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«Cosa sai tu dell’Argentina?» «Tango, Desaparecidos, Maradona»*

Videla con Henry Kissinger

Il 24 marzo 1976 iniziò la Guerra Sucia. Una giunta militare composta dal generale Jorge Videla, comandante in capo dell’esercito, dall’ammiraglio Emilio Eduardo Massera, comandante della marina militare, e da Orlando Ramon Agosti, comandante dell’aeronautica, prese il potere con un golpe di stato. L’obiettivo era semplice: dovevano salvare la Nazione da “terrorismo, sovversione e caos comunista che stavano minacciando l’Argentina e l’Occidente cristiano”, seguendo i dettami della Dottrina della sicurezza nazionale, cui le forze armate sudamericane si ispiravano in quegli anni di convulsioni e guerriglie filocastriste.

Il problema era come evitare gli «errori» compiuti da Augusto Pinochet nel Cile del 1973, la cui repressione, con quegli stadi riempiti di prigionieri, fu troppo «visibile» e, di conseguenza, limitata. Lo scopo era ripulire una volta per sempre l’Argentina da tutti i sovversivi, mantenendosi lontano dai riflettori: fu così che nacque il “processo di riorganizzazione nazionale” .
Fu subito proclamata la legge marziale ma non ci furono arresti di massa né fucilazioni; tutto si svolse nell’ombra: orrori, sequestri illegali, torture, eliminazione fisica. Fu operato un genocidio selettivo, che eliminò con una feroce precisione tutti i meccanismi di solidarietà creati all’interno delle organizzazioni dei lavoratori e dei movimenti sociali urbani e che arrivò a coinvolgere anche intellettuali, professionisti, operai che, seppur non necessariamente di sinistra, potevano in qualche modo esprimere dissenso. I sequestri dei “sospetti” avvenivano solitamente di notte (anche se non mancavano arresti durante il giorno, in particolare quelli attuati su persone sorvegliate, che usavano spostarsi frequentemente per rendere difficile il loro reperimento durante le ore notturne) di norma la procedura consisteva nel trasporto delle persone catturate in centri di detenzione clandestini (tra cui ricordiamo Arana, Pozo de Banfield, Pozo de Quilmes, Centrale di Polizia di Buenos Aires, 5º, 8º e 9º commissariato di La Plata, 3º commissariato di Valentín Alsina, base navale di Mar del Plata, Lanús, il commissariato di polizia di Mendoza, il “Campito” di prigionia presso la scuola militare di Campo de Mayo, la “Cacha”, il Poligono di tiro di Buenos Aires e la Escuela Superior de Mecánica de la Armada); alla detenzione seguivano interrogatori, torture di carattere e di natura psicologica, lunghe detenzioni senza processo e, spesso, assassinio e vuelos de la muerte.

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Una generazione cancellata da un terrorismo di Stato pianificato che in sette anni si portò via nel nulla di una «scomparsa forzata» 30 mila desaparecidos, 2.300 omicidi politici ed oltre 10.000 arresti politici, 2 milioni gli esiliati e 500 vite rubate, quelle dei 500 bambini che furono brutalmente sottratti alle proprie madri (prima sequestrate e poi sistematicamente uccise dopo il parto) per essere affidati alle famiglie dei militari.
In seguito alle sparizioni i parenti degli scomparsi non venivano informati della sorte dei loro congiunti e molto spesso, nei commissariati di polizia, essi non figuravano nemmeno come arrestati; questa procedura consentiva una larghissima libertà di azione in merito alla vita delle persone detenute.
Con metodi diversi, ma attraverso la medesima brutalità ed il genocidio, il neoliberismo fu imposto quindi anche in Argentina, così come era successo 3 anni prima in Cile, con l’appoggio delle classi dominanti, della chiesa cattolica (ed in prima persona di quel Giovanni Paolo II, “il beato subito”, già noto per i cordiali rapporti intrecciati con Pinochet) e del “primo esportatore mondiale di democrazia” il governo statunitense, che sorvolando allegramente sulla violazione di qualsiasi diritto di base, ha sempre caldeggiato ed appoggiato, in quegli anni in particolare in America Latina, i regimi autoritari e le peggiori violenze contro i movimenti popolari, esclusivamente per meri interessi economici e di sfruttamento.

Come in accadde Cile, anche in Argentina al golpe seguirono i prestiti del Fondo Monetario Internazionale e l’affidamento dell’economia ai “Chicago boys” (il gruppo di economisti chiamati così in virtù della loro adesione alle teorie neoliberiste del docente dell’Università di Chicago M. Friedman).

Come accadde in Cile, la stretta alleanza tra capitalismo argentino, militari ed USA trasformarono l’Argentina in una cavia del capitalismo estremo, reprimendo qualsiasi movimento di opposizione ed iniziando l’opera che si sarebbe conclusa poi con l’Argentina di Menem: un paese definitivamente schiavo del fondamentalismo di libero mercato e dell’ortodossia neoliberista propugnati dal FMI, fino a diventare l’«allievo modello del Fondo monetario internazionale» (Camdessus, presidente del Fondo, spiegava: “Menem è il miglior presidente degli ultimi cinquant’anni”. Nel frattempo Domingo Cavallo, il superministro dell’economia argentina, che aveva studiato nelle “prestigiose” università nordamericane, girava il mondo per spiegare il segreto del miracolo argentino agli “ultimi convertiti” al credo del mercato, raccogliendo di passaggio riconoscimenti e attestati, come la laurea honoris causa in economia concessagli dall’Università di Bologna).

E’ abbastanza noto come il “miracolo” sia presto finito, come le imprese e le risorse più redditizie finirono svendute al capitale straniero, mentre l’industria meno attrezzata per reggere la competizione internazionale chiudeva e il debito del Paese si impennava: nel giro di dieci anni, il paese che aveva celebrato i trionfi del liberismo, si tramutò nell’esempio più drammatico del suo fallimento, pagato purtroppo a prezzi altissimi dai lavoratori e dalle masse popolari, con del 50% del popolo argentino sotto la soglia della povertà, disoccupazione e sottooccupazione, tagli in tutti i settori pubblici (sanità, assistenza, scuola), l’aumento dei prezzi che ha ridotto in pochi mesi del 30% il potere d’acquisto interno mentre la svalutazione ha tagliato di due terzi il potere d’acquisto in dollari (moneta in cui molti argentini si erano indebitati negli anni precedenti).
Ma non scrivo queste righe per parlare dell’economia argentina, quello che voglio è ricordare le infamie di un regime crudele che per sette lunghi anni, indisturbato, annegò nel sangue di decine di migliaia di desaparecidos e nelle torture disumane una richiesta di cambiamento sociale, definita “terrorista” e così data a bere ad un popolo del tutto frastornato, intimorito, reso cieco («Por algo será», per qualcosa sarà, era la risposta più comune che l’uomo della strada si dava di fronte a quelle strane scomparse, in tempi in cui bastava l’ombra di un sospetto a precipitare una persona nel pozzo senza uscita della repressione) e quasi sempre complice nelle sue classi borghesi, che continuavano a sorseggiare caffè nei patii delle loro case mentre tutto intorno la gente spariva ed un dramma epocale si consumava, mentre il mondo intero sembrava non accorgersi di nulla e le nazionali di calcio nel 1978 si affrontavano spensieratamente sui campi di calcio di un mondiale truccato.
Scrivo per non dimenticare, per non perdonare e perché, in questa epoca di revisionismi, dietrologie e negazionismi, credo ancora che solo la nostra memoria possa salvaguardare il nostro futuro.

NUNCA MAS!

Fonti

http://www.infoaut.org/index.php/blog/conflitti-globali/item/7887-videla-quanta-ipocrisia

http://www.garageolimpo.it/stampa/tvfilm3-02.html

http://www.ecn.org/asicuba/libri/desapare.htm

*da Quintetto di Buenos Aires di Manuel Vázquez Montalbán

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