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Grandi manovre e trasformismo: non è un caso…

Sta cambiando tutto per non cambiare nulla… d’altra parte non è un caso se siamo il paese del “Gattopardo”.
Non è un caso, ad esempio, che in pieno spirito di alternanza, in diversi settori della sinistra ci si sia esaltati per l’elezione di Pisapia e De Magistris.
Non è un caso, perché viviamo in un periodo storico senza memoria, in un’italietta, per giunta provinciale, che nel quadro internazionale al di là delle ricostruzioni giornalistiche si vede ridimensionata e che il 17 giugno è stata minacciata di declassamento dall’agenzia di rating
Moody’s, dopo che Standard & Poor’s il 21 maggio le aveva modificato l’outlook da stabile a negativo.
Ma non è un caso che nei giornali di questi giorni si sia enfatizzata l’elezione di Draghi alla BCE come un successo del paese.
Perché poi? Draghi, lo stesso banchiere degli scandali della Goldman Sachs, lo stesso uomo che ha messo becco in tutte le finanziarie lacrime e sangue, oggi eletto presidente della BCE, sia un successo per l’intero paese lo sanno solo lor signori.
Per noi, un Draghi o un Trichet non fanno differenza, l’Europa dei banchieri non ci appartiene.

Ma questa crisi, affrontata maldestramente dal governo come un fenomeno atmosferico, fa da sfondo a diverse manovre estive, che si consumano nel mezzo dell’ennesimo scandalo (in questo caso la P4), e aprono ad una nuova geografia della politica italiana che mette in scena alcune
“novità”.

Da una parte la crisi del governo ha prodotto prima la dipartita di Fini dal PdL, che ha abbandonato una nave ormai alla deriva.
In questi giorni invece viene messo a rischio perfino l’asse di ferro Berlusconi-Lega.
Lo stesso scontro tra Maroni e quello che i giornali hanno definito il “cerchio magico”, dimostra plasticamente l’instabilità di questa fase politica.

La riconferma di Marco Reguzzoni alla presidenza del gruppo di Montecitorio della Lega, osteggiata da Maroni, nasconde più di una verità sullo stato di lacerazione del partito di Bossi a conduzione familiare.
Secondo alcune ricostruzioni, Reguzzoni, Bricolo e Rosi Mauro (il fantomatico cerchio magico) avrebbero parlato con Manuela Marrone (moglie di Bossi) e col figlio Renzo (il Trota).
I familiari, stando alle ricostruzioni dei media, avrebbero fatto pressing sul Senatur perché si scagliasse contro l’ala maroniana.
Al di là dei possibili retroscena, la stilettata di Bossi non si è fatta attendere:
Maroni non è contento della conferma di Reguzzoni? Peggio per lui… È la base che tiene sotto controllo la situazione nella Lega, non Maroni

Maroni da parte sua ha replicato:
Io non ce l’ho con Bossi. Ce l’ho con questi (cerchio magico n.d.r), che stanno trascinando Umberto e la Lega in un burrone. Ora basta

Lo stesso sindaco di Verona Flavio Tosi aveva ipotizzato, in un’intervista rilasciata al Giornale la settimana scorsa, che il possibile tracollo di Berlusconi e del berlusconismo potrebbe trascinare il Carroccio in un burrone dal quale sarà impossibile rialzarsi.
L’ala definita maroniana sembra convinta (e non a torto) che Berlusconi stia per crollare, ponendo pertanto con urgenza una revisione della linea.
Non è un caso che chiedano lo svolgimento del congresso, che non viene convocato dal lontano 2002.
Si profila quindi uno scontro tra Maroni e il Trota.
Il punto di discrimine sarà se rompere l’asse Pdl-Lega (linea Maroni) o rimanere ancorati al Pdl (linea cerchio magico più il Trota).
L’unica certezza riguarda la crisi del modello leghista che ha generato una rissa interna consumatasi anche in parlamento, con gli “onorevoli” Giovanni Fava (Lega) e Giacomo Chiappori (Lega)
che se le sono letteralmente date di santa ragione.
Non è un caso quindi che il Pd apra in questa fase alla Lega e che a Cesena tra i relatori della festa del Pd ci sia proprio… Maroni.
Una situazione che crea diversi malumori e non è un caso che Di Pietro, temendo di rimanere fuori dai giochi, e stretto dalla morsa Pd- Terzo Polo, oltre che dal salto della quaglia della Lega, abbia recentemente dichiarato al Corriere:
Berlusconi è una persona sola. Se fa riforme vere lo sosterrò.
Aggiungendo, come se ce ne fosse bisogno(sic!):
Io non sono di sinistra, papà era iscritto a Coldiretti e Dc: vengo da lì. Mi hanno colpito molto gli interventi alla Camera di Bersani e pure di Casini. (…) Oggi in Europa i miei parlamentari siedono a destra dei socialisti. Con i liberaldemocratici. Quella è la mia ispirazione ideale.
Perché Bersani esita quindi a lanciare la sfida al governo? E’ lo stesso Di Pietro a dirlo:
Perché non ha ancora deciso con chi farla, l’alternativa.

Non è un caso quindi che anche Di Pietro apra alla Lega:
C’è la Lega del gruppo dirigente, che mi pare chiusa nel Palazzo romano e lacerata al suo interno. Ma c’è la Lega dei sindaci, degli assessori, del territorio, dei militanti. La conosco bene: è gente che
ama la propria terra, cui va il mio rispetto. Non si può gettare via il bambino con l’acqua sporca.

Vendola, nei suoi continui equilibrismi tra un elogio al papa uno a Draghi, sembra spiazzato, ma continua a candidarsi come leader di una coalizione liberale di centro (Pd, Idv e Udc compresa).
Il progetto della Fds, dove PdCI e PRC a breve andranno a congresso, sembra invece al capolinea.
I rispettivi congressi sono stati preceduti da una micro scissione (avvenuta alcuni mesi fa) del PRC verso il PdCI (l’area l’Ernesto), e alle recenti amministrative sono passati dall’elezione di 22
consiglieri provinciali del 2006 a 3 di quest’anno, un ridimensionamento che avrà sicuramente ripercussioni sulle finanze di un blocco politico totalmente dipendente dai finanziamenti di Stato.
Se il PdCI è poco più che un ectoplasma compromesso da una storia di cedimenti e che si limita stancamente a riporre come progetto politico la riesumazione del PCI (in salsa togliattiana) organicamente in alleanza con il centro liberale.

Il PRC invece è una babele dai mille linguaggi e dai diversi progetti.
Un partito in crisi non solo d’identità, ma anche dal punto di vista organizzativo.
In questi giorni hanno perso un altro eletto, il consigliere regionale della Calabria De Gaetano, che lascia il partito ma non la poltrona.
Scelta che costa cara a Rifondazione, ormai fuori dal parlamento e in crisi finanziaria, insomma un ennesimo colpo organizzativo oltre che politico.
Lo stesso Paolo Ferrero ha dichiarato a La Repubblica:
Senza quei soldi abbiamo dovuto chiudere delle sedi di partito. E’ una storia da basso impero. Poca stima del personaggio, non ci mancherà.
E quanto alla furbata del mantenimento del gruppo consiliare, non se ne parla nemmeno.

In Rifondazione, inoltre, si sta consolidando un’area composita che ripropone la vecchia strategia bertinottiana (in questo caso senza Bertinotti) della trasformazione del “comunismo” in un’area culturale, dentro ad un contenitore più ampio…
L’esito del congresso del PRC non è quindi scontato e se recentemente le due giovanili di partito hanno trovato una sorta di convergenza, non è da escludere che si profili persino la fine del sodalizio della FdS.
La costante tuttavia è la ricerca dell’alleanza con il Pd e recentemente Ferrero alla domanda:
Avete detto che non parteciperete ad un eventuale governo di centrosinistra. Quindi rovescio la domanda: non siete voi a mettervi fuori dalla discussione?
Ha risposto:
Ma la mia è una previsione, non un pregiudizio.
Come è a dire, noi ci proviamo, son gli altri che non ci vogliono.

Se il centro tentenna e la destra piange, la “sinistra governativa” quindi non ride, e con la sua totale subalternità politica è totalmente incapace di una proposta alternativa.
In questo scenario di macerie rimangono sul campo il qualunquismo provinciale incarnato dal partito in franchising di Grillo (il Pope Gapon de nojaltri) e il progetto internazionale del marxismo
rivoluzionario incarnato dal nostro PCL.

Un progetto, il nostro, tutto in salita, e ancora debole rispetto ai compiti che ci attendono.
La necessità della costruzione del partito rivoluzionario si scontra peraltro con la cantilena idiota e trasversale dell’anti-partito, quando, mai come oggi, il partito organizzato su scala internazionale rappresenta la sola via d’uscita per l’emancipazione delle masse.
Questa è la drammatica situazione in cui ci troviamo a combattere contro corrente.
Ma le difficoltà sono iscritte nella decennale battaglia della IV Internazionale, ed era Trotsky in risposta ai processi di Mosca (recentemente rivalutati dal partitello di Marco Rizzo) che ci ha
insegnato:
La storia va presa per quello che è, e quando ci concede tali straordinari e sordidi oltraggi, bisogna rispondere all’offesa a pugni alzati.
Non è un caso quindi che nella difesa intransigente dei nostri principi, oltraggiati o meno, per parte nostra terremo i pugni alzati.

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Una risposta

  1. Anonimo ha detto:

    il blog è stato segnalato su face book come spam/offensivo e quindi non è più possibile pubblicarne gli interventi (posso ben immaginare chi lo abbia fatto e mi assumo la responsabilità di aver portato la feccia attuazionista qui dentro chiedendo scusa a tutti).
    Chiedo a tutti i compagni che siano su FB di provvedere in questo modo:
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    E' molto importante farlo perchè se perdiamo la possibilità di condividere gli articoli spariamo dalla rete.
    Grazie a tutti
    Maddalena Robin

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