Gli esiti della Buona Scuola

di Nikita
Il 5 maggio 2015 lo sciopero generale della scuola con la massiccia adesione dei lavoratori aveva lanciato un segnale forte e significativo ad un governo che non aveva voluto ascoltare le rimostranze di chi la scuola la vive e la fa ogni giorno. Un grande movimento sembrava aver mosso i primi passi contro un potere che, con la legge 107, ma non solo, ha mostrato il suo vero volto, quello di un’ autocrazia che va avanti con pericolosi “me ne frego”.

Lo sciopero generale ha sì incrinato le certezze di Renzi e Giannini, che qualche ritocco di facciata alla legge 107 hanno dovuto apportarlo. Solo maquillage che non ha inciso sulla filosofia di fondo del provvedimento, sul suo essere in linea con la privatizzazione della cosa e della scuola pubblica e con l’ asservimento compiacente ai poteri economici forti. L’ idea fondante rimane quella della Scuola-Azienda e del Preside -Padrone.

A scuole chiuse, la legge 107 è stata approvata. Il gruppo che ha portato avanti la raccolta di firme per un referendum abrogativo della 107 e che sta ottenendo un discreto risultato (stando alle notizie online) è un coacervo di genitori cattolici integralisti che ha confuso la parità di genere garantita dalla “Buona scuola” con l’insegnamento della teoria gender. Non una lotta ad una legge che mina la struttura democratica e la pluralità delle idee nella scuola pubblica dunque, ma una nuova, rovinosa crociata.

In ogni caso, il 1 settembre, quando gli insegnanti hanno ripreso servizio, si è avuto subito il sentore del naufragio delle promesse renziane puntualmente confermato il 14/15 settembre con il ritorno dei ragazzi sui banchi di scuola.

Si era detto che la buona scuola avrebbe posto fine alla babele organizzativa di inizio d’ anno e alla “supplentite”. E’ accaduto esattamente il contrario. Docenti migranti, classi senza docenti, dirigenti nel panico che non sapevano da quali graduatorie nominare supplenti comunque a termine. E finalmente gli utenti, quei genitori che, stregati dal sorriso lievemente arrogante e dall’humor toscano del premier , imbambolati dal suo tam tam mediatico, non avevano preso coscienza del problema e avevano spesso accusato i docenti di voler difendere privilegi di casta, si sono trovati all’improvviso a toccare con mano la realtà della buona scuola preconizzata dagli insegnanti. L’informazione televisiva di regime ha offerto solo qualche raro assaggio del caos imperante all’inizio dell’anno scolastico.

Situazione tragica a livello nazionale, in linea con quella locale. Al Liceo delle Scienze umane di Forlimpopoli per tutta la prima settimana di scuola, le classi hanno effettuato un orario ridotto, e all’ I.C. Rosetti mancavano all’appello cinque docenti nominati solo dieci giorni dopo l’inizio delle lezioni. Finalmente tutto a posto quindi?

Nemmeno per sogno! Tra questi docenti ci sono alcuni insegnanti neoimmessi che, grazie alla magnanimità del team Renzi-Giannini, usufruiscono della possibilità di rinvio di un anno della presa di servizio nella provincia in cui sono stati nominati in ruolo. Ciò significa che l’anno prossimo essi dovranno rientrare nella provincia di appartenenza con buona pace della continuità didattica. E se questo cambiamento è traumatico per le classi, diventa crudele quando il docente è di supporto ad un alunno in situazione di handicap. Il rapporto docente di sostegno/discente faticosamente costruito viene vanificato da una burocrazia miope e confusa.

Altri docenti invece rimarranno in servizio fino alla nomina degli “aventi diritto”. Quando? Anche qui grande confusione: 5 ottobre? 20 ottobre? Inizio novembre? Poi altro cambio.

La legge 107 ha mostrato nei fatti di essere una risposta inadeguata alle esigenze della scuola non solo perché concepita nell’ottica di una macelleria sociale ai danni di docenti e studenti, ma anche perché, nella pratica, è riuscita a creare un guazzabuglio totale, peggiore perfino di quanto accaduto nel ventennio berlusconiano.

L’unica a non essersene accorta sembra che sia stata la first lady, Agnese Landini, che, nonostante le dieci ore di attesa per ottenere un contratto part time a Pontassieve (dove vive), ha dichiarato: “Sono contenta. E’ la prima volta che per due anni mi assegnano la stessa scuola.” Qualcun altro invece, per la prima volta, ha dovuto piantare baracca e burattini e partire dalla Sicilia per un posto di lavoro a Roma.

Lei è contenta, noi no.

Al ministro Giannini, che vagabonda di intervista in intervista a ribadire quanto siano “choosy” gli insegnanti che si lamentano di dover mollare casa e famiglia per andare a lavorare chissà dove, ad un governo che minaccia quotidianamente i pochi diritti rimasti ai lavoratori e che ha annullato l’ autonomia del collegio dei docenti, si può dare solo una risposta forte ed unitaria con la chiamata ad un nuovo, compatto sciopero generale.

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