserati al Partito Nazionale Fascista. Stiamo parlando di una regione a forte vocazione agricola dove (dati ISTAT del 1935) il 62% della popolazione occupata era dedita al lavoro nel settore primario; di questi circa il sessanta per cento era formato da coloni, mentre il restante quaranta era diviso, in parti quasi uguali, tra proprietari e braccianti. Le difficoltà riscontrate dal fascismo nella nostra provincia vengono dimostrate dai numerosi commissariamenti della federazione provinciale, dovuti all’assenza di un forte ras (a differenza di quello che invece era accaduto in varie zone dell’Emilia). La presa del potere del fascismo non fu quindi immediata né tantomeno facile; per le spedizioni punitive e gli assalti a sindacati e sedi di partito spesso si dovette ricorrere a camicie nere provenienti da fuori provincia, non trovandone in zona in numero sufficiente. In queste zone erano forti il Partito Socialista (dal 1921 anche quello Comunista) e quello Repubblicano che, anche se spesso in lotta tra di loro, dettero del filo da torcere al nascente fascismo. L’emanazione delle “leggi fascistissime” e la conseguente forte repressione, con numerosi arresti ed altre coercizioni volte a controllare i dissidenti, portarono ad un forte ridimensionamento della resistenza antifascista; in questa fase quasi solo il PCI riuscì, spesso pagandolo a caro prezzo, a conservare una rete organizzata segreta che manterrà negli anni a venire fino alla caduta del fascismo ed ancora, fino alla Liberazione. Ai primi anni ’30 risale una carta “dei sovversivi” antifascisti soggetti a sorveglianza speciale da parte della questura di Forlì: l’elenco conta poco meno di mille nomi, affianco ad ognuno di questi viene indicata “la colpa” e scopriamo così che la maggioranza (ben 388) sono comunisti (interessante notare come nella lista compaia anche un trotzkista!). La Romagna, che molti volontari aveva dato alla causa garibaldina, restò invece indifferente all’appello del fascismo nella conquista di “un posto al sole” con la vergognosa spedizione in Etiopia ed il suo corollario di stragi e violenze, spesso ammantate da un velo di chiara matrice razzista. Nonostante le oggettive difficoltà non furono pochi i romagnoli (oltre 40) che accorsero in difesa della Repubblica Spagnola nelle Brigate Internazionali a seguito della politica dei Fronti Popolari decisa nel VII Congresso dell’Internazionale Comunista del 1935. Una delle unità che combatté in questa guerra fu la “Centuria Gastone Sozzi” intitolata alla memoria del giovane comunista cesenate, martire del fascismo. La guerra di Spagna fu una grande scuola di antifascismo e qui si formarono importanti quadri e futuri dirigenti che avrebbero proseguito la guerra antifascista in Italia, riprendendo e facendole proprie le parole di Carlo Rosselli “Oggi in Spagna domani in Italia”. Il deludente e fallimentare comportamento del regio esercito già agli inizi della partecipazione italiana nella Seconda Guerra Mondiale, dimostrarono presto l’inconsistenza e la vuota propaganda della retorica fascista della “guerra parallela”, che dovette ben presto mutare in una di sudditanza di mero appoggio, subordinata a quella del ben più potente alleato germanico. Il bluff mussoliniano durò poco, al pari della sua illusione (tra l’altro condivisa da molti nelle alte sfere dell’apparato di regime italiano, monarchia compresa) di una guerra breve, nella quale l’Italia avrebbe dovuto solamente prendere parte con il “solo bisogno di avere alcune migliaia di morti per sedermi al tavolo della pace accanto ai vincitori” (cit. Mussolini) senza possedere alcuna strategia ben definita a medio-lungo periodo (il generale Favagrossa, responsabile per le fabbricazioni di guerra, aveva ben illustrato a Mussolini l’impreparazione bellica italiana, aspetto che confuta così le teorie, ancor oggi dure a morire, che dipingono Mussolini disinformato e mal consigliato dai suoi generali e ministri, attenuandone le responsabilità oggettive). I racconti dei reduci di rientro dalla sciagurata avventura in Grecia, alla quale aveva preso parte l‘ 11° Reggimento di Fanteria di stanza a Forlì, avevano fatto conoscere la totale impreparazione nella quale versava l’esercito fascista, aumentando il risentimento di ampi strati della popolazione verso la guerra e quindi verso il regime che l’aveva voluta e provocata. Ai rovesci dell’esercito italiano degli anni ’40-’41, andarono a sommarsi quelli del ben più forte alleato tedesco a partire dalla fine del 1942 con la famosa battaglia di El Alamein e con quella di Stalingrado, conclusasi nel febbraio del 1943. Tutte queste sconfitte portarono la monarchia, in accordo con il grosso capitale, a cercare di sbarazzarsi di Mussolini, nella speranza di salvare il fascismo senza Mussolini, conservando così le proprie prerogative di classe ed i propri ruoli dirigenziali, preparando quel cambio nel campo delle alleanze che avrebbe portato l’Italia a schierarsi con le forze Alleate. La speranza della monarchia era quella di potersi salvare presentandosi ai nostri futuri padroni come l’unica forza capace di garantire ordine e stabilità nell’Italia futura, contro “il pericolo rosso” rappresentato dalle forze della sinistra, ovviamente comuniste in primi. Un’ accelerazione agli eventi fu data all’attacco diretto “al ventre molle dell’Asse” (come Churchill definiva l’Italia) del 10 Luglio 1943, ovvero lo sbarco alleato in Sicilia che, ce ne fosse stato ulteriore bisogno, dimostrò ancora una volta la completa disparità di forze tra noi e gli alleati.

Il precipitare degli eventi portò nel giro di pochi giorni alla riunione del Gran Consiglio del Fascismo del 24 Luglio (conclusasi, a notte inoltrata, nelle prime ore del giorno seguente, motivo per il quale si parla di 25 Luglio) dove Mussolini, messo in minoranza dal celebre “Ordine Grandi” venne da fatto sfiduciato. La notizia si diffuse nella provincia di Forlì, come altrove, con grande rapidità e provocò l’esplosione di grandi manifestazioni spontanee. Si diede l’assalto alle sedi fasciste e nei giardini pubblici di Forlì si improvvisò una sorta di quartier generale dove conversero centinaia di persone, unite da quel sentimento antifascista che, finalmente, potevano palesare alla luce del sole.

Nonostante l’arresto di Mussolini, le speranze degli antifascisti furono raffreddate dal proclama di Badoglio che, proclamando la prosecuzione della guerra, impose lo stato d’assedio, dando ordine di sparare sui dimostranti. Nel frattempo, alle spalle degli appelli volti a rassicurare l’alleato germanico (alleato che non si lasciò prendere nel sacco e che provvide, sin da subito. a far arrivare dai valichi alpini nuove truppe in Italia, avendo già intuito quali fossero le vere intenzioni italiane…) Badoglio intavolava contatti con gli alleati che sfociarono nel celebre “Proclama dell’8 Settembre” con l’annuncio dell’armistizio firmato a Cassibile e la fuga ignominiosa del re da Roma verso il sud già liberato dall’ avanzata alleata. Le truppe naziste passarono immediatamente all’esecuzione dei piani di occupazione dell’Italia, mentre il regio esercito, lasciato senza ordini, fu lasciato al suo destino dall’ennesima dimostrazione di pavidità dimostrata dalla casa Savoia e dagli “alti papaveri” ad essa collegati, Badoglio in testa. Lo sbandamento dell’esercito fu seguito dal “Tutti a casa” di sordiana memoria, mentre gli ex alleati teutonici si prodigavano nel catturare quanti più militari possibili da internare in Germania.

Dalle ceneri della nazione, seppe però rialzarsi quella parte sana di italiani che il capo non l’avevano mai chinato dinnanzi al fascismo ed al suo fiume di violenze, un gruppo eterogeneo formato da antifascisti di vecchia data, ex garibaldini di Spagna, giovani decisi a voltare pagina, soldati del disciolto regio esercito ed altri ancora, ai quali si andarono presto affiancando combattenti stranieri (soprattutto slavi) catturati in precedenza durante l’invasione nazifascista dei loro stati ed  imprigionati in Italia. Questi dettero vita alla Resistenza che, come vedremo nel prossimo numero, nel forlivese fu molto consistente e particolarmente combattiva.

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