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Appunti per una critica dell’esistente

-di Falaghiste- Aprile 2010

Il dominio delle parole:
Nelle società classiste il dominio materiale si basa sulla proprietà privata dei mezzi di produzione ed è parte di questo il controllo degli strumenti che formano la coscienza sociale. Nell’antichità e nel medioevo, superstizione, religione e ignoranza venivano utilizzati, dalla nobiltà e dal clero, per assoggettare le masse contadine e diseredate. Nel capitalismo, dove la classe dominante è la borghesia e la principale classe subalterna il proletariato (i lavoratori dipendenti), esso si esercita con il controllo e/o la proprietà privata dei mezzi d’ informazione di massa. Dal dopoguerra ad oggi, per soggiogare le coscienze dei lavoratori, sono stati arruolati al servizio del capitale eserciti d ‘artisti, intellettuali, giornalisti, politicanti, , burocrati, che ognuno con il proprio strumento, ha suonato dalla radio e dalla TV la stessa musica: l ‘elogio alle qualità del padrone, alla sua ideologia, alla sua avidità che incarna lo spirito dei tempi. Perciò, nel procedere storico della lotta fra classi, il lessico corrente, i modi di dire e perfino le parole stesse mutano di significato anche nel semplice linguaggio corrente. Noi comunisti veniamo spesso accusati di usare un linguaggio superato. Ebbene, noi usiamo il linguaggio, i discorsi e le parole adatte per descrivere la realtà dello sfruttamento capitalistico. Se ne usassimo altre, quelle che vogliono i padroni, che loro hanno inventato e che utilizzano per truffare sistematicamente i lavoratori, saremmo dei pazzi perché ci priveremo di un’arma fondamentale per la nostra lotta. Questo libriccino vuole essere un contributo per una migliore comprensione della lotta di classe e quindi della realtà che ci circonda.

Il padrone che da lavoro:
E’ abbastanza comune sentire un imprenditore vantarsi di dare lavoro a : dieci, cento, mille operai, oppure addirittura, di dargli da mangiare, come se facesse loro la carità. Quest’affermazione viene socialmente accettata come verità incontestabile ma non vuol dire che sia vera. Vero è che sono i lavoratori a dare il proprio lavoro al padrone in cambio di un salario, di un cottimo o di uno stipendio. Al massimo si potrebbe accettare che l’imprenditore organizza, ordina, prende, utilizza il lavoro dei suoi dipendenti, ma dire che lo crea è un falso ideologico, cioè un’idea inventata (dagli stessi padroni ) per giustificare il proprio fine: la massimizzazione del profitto. Siccome è universalmente riconosciuto, quanto vero, che il lavoro è la fonte della ricchezza dei popoli, se si affermasse l’idea che sono i lavoratori a crearla, il ruolo progressivo della proprietà privata dei mezzi di produzione verrebbe enormemente sminuito ed entrerebbe in crisi. Quale è dunque il meccanismo con cui si forma tale ricchezza e come può questa concentrarsi nelle mani di pochi e sfuggire a coloro che la producono materialmente? Con la scoperta della forza lavoro Karl Marx spiegò i principi su cui si fonda la critica alla società contemporanea. Ne riportiamo a seguito i tratti fondamentali da: “ Lavoro salariato e capitale” che egli scrisse nel 1849 da una serie di conferenze tenute agli operai. Ci siamo permessi soltanto di contestualizzare, per una più facile lettura, alcuni termini non più attuali. Del resto riteniamo quasi incredibile l’attualità di questo scritto che rimane un modello di esposizione divulgativa della teoria economica.

Lo scambio fra capitale e salario:
Se chiedessimo ad alcuni lavoratori “ Quale è l’importo del vostro salario ?”, uno potrebbe risponderci “ Io prendo 1000 euro al mese dal padrone”, un altro ci direbbe che ne prende di più e un altro di meno, secondo il lavoro che svolgono per conto del proprio padrone. Il salario è dunque una somma di denaro che il padrone paga per una determinato tempo di lavoro o per una determinata prestazione di lavoro (salario stipendio o cottimo ). Il capitalista compra, a quanto sembra, il loro lavoro con del denaro, ma ciò è solo l’apparenza. In realtà essi vendono al capitalista
per una somma di denaro, la propria forza –lavoro. Con la somma di denaro con cui il capitalista ha acquistato la loro forza-lavoro, per esempio 100 euro, egli avrebbe potuto acquistare 10 chili di carne o una determinata quantità di una qualsiasi altra merce. I cento euro con cui egli ha acquistato i 10 kg. di carne sono il prezzo dei 10 Kg. di carne. I cento euro con cui lui ha acquistato l’uso della forza-lavoro per un determinato tempo sono il prezzo del lavoro di quel tempo. La forza-lavoro, dunque, è una merce, ne più ne meno che la carne; la prima si misura con l’orologio la seconda con la bilancia. I lavoratori scambiano la loro merce, la loro forza- lavoro, con la merce del capitalista, il denaro, e questo scambio avviene secondo un rapporto determinato. Tanto denaro per tanto tempo d’uso della forza-lavoro. Per lavorare un mese 1000 euro, e questi mille euro non rappresentano forse tutte quelle merci che si possono acquistare con 1000 euro ?. Di fatto quindi il lavoratore ha scambiato una merce, la sua forza-lavoro, con altre merci di ogni genere secondo un rapporto determinato. Dandogli i 1000 euro il padrone, in cambio di un mese di lavoro, gli ha dato, tanto di carne, tanto di abiti, tanto di energia elettrica e di gas per scaldarsi ecc. I mille euro esprimono dunque il rapporto con cui la forza lavoro si scambia con altre merci, cioè il valore di scambio della forza- lavoro. Il valore di scambio di una determinate merce, espresso in denaro, si chiama appunto il suo prezzo. Il salario non è quindi che un nome speciale dato al prezzo della forza lavoro, che d’abitudine si chiama costo del lavoro. E’ un nome speciale dato al prezzo di questa merce speciale che è contenuta soltanto nella carne e nel sangue dell’uomo. Prendiamo un lavoratore qualsiasi, per esempio un muratore. Il capitalista gli fornisce la materia prima e gli attrezzi, lui si mette al lavoro e i mattoni diventano un muro e il padrone se ne impossessa. Il salario del muratore è una parte del prezzo del muro? Niente affatto. Il muratore riceverà il salario prima che la casa, di cui fa parte quel muro, venga venduta. Egli sarà pagato con denaro d’anticipo. Come i mattoni o gli attrezzi non sono prodotti dal muratore, che gli vengono forniti dal capitalista, così non lo sono le merci che lui riceve in cambio della sua merce: la forza-lavoro. Qui finisce il ruolo del muratore, che il padrone tragga più o meno profitto dalla vendita della casa non è affar suo. Il capitalista, dunque, acquista con una parte preesistente del suo capitale la forza- lavoro del muratore, così come gli attrezzi di lavoro e le materie prime che gli appartengono. Il muratore così partecipa al prodotto o al prezzo non più di quanto faccia il martello o la carriola. Il salario non è, dunque, una partecipazione del lavoratore alla merce da lui prodotta. Il salario è quella parte di merce, già preesistente, con la quale il capitalista si compra una quantità determinata di lavoro produttivo. La forza lavoro è dunque una merce che il lavoratore vende al padrone. Perché ? Per vivere naturalmente, ma la forza-lavoro, il lavoro, è l’attività vitale del lavoratore, è la manifestazione della sua vita, che vende per procurarsi i mezzi per vivere. Ma egli non calcola il lavoro come parte della sua vita : esso è piuttosto un sacrificio della sua vita. Egli è costretto a vendere per gran parte della giornata, quella facoltà vitale che solo l’uomo possiede: la sua forza lavoro ( energia muscolare più capacità mentale ) che possiede anche quando non produce per il padrone. Ciò che egli produce per sè, non è quella cosa che egli materialmente costruisce ma il salario, cioè quelle merci che gli servono per vivere. L’espropriazione del lavoratore dal suo prodotto, non ha solo il significato che il suo lavoro diventa un oggetto, un’esistenza esterna, bensì che esso esiste fuori di lui. Egli non si afferma nel suo lavoro ma si nega, non si sente appagato ma infelice, rovina il suo corpo e mortifica il suo fisico. Il suo lavoro non è volontario ma costrittivo, la sua attività non appartiene a lui ma ad un altro. Il risultato è che, non potendo esprimere la sua vitalità al di fuori del lavoro costrittivo (perché non possiede i mezzi di produzione), egli si sente libero soltanto nelle sue funzioni bestiali, nel mangiare, nel generare, nel dormire e che nelle sue funzioni umane si sente una bestia. Il bestiale diventa umano e l’umano bestiale. Questa è la condizione dei lavoratori nel capitalismo e ciò vale anche per il lavoro prevalentemente intellettuale. Lo sfruttamento a cui il capitale sottopone i lavoratori , pur cambiando forma nelle nuove tecnologie, in sostanza rimane uguale.

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