Ricetta per un disastro

Se vi trovate a Hyderabad, oltre che incappare in una produzione “Tolliwoodiana” (termine per cinefili), può capitarvi ben poco. Ben poco paragonato alla spiritualità che potete trovare Mumbay o a New Delhi.

Se però siete farmacofili, avete un’intera filiera industriale composta da oltre 400 aziende e 170 siti produttivi con la quale sbizzarrirvi. Pensate che un’alta percentuale di tutti i farmaci in commercio provengono da Hyderabad Pharma City, il distretto industriale farmaceutico più sviluppato dell’India, fornitore delle principali case farmaceutiche.

Recentemente agli onori della cronaca per alcuni principi attivi alterati, ai quali sono corrisposti farmaci dannosi o inefficaci, i colossi della farmacia non si sono mai esposti per limitare questo rischio, anzi, ognuno ha difeso il proprio marchio riferendo un sistema piramidale di fornitori, dove al vertice vi è unicamente la casa farmaceutica e ai livelli più bassi un numero progressivo di società fornitrici, alla base, i produttori indiani. Naturalmente le parole magiche sono “costi ridotti”.

Molto simpatico è il sistema di smaltimento dei rifiuti industriali di queste industrie, completamente naturale. Basta riversare tutto in un lago.

Oltre l’elevatissimo impatto ambientale che questa filiera produce, a discapito (molto spesso) dei cittadini delle aree limitrofe che sovente si trovano senza acqua potabile, non va sottovalutato di certo l’immenso problema di contaminare un lago (spesso stagnante a causa della siccità stagionale), con scarti industriali a base di antibiotici e di antivirali.

Una diretta conseguenza è lo sviluppo, in queste acque di batteri e virus farmaco-resistenti.

Finché questo avviene in un lago isolato, poco male, ma appena il livello delle acque si innalza a causa delle piogge stagionali, questi agenti patogeni farmaco-resistenti si riversano nell’impianto fognario.

Da lì ad arrivare al mare, o alle coltivazioni di tè, è un lampo.

Ma quali sono le conseguenze che questo causa nel mondo globalizzato?

In nome della riduzione dei costi che induce a subappaltare la produzione in quelle aree del mondo delle quali spesso ci dimentichiamo perché estremamente remote, ma soprattutto perché “meglio a loro che a noi”, la maggior parte delle case farmaceutiche ha chiuso i dipartimenti di ricerca sugli antibiotici, poiché hanno scoperto che basta cambiare il nome commerciale.

Secondo un articolo di Focus dello scorso anno, sono rimasti circa 800 al mondo i ricercatori in questo campo.

In questi laghi-fogne, normali contaminazioni batteriche e virali presenti nelle acque, si trovano in un ambiente ricco di principi attivi di antibiotici e di antivirali. I pochi agenti patogeni che riescono a sopravvivere, si moltiplicano conservando la caratteristica chimica dell’immunità a queste sostanze, che poi saranno le stesse che useremo per cercare (spesso inutilmente) di combatterli.

La ricetta per un disastro.

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