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Formazione : l’autonomia del movimento operaio

 Di Marco Ferrando

Due riferimenti decisivi del marxismo rivoluzionario: la rigorosa autonomia dei comunisti, fondata sulla indipendenza del proprio programma rivoluzionario, sull’opposizione di principio ai governi borghesi, e dunque sulla rottura irreversibile col riformismo e col centrismo; e la costante ricerca della conquista delle masse al programma della rivoluzione, con il patrimonio di scelte tattiche che questa ricerca comporta, contro ogni forma ideologica di “estremismo”. 
L’IMPORTANZA DELLA DEMARCAZIONE. 

L’autonomia del marxismo rivoluzionario è la sua stessa essenza: sotto il profilo storico, teorico, programmatico, politico. 

Il pensiero di Marx non consiste in una dottrina economica (“Il Capitale”), ma in un programma di rivoluzione, fondato su una concezione materialistica della storia.
 “Il Capitale”, quale analisi scientifica del capitalismo, delle sue insolubili contraddizioni, delle sue tendenze alla crisi, è parte di questa concezione e programma. 

Il marxismo rivoluzionario si fonda sugli interessi autonomi della classe lavoratrice in contrapposizione agli interessi della borghesia. Dà alla classe lavoratrice e alla lotta di classe un’espressione cosciente (la lotta di 
classe quale forza motrice della storia) e dunque un programma rivoluzionario storicamente fondato ( il comunismo ). Per questo si contrappone a tutte le concezioni ideologiche borghesi e piccolo borghesi, anche quando camuffate da “socialiste “ o “comuniste” (v. il Manifesto del Partito comunista del 1848).Questo è un punto decisivo di chiarificazione. Nulla è più estraneo alla storia del marxismo rivoluzionario della retorica dell’ “unità” dei “comunisti” o dei “socialisti” nel nome di un comune riferimento “ideologico” o terminologico, e/o della pura esigenza di “far numero”, di “non frammentarsi” ecc. Al contrario tutta la storia del marxismo rivoluzionario si è sviluppata su una linea costante di demarcazione da ogni versione abusiva e anti marxista di “socialismo” e “comunismo”. La chiarezza dei principi e del programma generale ha sempre costituito il primo fondamento della politica rivoluzionaria. E’ il filo rosso che lega Marx, Engels, Lenin, Trotsky, e in Italia Gramsci. 
Il marxismo nasce da una rottura/ scissione col pensiero politico “democratico” radicale e con le sette del primo “socialismo” (premarxista): rottura con la sinistra Hegeliana in campo filosofico (Feuerbach), rottura 
con la democrazia radicale tedesca della Gazzetta Renana in campo politico, rottura con il socialismo “utopistico” di Fourier, Owen, Saint Simon (v. Il Manifesto del Partito Comunista del 1848). La rigorosa demarcazione teorica è l’atto di nascita del marxismo. 

Il marxismo rivoluzionario ha sempre difeso e sviluppato la propria autonomia sul terreno politico, nel corso 
della storia. Marx ed Engels hanno difeso e affermato il proprio programma in una lotta incessante contro altre scuole e tendenze del movimento operaio della loro epoca: contro Proudhon.., contro Lassalle..,contro Bakunin.. Così si sono contrapposti ad unificazioni organizzative prive di basi di principio (v. Critica del pro grma di Gotha, contro “il traffico di principi”). La battaglia di Marx e di Engels lungo l’arco storico che parte dal 1848, attraversa la prima Internazionale (1864), approda alla seconda Internazionale (1889), si fonda essenzialmente sulla rigorosa demarcazione teorica e programmatica del movimento comunista. 

La battaglia di demarcazione del marxismo rivoluzionario si sviluppa nella seconda Internazionale per opera 
principalmente di Rosa Luxemburg e di Lenin contro il revisionismo e il centrismo (Kautsky): contro la rvisione riformista del pensiero di Marx in direzione di un programma di transizione pacifica e graduale al 
socialismo (Bernstein), ma anche contro una ortodossia formale “antirevisionista” che combinava la difesa 
del programma rivoluzionario col minimalismo della politica quotidiana (il “centrismo” di Kautsky). 

Questa battaglia si concluderà con la rottura organizzativa della seconda Internazionale dopo la  4
capitolazione alla guerra imperialista delle sue tendenze maggioritarie (riformiste e centriste), in direzione
della nascita della terza Internazionale comunista (1919) sospinta dalla vittoria della rivoluzione bolscevica
in Russia.

La nascita dei Partiti Comunisti e della terza Internazionale segna un punto di svolta: la demarcazione teorica e programmatica del marxismo rivoluzionario da ogni altra tendenza del movimento operaio si risolve in una separazione organizzativa. Dal “partito di tutta la classe” in cui convivevano e si scontravano tendenze programmatiche diverse, si passa al partito dell’avanguardia proletaria che raggruppa e organizza, su basi indipendenti, i militanti coscienti della classe attorno al programma rivoluzionario. Sotto questo profilo il leninismo ha rappresentato storicamente un momento di sviluppo reale del marxismo. La Terza Internazionale nasce e si forgia nei suoi primi anni attraverso la rigorosa rottura organizzativa con i partiti riformisti (seconda Internazionale) e con i partiti centristi (Internazionale due e mezzo).I 21 Punti di adesione all’Internazionale (condizioni di adesione poste nel 1920) sancivano questa linea di separazione. 

La storia del bolscevismo russo ha ripercorso in Russia questa dinamica storica.Il bolscevismo è nato e si è sviluppato in Russia attraverso la costante demarcazione teorica, programmatica, politica, da ogni altra tendenza del movimento operaio e popolare. Non attraverso la cosiddetta “unità dei rivoluzionari”, ma attraverso la battaglia più rigorosa contro le altre tendenze della democrazia radicale russa. Prima contro il populismo, a difesa della centralità della classe operaia e della lotta di classe per le prospettive della rivoluzione (anche in un paese arretrato come la Russia). Poi contro l’economicismo operaista che mirava a subordinare la politica rivoluzionaria ai puri obiettivi economico sindacali del movimento. Poi contro il menscevismo, che in nome dell’arretratezza russa teorizzava la subordinazione del movimento operaio alla rivoluzione borghese e rivendicava un partito non d’avanguardia cui potesse aderire “ogni scioperante”. 

Questa linea di demarcazione e battaglia politica e teorica ha attraversato l’intera storia del POSDR (partito 
della socialdemocrazia russa). Ed è approdata alla scissione organizzativa definitiva tra bolscevismo e menscevismo alla vigilia del 1917. Il passaggio dal partito di tutta la classe al partito della avanguardia proletaria cosciente ha avuto nella teoria e nella pratica di Lenin e del bolscevismo russo il suo principale 
fattore propulsivo, anche su scala internazionale. 
L’OPPOSIZIONE AI GOVERNI BORGHESI 

Una costante linea di demarcazione e separazione del marxismo rivoluzionario dal riformismo e dal centrismo ha riguardato la questione del governo. Ossia l’indipendenza del movimento operaio dai governi borghesi di ogni coloritura e composizione. L’opposizione per principio ai governi borghesi è un punto cardine del marxismo. Che ha attraversato il pensiero e l’opera di tutti i suoi maestri. 
Marx caratterizzò i governi, in regime capitalista, come “comitati d’affari della borghesia” ; polemizzò frontalmente contro la partecipazione di esponenti del movimento operaio francese (Blanc e Albert) al governo “democratico” emerso dalla rivoluzione di febbraio della Francia del 1848 (v. Lotte di classe in Francia 1848-50); raccomandò al movimento operaio tedesco una rigorosa opposizione ad un eventuale governo della democrazia piccolo borghese in Germania nel 1850 (Indirizzo alla Lega dei Comunisti del 1850). Engels raccomandò preventivamente una politica di opposizione ai socialisti italiani nel caso di avvento di un governo democratico repubblicano. Luxemburg e la sinistra rivoluzionaria tedesca combatterono frontalmente il ministerialismo emergente in settori della socialdemocrazia internazionale (millerandismo) e tedesca (specie nei lander regionali). E si opposero rigorosamente al “governo di sinistra” 
della socialdemocrazia tedesca (Scheidman/ Noske) durante la rivoluzione del 1918. Il bolscevismo si oppose al governo Kerensky e denunciò la partecipazione di menscevichi e socialrivoluzionari a quel governo. E Lenin condusse una battaglia decisiva nelle stesse fila del bolscevismo contro la linea accomodante che la maggioranza del gruppo dirigente bolscevico aveva inizialmente tenuto nei confronti del governo provvisorio scaturito dalla rivoluzione di febbraio (Tesi di Aprile 1917). 

La Terza internazionale di Lenin e di Trotsky nacque nel fuoco della denuncia della capitolazione della socialdemocrazia ai governi di guerra: e assunse l’opposizione di principio ai governi borghesi come un  5
punto fondante della nuova internazionale. 
La battaglia di Trotsky e del movimento per la 4° Internazionale contro la teoria e la pratica staliniana dei 
governi di Fronte Popolare (Francia 36, Spagna 36) non sarà altro che la continuità della battaglia storica 
del marxismo contro il riformismo. 

E’ importante evidenziare che tutte le grandi personalità del marxismo rivoluzionario nel corso della storia hanno tenuto il filo comune di questa battaglia di demarcazione. Non sono mancate tra loro, in contesti diversi, divergenze e contrasti, anche aspri (tra Lenin e Luxemburg sulla teoria dell’imperialismo o sulla questione nazionale, tra Lenin e Trotsky prima del 17 sulla visione della dinamica della rivoluzione russa, più vivaci avvennero dentro un comune campo di riferimento alla rivoluzione e ai suoi principi di fondo, che costituì perciò stesso non a caso il terreno di risoluzione delle divergenze stesse (in direzione ad esempio della piena adesione di Trotsky al bolscevismo, o dell’adesione di fatto da parte di Lenin alla concezione di 
Trotsky della rivoluzione permanente nel 17). Lenin , Luxemburg, Trotsky, e in Italia Gramsci, al di là delle loro particolarità o dei loro limiti, non sono contrapponibili tra loro come spesso ha fatto la storiografia stalinista (prendendo spunto strumentalmente da divergenze secondarie o datate): sono accomunati da quello stesso programma di fondo che li contrappone ad ogni forma di revisionismo. 
LA CONQUISTA DELLA MAGGIORANZA E LA NECESSITA’ DELLA TATTICA 

Al tempo stesso questa linea di costante demarcazione del marxismo rivoluzionario da tutte le tendenze
avverse, si è combinata col rifiuto costante dell’estremismo e del settarismo.

Un programma rivoluzionario, proprio perchè tale, deve ambire a conquistare le masse alla rivoluzione, non
separarsi dalle masse nel nome della rivoluzione. Perchè solo la conquista alla rivoluzione delle masse politic mente e sindacalmente attive della classe operaia e delle masse oppresse, può rendere possibile la vittoria rivoluzionaria, la conquista del potere politico, la trasformazione socialista (v. la polemica di Marx con Blan ui..).

Per conquistare le masse, e innanzitutto i loro settori più coscienti, al programma rivoluzionario, e dunque 
separarle dal riformismo (o dal centrismo) è essenziale la dimensione della “tattica”: un insieme di strumenti, metodi d’intervento, forme di approccio, che nel loro insieme puntino ad avvicinare i comunisti alle masse, abbattendo le barriere che i riformisti vogliono frapporre a questo avvicinamento. Il lavoro rivoluzionario nei sindacati di massa, la partecipazione dei rivoluzionari alle elezioni per l’utilizzo rivoluzionario della tribuna elettorale, la tattica del “fronte unico” rivolta verso partiti riformisti o centristi per avvicinare la loro base, sono forme classiche di tattica rivoluzionaria. Non solo non sono una contaminazione dei principi. Ma sono la condizione necessaria (non sufficiente) per conquistare alla rivoluzione un settore più ampio di oppressi e di sfruttati, strappandoli alle grinfie di direzioni opportuniste e traditrici di varia specie. 

Questa preoccupazione per la politica di massa, tesa alla “conquista della maggioranza” è una costante storica del marxismo rivoluzionario. Marx ruppe col mondo delle “sette” proprio perchè avulse dal movimento operaio reale, rivendicò il più ampio intervento rivoluzionario nelle Trade Unions, abbozzò la politica del fronte unico già nel Manifesto del 1848. Lenin sviluppò una battaglia aspra contro le tendenze estremiste del bolscevismo russo (“otzovisti” e “ultimatisti” tra il 1908 e il 1911) che rifiutavano la partecipazione alle elezioni e l’intervento nei sindacati (e si trattava, sotto lo Zar, di sistemi politico elettorali o di sindacati ben più reazionari degli attuali). E nel 17 sviluppò una politica di fronte unico verso le tendenze populiste e riformiste (dopo essersi da loro demarcato) che fu decisiva per il successo della rivoluzione d’Ottobre (battaglia unitaria contro la reazione di Kornilov ,“rompete con i cadetti”e politica di smascheramento). La Terza Internazionale riprese e sistematizzò le esperienze tattiche del bolscevismo e della rivoluzione russa: Lenin e Trotsky ingaggiarono una polemica molto forte contro le tendenze estremiste” presenti in diversi paesi (bordighismo italiano, Kapdismo tedesco, tribunismo olandese) proprio nel nome della lotta al minoritarismo e alla rinuncia alla conquista delle masse. 

Centrale fu in particolare, nel terzo e quarto congresso della Terza Internazionale, la battaglia congiunta di 
Lenin e di Trotsky a favore della tattica del fronte unico.
 Si trattava di una politica di sfida unitaria rivolta internazionalmente e nei diversi paesi ai partiti riformisti e  6centristi, per una azione comune nella lotta di classe contro la borghesia, a partire dalle necessità più urgenti delle grandi masse. Nel caso che l’appello fosse stato accolto i comunisti avrebbero avuto la possibilità di allargare il proprio rapporto con le masse che ancora seguivano riformisti e centristi dentro un quadro più avanzato della lotta di classe, a vantaggio dell’espansione della propria area di influenza. Nel caso, più frequente, che l’appello fosse stato respinto, i comunisti avrebbero potuto dimostrare alle più larghe masse che i loro capi preferivano il compromesso con la borghesia all’unità di lotta del movimento operaio contro la borghesia: e quindi si sarebbero trovati in una posizione più favorevole per l’azione di conquista delle masse. Tendenze “estremiste” presenti nell’Internazionale rifiutarono questa politica. O nel nome di una sopravvalutazione della propria forza (“le masse stanno con noi, non coi riformisti”); o nel nome dell’imminenza della rivoluzione(“la rivoluzione si avvicina, e noi perdiamo tempo con astruse tattiche fuorvianti”); o nel nome di argomenti morali(“come facciamo a marciare insieme con chi ha assassinato Rosa Luxemburg”). Lenin e Trotsky replicarono che la morale suprema era la morale della rivoluzione. Che il successo della rivoluzione era inseparabile dalla conquista delle masse alle rivoluzione. Che la forza dei comunisti tra le masse era ancora minoritaria, a fronte dell’influenza esercitata dalle direzioni controrivoluzionarie del movimento operaio: e che proprio per capovolgere i rapporti di forza, proprio per distruggere l’influenza degli apparati controrivoluzionari tra le masse, occorreva combinare la “denuncia” con una tattica di smascheramento del loro ruolo e di avvicinamento alla loro base. Alla condizione- assolutamente pregiudiziale- di preservare interamente la propria autonomia politica dai dirigenti riformisti e centristi, anche nel corso di una eventuale azione comune. 

Fu una straordinaria lezione di politica rivoluzionaria in un dibattito appassionato dell’avanguardia proletaria
internazionale.
Trotsky e la Quarta Internazionale non faranno che riprendere e sviluppare, anche su questo versante, la politica del leninismo.

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