Riflessioni…

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di Masaniello

Che merito esiste nel nascere in un posto piuttosto che in un altro? Mi sembra evidente che non possiamo scegliere se nascere o dove nascere. Nel limite del possibile si cresce anche in base a ciò che ci circonda, è nel rapporto con le circostanze che va a formarsi il nostro carattere e si sceglie ciò che si vorrebbe essere, ma che il più delle volte non riusciamo a diventare.
Non è questione di merito, è questione di fortuna nascere in un ambiente e non in un altro. Quello che decidiamo di diventare, però, è anche una scelta nostra.

In un mondo come il nostro, dove il più forte prevale sul più debole, dove c’è più compassione per un cane che per un bambino straniero, ogni giorno cresce a dismisura l’odio e l’avversione per il più povero, per l’emarginato, per lo sfruttato, per chi non rientra nei canoni della società, che ci vorrebbe tutti con il cervello spento.

Il declino umano della nostra società è così evidente da far capire anche al più strenuo tifoso del capitalismo che questo sistema è completamente fallito. Il finto benessere che tutti siamo obbligati a esternare ci porta a ragionare tutti allo stesso modo, quasi robotico, quasi ci fosse un burattinaio che sceglie che movimenti farci fare, cosa pensare e soprattutto volere, calpestando ogni considerazione e attenzione verso l’altro da sé.

Eppure la logica mi impone un quesito: posso io essere preda di ansie, paure e nevrosi quando i tre quarti della popolazione mondiale pagherebbero con la vita per poter vivere come me?

Da queste riflessioni nasce il senso di inadeguatezza nello stare in questo mondo, immerso in questa società e con queste regole, con scelte fatte da altri che tentano di convincermi che sono mie, un mondo fatto di consumi irragionevoli, bisogni indotti, esigenze non soddisfatte, rapporti umani falsati dall’interesse.
L’umano è fragile, non vuole domande ma certezze; il “successo” del sistema capitalista consiste anche nel dare risposte (inadeguate e false) alle domande dell’uomo, tacitando la sua coscienza. Hai fatto qualcosa di male? Tieni, c’è la religione, vai a confessarti e passa tutto con due ave maria. Sul posto di lavoro hai un collega più lento, magari perché malato? “Eh, va licenziato, altrimenti devo fare tutto io! Diminuisce la produttività!”. Ti tolgono diritti su diritti? È colpa dell’immigrato! Risposte semplici a domande semplici. Risposte però utilissime sempre alla stessa classe sociale, quella degli sfruttatori.

La prova che discendiamo dalle scimmie è proprio questa (l’evoluzione è un’illusione se non una speranza): ci danno due noccioline e saltiamo felici e buonanotte. Siamo in mostra in uno zoo invisibile dove i capitalisti portano le reclute in gita. Ci scucchiaiano le peggiori nefandezze e non ci importa: tumori, malattie, depressioni ma ci culliamo nell’illusione di vivere bene. Se solo ci guardassimo un attimo indietro ci renderemmo conto di quando siamo ipocriti.  Ci renderemmo conto che ciò di cui abbiamo bisogno non è l’ultimo modello di smartphone, dell’auto di grossa cilindrata o delle vacanze esotiche. Il nostro male non si risolve con le soluzioni facili che il capitalismo ci dà. Stiamo male perché ci mancano cose ben più profonde, che fanno profondamente parte del nostro essere umani, ma che questo sistema economico (in cui tutto è profitto) ci ha strappato: la solidarietà, l’aiuto reciproco, il diritto all’ozio, al tempo libero, alla creatività, a rapporti umani non basati sull’interesse, all’amore senza regole, alla bellezza, il diritto alle decisioni libere e non obbligate, la scelta tra tante alternative vere e non finte, il diritto a scoprire i propri talenti e inclinazioni, il diritto ad aria, acqua e suolo non inquinati, il diritto a essere ciò che si vuole, ad essere tutti diversi e tutti uguali.

Diritti che di fatto, realmente, non rivendica nessuno dei burattini che popolano la scena politica borghese. Perché per ottenerli c’è un unico modo, un modo che ai capitalisti non piace: rovesciare il sistema che fa dell’uomo una merce e smettere di mantenere una classe di sfruttatori. Lo strumento per far questo è solo uno: un partito rivoluzionario.

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