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Per una via rivoluzionaria al problema ambientale.

Nell’antico divinatorio libro dei Cing, la combinazione di segni che rappresenta il lago in fiamme è sinonimo di rivoluzione; la coesistenza di questi due elementi opposti, rappresenta l’esplosione del conflitto causato dal fallimento del potere imperiale che, per incarnazione divina, nell’antica cultura cinese era il garante dell’armonia universale. Se cercassimo un archetipo valido per i nostri tempi: della crisi delle società industriali, del degrado della natura, della decadenza delle classi dirigenti, della guerra “infinita”, fatte le dovute distinzioni, dovremo scegliere l’immagine dei rifiuti in fiamme. La contraddizione, la rottura dell’equilibrio, sta nella pretesa di voler continuare a consumare indefinitivamente materia ed energia, anzi assumere come valore fondante il consumo e lo sviluppo delle forze produttive, quando è proprio il degrado naturale prodotto dalle industrie che rende problematico l’accesso ai generi indispensabili per la vita ad oltre la metà della popolazione mondiale.
I cittadini dei paesi capitalistici (secondo l’ideologia liberista: democrazie) non vogliono gli inceneritori e le montagne di rifiuti sotto casa, ma si guardano bene di considerare, o non ne sono coscienti, che i rifiuti solidi, non altro sono che il risultato di una sommatoria di tecnologie, dove ogni passaggio da una forma di energia all’altra, genera rifiuto sotto forma di calore o materia degradata. In sostanza i rifiuti solidi, siccome occupano spazio, sono solo la parte visibile di un problema che preso separatamente è irrisolvibile, ma nessuna delle forze economiche e sociali che contano, ( la classi dirigenti ) si sogna di mettere in discussione il fondamento economico e industriale che soprassiede alla loro produzione. Purtroppo anche la maggioranza di quelle forze politiche che si ritengono alternative al sistema non sono ancora in grado di formulare proposte diverse, se non parziali e contraddittorie. 
Questa situazione è allarmante, per due ragioni, una è che non sappiamo quanto tempo ancora ci sarà concesso dal pianeta, prima che la situazione diventi irrecuperabile; l’altra è che il salto di qualità necessario dovrebbe riguardare un sommovimento, sociale e politico di dimensioni tali, da mettere in discussione la natura stessa della civiltà che in questo momento domina il pianeta e che ha identificato l’occidente, così come lo abbiamo conosciuto, negli gli ultimi due secoli e in forme diverse dal tardo medio evo. Si tratta di ridurre drasticamente i consumi, la produzione di merci e la produzione e circolazione dei capitali a vantaggio della durevolezza e qualità sociale dei beni d’uso in un sistema produttivo ecocompatibile. 
E’ un passaggio epocale e perciò problematico: rimettere in discussione l’economia industriale, non ridistribuendone socialmente i benefici sotto forma di consumo, ma abbandonando l’idea che lo stesso sviluppo industriale nei tempi lunghi produca benefici. E’ sotto gli occhi di tutti l’inefficenza di un sistema produttivo basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione che rende disponibile ciò che può essere venduto con profitto distruggendo le condizioni per produrre ciò che serve per il progresso sociale. Tuttavia questo non basta a mettere in crisi il sistema politico borghese perchè, come lo stesso Marx sosteneva in polemica con i naturalisti russi, l’ambiente naturale non possiede una sua soggettività e perciò la percezione sociale del fenomeno difficilemente, nel senso comune, viene associata ad un limite del sistema ma, addirittura il degrado ambientale diventa nuova opportunità di profitto per alcuni settori ecologisti della borghesia.
Un esempio: il prof. Paul Connet, docente di chimica ambientale alla Saint Lowrence University della California, ha assicurato che il consiglio comunale di St. Francisco ha programmato che, entro il duemila-venti, si raggiunga la condizioni di rifiuti zero. Come? Con la raccolta differenziata e nuovi metodi di imballaggio, raccolta a porta a porta ecc.. Proviamo però ad immaginarceli i cittadini californiani, che girano con macchine che bevono più di carri armati e consumano merci più dell’intera popolazione africana senza produrre rifiuti.
Queste proposte sono spendibili politicamente, se non altro per promuovere il dibattito, ( localmente appaiono nelle pagine dei giornali come un tormentone infinito in ogni campagna elettorale ) ma è del tutto illusorio che, una volta attuate siano risolutive; primo perché inapplicabili globalmente, secondo perché incompatibili con la natura di un sistema che si basa su principi opposti. Del resto l’ininfluenza dell’ambientalismo politico sul sistema economico-produttivo è ormai un dato di fatto, le politiche di riduzione del danno nella prospettiva di un riformismo ecologico interno al sistema, si sono rivelate fallimentari e dannose. Un ecosistema non è una macchina che una volta riparata va come prima, i danni prodotti si sommano nel tempo con ricadute imprevedibili e progressive, se venti anni fa consumavamo cento è probabile che oggi, non ci possiamo permettete di consumare dieci volte meno, in termini di sottrazione di energia dal pianeta. Per questo lo sviluppo compatibile come bandiera dai partiti ambientalisti ( e dei opportunisti di sinistra ) è diventato l’ideologia dell’ecoprofitto del sistema industriale, rivelandosi soltanto un mezzo adatto per spacciare merce adulterata come nuova e procurare poltrone e facili riciclaggi a molti politicanti in carriera.
Insomma la gestione dell’ambiente “naturale” è un problema legato alla rivoluzione, al controllo della produzione da parte della maggioranza dei cittadini, in sostanza alla presa del potere politico ma se è così; se si condivide che l’ambiente dipende dal controllo sociale dei mezzi di produzione, si apre un abisso fra i livelli attuali di coscienza delle classi subalterne e la necessità di una rivendicazione di massa centrata sul problema ambientale. La domanda che sorge è la seguente: è utile per le forze comuniste una politica programmatica eco-socialista, visto che la maggioranza delle sensibilità ambientaliste non risiedono di certo, (se non in forma di generiche e confuse preoccupazioni ), nelle classi subalterne ma piuttosto in settori sociali piccolo borghesi ? Ovvero la rivoluzione ambientale potrà venire soltanto dopo quella sociale ? Per il momento le risposte risiedono nel futuro ma vale la pena cercarle perchè molti conflitti futuri riguarderanno certamente la questione ambientale. Una cosa è certa però: la via al socialismo risultera vincente soltanto se si potrà realizzare, di nuovo, una grande alleanza politica della classe lavoratrice arricchita e resa più forte dalla coscienza di un comunismo armonico fra uomo e natura.

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