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Forlì 25 Aprile: la squallida piazza

Una lettera che volentieri pubblichiamo e una conseguente breve conversazione

Impressionante la micro-celebrazione del 25 aprile ieri a Forlì… Voi avete saputo cosa ha motivato una così penosa rappresentazione: assenza del palco, minuscolo assembramento al centro della piazza, pochissime sedie per le classi e cittadini, meno ancora i curiosi attorno, complessivamente una gran fretta a far presto?
Ne ho tratto un’impressione concreta dell’aria che tira, per di più rafforzata dalla visita successiva alla mostra fotografica sui forlivesi e la grande guerra che è un retorico esempio (compresa una intera sala, la più grande, dedicata a De Calboli, alla sua carrozzina e alle mazze ferrate dei “perfidi crucchi”…) di cosa non è più lecito fare vista anche la mole di studi che offrirebbero materiale per ben altre analisi.

Gabriele Turci

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Io sono arrivato in piazza mentre suonavano la canzone del Piave. Vengono in mente le solite cose, del tipo un popolo che perde la memoria del passato è un popolo senza futuro, ecc. Ma cosa altro aspettarsi da questa banda di farabutti in malafede? Noi (il PCL) abbiamo volantinato il nostro punto di vista: il tradimento della resistenza con un processo di revisionismo, prima sotteso e fuorviante e poi sempre più (con l’avvento della seconda repubblica) sfacciato e meramente liturgico. Un tradimento e un percorso già segnato fin dal dopoguerra quando i partigiani dovevano fare ore di anticamera per essere ricevuti dalle autorità, mentre gli ex fascisti venivano ricevuti subito.

Tutto sta nel solito concetto che ci divide (fra rivoluzionari e riformisti) e cioè la valutazione del valore progressivo della Costituzione che fu, secondo noi e in base ai fatti che oggi diventano esemplari, non il prodotto della resistenza nella sua accezione più nobile e storicamente maggioritaria (per una società senza padroni), ma il tradimento della medesima con la creazione di un involucro formalmente democratico a copertura del fatto che a comandare erano sempre gli stessi di prima.

Solo se si accetta questa tesi, sempre sostenuta dai rivoluzionari, vien meno lo sconforto che umanamente si prova di fronte a tali pubbliche manifestazioni di inquietante ipocrisia, ma piuttosto siamo spinti dalla ragione ad ammettere che coltivando l’orticello di Togliatti, Berlinguer e soci vari successivi (compresi i partitelli e movimenti centristi o opportunisti della cosiddetta sinistra radicale, pacifista e Costituzionalista), non si va da nessuna parte, sempre che si creda che non bisogna mollare e tenere la barra diritta senza il minimo tentennamento.
Se si pensa che nelle condizioni realizzatesi nel dopoguerra, in Italia e nel quadro internazionale, era oggettivamente quasi impossibile vincere e ciò nonostante ” abbiamo dato del filo da torcere ai padroni”, non può che emergere la consapevolezza che si può riaprire una nuova stagione per i “giusti” nel quadro della decadenza storica del capitalismo.
Certo! Ci vuole pazienza e una quasi sovrumana sopportazione.

Stefano Falai

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Piuttosto, non sarebbe opportuno cominciare a pensare di organizzare una celebrazione “altra” che segni decisamente il distacco da queste così ipocrite? Certo, proponendola per tempo, a quanti ci stanno, facendola fantasiosa, ma ferma, rigorosa e netta.

Gabriele Turci

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Certo! Sarebbe non solo doveroso nei confronti della Resistenza, ma decisamente opportuno politicamente.
Purtroppo queste idee vengono quando è tardi perché mi pare evidente che una cosa del genere andrebbe fatta il 25 aprile e, come giustamente dici, preparata per tempo; il che significa cominciare a lavorarci almeno due mesi prima.
Ricordiamocene per il prossimo anno.
Tuttavia, di tali opportunità, ricorrenze e argomenti per sputtanare pubblicamente questa banda di maramaldi ce ne sono e ce ne saranno a iosa, si tratta di cogliere quella più evidente e conveniente.
Lavoriamoci sopra nella consapevolezza che sarà dura risalire la china.

Stefano Falai

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