Il PCL alla manifestazione di Bologna del Patto d’azione per un fronte anticapitalista

Le manifestazioni del 6 giugno, su scala nazionale, sono il primo momento di riconquista dello spazio pubblico contro governo e padronato da un versante classista, anticapitalista, e unitario, dopo i mesi della pandemia. “Siano i capitalisti a pagare la crisi, non i lavoratori e le lavoratrici”: questo è il senso della piattaforma comune del Patto d’azione. Una piattaforma che mira ad unire gli sfruttati contro gli sfruttatori e tutti i loro partiti. Che non si subordina alle burocrazie sindacali, si oppone apertamente al governo, combatte l’europeismo borghese liberale ma anche il sovranismo reazionario, comunque mascherato o evocato. Perché “gli operai non hanno patria” (Marx), come ci insegnano tante piazze d’America.

Le manifestazioni nelle piazze di tante città esprimono l’unità d’azione di forze diverse dell’avanguardia di classe, politiche e sindacali. È un fatto importante. Il PCL è parte di questo processo. Da tempo ci battiamo contro la frammentazione dell’iniziativa di classe. Contro la logica autocentrata di chi contrappone il proprio sindacato o il proprio partito all’esigenza elementare dell’unità d’azione. Di chi celebra come virtù il proprio rifiuto di lotte comuni.

È una logica che va rovesciata. Nessuno mette in discussione l’autonomia politica di ogni soggetto, politico e sindacale. Ma l’autonomia di ciascuno deve porsi al servizio della lotta di tutti. È nella lotta comune, dentro la stessa appartenenza di classe, che va sviluppato il libero confronto di progetti diversi. È la logica con cui il nostro partito ha lavorato all’Assemblea nazionale unitaria delle sinistre di opposizione al governo (7 dicembre), dando vita al loro coordinamento nazionale. È la stessa logica con cui abbiamo aderito sin dall’8 febbraio al Patto d’azione promosso da Si Cobas.

Dobbiamo continuare insieme su questa strada. Estendere l’unità d’azione dell’avanguardia; coinvolgere attivamente ogni soggetto disponibile, politico, sindacale, di movimento; coordinare il Patto d’azione sui territori; intervenire a sostegno di ogni lotta che abbia valenza progressiva contro padroni e governo, portandovi la nostra piattaforma comune.

Al tempo stesso, dentro la lotta comune, vogliamo porre tre elementi di riflessione.

PATTO D’AZIONE E FRONTE UNICO

Non confondiamo il nostro Patto d’azione col fronte unico della classe.

Il fronte unico della classe è quello che muove i milioni, che sono la massa critica necessaria per reggere l’urto dell’offensiva capitalista e reazionaria, capovolgere i rapporti di forza e creare le condizioni di una alternativa vera. Il nostro Patto d’azione organizza ancora poche migliaia (o decine di migliaia) di avanguardie. Un patrimonio preziosissimo e indispensabile, protagonista di mille lotte di resistenza, ma ancora molto limitato, tanto più a fronte del riflusso profondo del movimento operaio e della sua coscienza, e della nuova drammatica offensiva capitalista.

Avere la misura dei nostri limiti d’avanguardia è l’esatto opposto di una politica minoritaria. È la condizione decisiva di una attiva politica di massa. Di un intervento che ambisca a muovere la massa e a conquistarla. Di un intervento che non si limiti a recintare il proprio piccolo spazio “antagonista”, ma che punti strategicamente a rilanciare il conflitto di massa, a ricomporre la sua unità, a organizzare la sua forza, a conquistare la sua direzione. L’unità d’azione d’avanguardia crediamo debba ambire a questa prospettiva, che è in ultima analisi la prospettiva rivoluzionaria. La parola d’ordine del fronte unico di classe e di massa contro l’offensiva padronale è parte oggi di questa azione.

ANTAGONISMO E RIVOLUZIONE

È importante far emergere dentro l’esperienza del patto unitario il tema della rottura anticapitalista.

Non è sufficiente una rosa di rivendicazioni immediate per definire la prospettiva di rivoluzione. Eppure, nessuna delle rivendicazioni del Patto può essere strappata e neppure coerentemente perseguita fuori da quella prospettiva, tanto più nella nuova grande crisi. Chi pensa seriamente che sia possibile anche solo l’abbattimento delle spese militari o la riduzione dell’orario a 30 ore pagate 40 dentro le compatibilità del capitale?

Da qui l’importanza di un programma che leghi presente e futuro; che “riconduca ogni obiettivo immediato al fine rivoluzionario” (Gramsci); che faccia da ponte tra la coscienza arretrata dell’oggi e la necessità della rivoluzione; che al tempo stesso agisca da fattore di organizzazione, unificazione, maturazione della classe, e attorno ad essa di un nuovo blocco sociale. È il tema del programma di transizione su cui si cimentò un secolo fa una generazione di comunisti rivoluzionari e che va oggi declinato in rapporto alle attuali condizioni. Le stesse rivendicazioni del nostro Patto pongono di fatto questo tema, ben oltre la soglia del puro antagonismo.

UNITÀ D’AZIONE O PARTITO? UNA CONTRAPPOSIZIONE SBAGLIATA

Il tema del soggetto politico, del “partito”, è affiorato più volte nella discussione del Patto. Talvolta come sbocco auspicato del Patto stesso, talora come fantasma da cui rifuggire. In entrambi i casi, a nostro avviso, con una impostazione sbagliata.

Non c’è programma di rivoluzione senza un’organizzazione politica di rivoluzionari coscienti che miri a raggruppare attorno ad esso la parte più avanzata dei lavoratori e dei giovani, e che persegua quel programma  in forma coordinata su tutti i terreni della lotta: nella lotta di classe quotidiana, nei sindacati, nella gioventù, sul terreno elettorale, in ambito nazionale e internazionale, sul terreno della battaglia ideologica e culturale, ovunque subordinando le stesse scelte della tattica al primato della prospettiva rivoluzionaria.

Ma, se questa è la necessità, allora non può essere assolta da un sindacato, per quanto radicale esso sia, perché per sua natura ha altre funzioni. Né può essere assolta dal Patto d’azione, perché l’unità d’azione tra soggetti diversi non può porre come precondizione un programma politico generale, se non al prezzo di amputare il fronte comune o di presentare come fronte comune il proprio soggetto politico. In entrambi i casi una finzione, che prima o poi si dissolve.

Un partito rivoluzionario si costruisce sulla base di un programma generale che va al di là del contingente, perché condensa un’esperienza storica internazionale. E sul quel programma lavora ad unire nella stessa organizzazione tutte le avanguardie che lo condividono, al di là della diversità di provenienze, di percorsi, di appartenenza sindacale classista.

A nostro avviso, tenere distinti i piani (unità d’azione, fronte unico, azione sindacale, soggetto politico), senza confonderli e sovrapporli, significa non solo fare chiarezza, ma favorire il più ampio lavoro comune nelle lotte. E al tempo stesso, dentro l’unità d’azione, confrontare liberamente esperienze, tradizioni, progetti, come nella storia migliore del movimento operaio.

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