Lotta di classe e antropocene.

Di  Falaghiste

Tecnicamente, con “Antropocene” si indica un termine proposto per designare l’attuale epoca geologica, nella quale l’essere umano con le sue attività è riuscito, con modifiche territoriali, strutturali e climatiche, ad incidere su processi geologici in maniera irreversibile. Difficile datarne l’inizio, in quanto i processi globali sono sempre in divenire e ogni -era- è in parte sovrapponibile alla precedente. Tuttavia, può essere affascinante e istruttivo formulare ipotesi comparative fra storia della lotta fra classi sociali e condizioni dell’ambiente naturale.

Per tutto il Novecento, relativamente allo sviluppo del modo di produzione capitalista continua la decadenza dell’ambiente naturale, mentre la lotta fra borghesia e proletariato continua con alterne vicende. Nel primo decennio sembra che i movimenti socialisti del tardo Ottocento siano definitivamente scomparsi. La smentita arriva nel corso della catastrofe inter-imperialista della -Grande Guerra-: nel 1917 l’impero zarista è travolto dalla rivoluzione bolscevica. Il socialismo, ora comunismo, riprende vigore in tutto il mondo e prosegue la lotta contro il capitalismo, passando per il secondo round della guerra mondiale (1939-45), fino alla caduta del muro di Berlino (1989): data simbolica del presunto trionfo del capitale sulla forza lavoro. Questo periodo si caratterizza con la rivoluzione elettrica. I motori elettrici sono leggeri, flessibili e relativamente poco costosi. In quanto all’energia nucleare, per quanto politicamente, industrialmente e militarmente significativa, rimane marginale.

Si sviluppa l’industria meccanica, trainata dalle industrie degli armamenti, degli elettrodomestici e degli autoveicoli. In definitiva, le distruzioni in Europa consentono al capitale di rigenerarsi attraverso la domanda di beni e infrastrutture necessarie per rilanciare l’economia. Inizia il consumismo, la crisi da sovraccumulazione sembra risolta, ma la lotta di classe, fra borghesia e proletariato, per il controllo dei mezzi di produzione, non si placa. Tuttavia arretra su posizioni riformiste, nell’illusione del compromesso democratico fra capitale e lavoro, implicito nella Costituzione del 1948. La coscienza ecologica rimane relegata all’insignificanza delle organizzazioni ambientaliste ideologicamente borghesi, o movimenti sincretici di carattere luddista, nei quali si mescolano cultura hippies, filosofie orientali e comunitarismo millenarista, con marginali influenze marxiste. Sicché, questa crescita esponenziale dei consumi nei Paesi occidentali, nel ventennio 1960/80, non solo modera le rivendicazioni delle classi lavoratrici, separando le avanguardie rivoluzionarie dalle masse, a favore delle burocrazie sindacali e politiche di stampo riformista e/o stalinista, ma causa una svolta epocale nel rapporto fra i sapiens e l’ambiente naturale. Un cambiamento inavvertito e forse inavvertibile in quegli anni; soltanto da poco scoperto dalla ricerca storico-scientifica: finisce la proto-antropocene e inizia l’antropocene. Infatti è proprio intorno agli anni Settanta che la biosfera, l’insieme degli ecosistemi viventi, e l’atmosfera, non riescono più a rigenerarsi, a causa delle attività umane. In qualsiasi luogo della terra, anche il più inospitale (come l’Artide e l’Antartide) le condizioni ambientali degradano sempre più velocemente, assorbendo energia in eccesso.  Non è più la specie umana a dettare i tempi della propria storia, ma un fattore esterno/esogeno ad essa: la natura che la circonda e nelle quale essa vive e si riproduce.

Nello specifico della situazione italiana, la transizione da proto-antropocene ad antropocene corrisponde alla decadenza/sconfitta del movimento operaio. Già nell’immediato dopo-guerra (1945), forti della vittoria sul fascismo, i lavoratori avevano conquistato la -scala mobile salariale- (a crescita dell’inflazione corrispondeva la crescita dei salari) ma vogliono di più: il controllo della produzione. La reazione risponde (nel 1946) con il -Fronte dell’uomo qualunque- (proto-grillismo fascistoide) e nel 1960 con il governo Tambroni (destra DC), ma viene sconfitta dalle mobilitazioni della classe operaia. Nel maggio 1968, in Franca esplode la lotta anticapitalista contro il governo Gollista. In Italia, si forma l’alleanza fra operai e studenti: inizia il lungo sessantotto italiano. In piena -guerra fredda-, la lotta di classe diventa lotta politica per il potere. Le avanguardie operaie e studentesche si uniscono contro la borghesia, costringendola sulla difensiva: la rivoluzione sembra imminente. Il Governo italiano, per fermare l’assalto al cielo del proletariato, promulga lo Statuto dei Lavoratori (1970). Ma, per il proletariato è soltanto una vittoria di Pirro, una tattica del Governo per prendere tempo e dividere il movimento. Infatti, lo -Stato clandestino- (Loggia P2-Gladio, CIA) organizza la strategia della tensione (1969-80). Essa si basa su una serie di atti terroristici volti a diffondere paura nella popolazione, tale da giustificare svolte politiche di stampo autoritario. Le avanguardie del movimento operaio più coscienti denunciano il complotto, ma la direzione maggioritaria del movimento operaio, che fa capo al PCI e alla GIGL, si allea con il principale partito della borghesia, la DC. Il 27 giugno 1977, Enrico Berlinguer firma il famigerato -compromesso storico- Vengono promulgate le leggi speciali. Basta un semplice sospetto per essere arrestati e trattenuti. Il movimento operaio rimane disarmato, legalmente e politicamente. Come se non bastasse, ad aggiungere consenso alla repressione intervengono le Brigate Rosse; contribuendo a consegnare le masse alla reazione e l’ambiente naturale alla distruzione accelerata. Gli anni Ottanta (il decennio di merda) certificano la sconfitta/dispersione del movimento operaio e dei vari movimenti anticapitalisti. Il capitale, ora, può riprodursi senza ostacoli ad una velocità mai vista nella storia. Sta per cominciare la rivoluzione informatica. Inizia l’antropocene.

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