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Assemblea Nazionale Fiom? PCL presente!

Stamattina la sezione PCL Romagna (Forlì Cesena Rimini Ravenna) era presente agli ingressi dell’Hotel Dante di Cervia dove è prevista la due giorni dell’Assemblea Nazionale dei 500 della Fiom.
Il PCL, con il volantino allegato, ha sostenuto la necessità di proseguire la lotta per tornare a vincere. Nessuna illusione riformista, tanto meno un’alleanza sociale di sinistra potrà far riacquistare i diritti ed il lavoro persi, anche a causa dell’inadeguatezza della dirigenza Fiom e CGIL.
Pertanto il PCL continua a lanciare la proposta di realizzare una piattaforma generale unificante, che rivendichi non solo i diritti abrogati, ma la ripartizione fra tutti/e del lavoro esistente, la cancellazione della precarietà, un vero salario ai ed alle disoccupati/e, il rinnovo dei contratti, un grande piano di nuovo lavoro finanziato dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, profitti, rendite.
È necessaria una forza di massa per imporre questa piattaforma, una mobilitazione prolungata che punti a bloccare il Paese. È necessaria un’assemblea nazionale di delegati/e eletti nei luoghi di lavoro, che decida piattaforma e forme di lotta, che guidi democraticamente questa battaglia.
Restiamo inguaribilmente convinti che l’unica sinistra capace di rispondere alla crisi del capitalismo sia una sinistra classista e rivoluzionaria. Classista perché schierata sempre e comunque dalla parte dei lavoratori contro la classe dominanti, i suoi partiti, i suoi governi. Rivoluzionaria, perché mirata a ricondurre ogni lotta di massa alla prospettiva di un governo dei lavoratori, quale unica vera alternativa.


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RIPRENDERE LA LOTTA, PER UN’OPPOSIZIONE VERA!

Il job actè definitivamente passato, l’articolo 18 è stato abrogato! Il governo e il PD hanno cancellato una conquista dell’autunno caldo, riportando i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici agli anni cinquanta. Renzi è riuscito dove aveva fallito Berlusconi: libertà di licenziamento, demansionamento e controllo a distanza, contratti a termine senza causale (Poletti).
Lo sciopero del 12 dicembre si è dimostrato insufficiente. Una lotta una tantum, senza piattaforma, senza continuità, senza prospettiva. Dopo la CGIL si è fermata. Si è arrivati all’approvazione dei decreti attuativi senza altri scioperi, manifestazioni o assemblee: il Consiglio dei Ministri gli ha approvati nel silenzio delle piazze. Solo un fiume di parole di Camusso e Landini, che hanno promesso di continuare la mobilitazione. Di fatto, la si è chiusa. Si è interrotto un ciclo di lotta, impedendo di cristallizzare nella coscienza di milioni di lavoratori e lavoratrici quella rottura con il governo che era iniziata a maturare proprio con la scelta di ottobre della CGIL. Si è permesso al governo non solo di proseguire l’offensiva, ma anche di approfondirla:  dall’inserimento dei licenziamenti collettivi all’estensione generalizzata del demansionamento con qualunque modifica degli assetti organizzativi (e non più solo in caso di crisi o ristrutturazioni), per tutti i lavoratori e lavoratrici e non solo per i nuovi assunti.
Si sperava in un cambio di strategia di Renzi, visto la riduzione dei tagli ai patronati (da 150 a 35 milioni di euro) e i cambi di cavallo nei corridoi del Palazzo, determinati dall’elezione di Mattarella. Ma non si può sperare nel dialogo con un governo che vuole lo scontro.
OCCORRE ALZARE UN ARGINE, COSTRUIRE UNA OPPOSIZIONE VERA.
Il governo ha vinto una battaglia importante, non la guerra. Forti del successo ottenuto, nei prossimi mesi Renzi ed il padronato proseguiranno infatti l’offensiva, per ridurre ulteriormente il salario diretto, quello indiretto (pensioni) e quello sociale (sanità, scuola, servizi pubblici). Tenteranno di smantellare i contratti nazionali, prolungandone il blocco o revocandoli (come annunciato dai chimici). Riapriranno il capitolo previdenza, flessibilizzando i tempi di entrata per gestire l’inevitabile flusso degli esodati dalle aziende (che ora potranno licenziare), decurtando le loro già magre pensioni. Aumenteranno sempre più tasse e tariffe, per rispettare i parametri di bilancio imposti dalla UE, e nel contempo smantelleranno l’unica vera struttura di welfare universale del nostro paese: il Sistema Sanitario Nazionale.
Continueranno questa offensiva, perché è necessario rilanciare la competitività, cioè i margini di profitto. Perché la lunga depressione italiana si inscrive in una crisi mondiale, che ha cause strutturali. A farla esplodere sono stati i subprime, ma a causarla non è stato né l’enorme crescita della speculazione finanziaria, né la diminuzione di salari e spesa pubblica (domanda aggregata), né gli squilibri mondiali. Sono state le tendenze di fondo dello dinamica capitalista, la sovrapproduzione di capitali e la caduta dei saggi di profitto. Non basteranno quantitative easing, investimenti europei o politiche keynesiane per rilanciare l’espansione dell’accumulazione. Le precedenti grandi crisi hanno richiesto distruzioni radicali e prolungate per ricreare margini della crescita. La speranza di una regolazione politica dei cicli economici ha evidenziato i suoi limiti già negli anni trenta, nella precedente lunga depressione, che è stata superata non dalle politiche più o meno keynesiane di Roosevelt, Blum, Hitler o Mussolini, ma dal precipitare della seconda guerra mondiale.                     
Per questo è necessario proseguire la lotta. Occorre voltare pagina: mettere in campo una forza uguale e contraria, con la volontà di vincere. E’ necessaria una piattaforma generale unificante, che rivendichi non solo i diritti abrogati, ma la ripartizione fra tutti/e del lavoro esistente, la cancellazione della precarietà, un vero salario ai ed alle disoccupati/e, il rinnovo dei contratti, un grande piano di nuovo lavoro finanziato dalla tassazione progressiva dei grandi patrimoni, profitti, rendite. E’ necessaria una forza di massa per imporre questa piattaforma, una mobilitazione prolungata che punti a bloccare il Paese. E’ necessaria un’assemblea nazionale di delegati/e eletti nei luoghi di lavoro, che decida piattaforma e forme di lotta, che guidi democraticamente questa battaglia.
Per questo è necessario cambiare direzione, superare il vuoto a sinistra che si è prodotto in Italia. In nessun paese d’Europa si registra una crisi tanto profonda. E’ un caso? No. In nessun altro paese europeo la sinistra si è tanto compromessa, e per tanto tempo, con le politiche antioperaie dei governi, nazionali e  locali. Si è approvato il lavoro interinale, le maggiori privatizzazioni del continente, le finanziarie lacrime e sangue, l’abbassamento delle tasse sui profitti, la precarizzazione del lavoro, le missioni di guerra, le dismissioni di municipalizzate e scelte contro i lavoratori e le lavoratrici (da Milano a Genova a Roma). Ci pare curioso che di questa tragedia non si sia tratto un bilancio. Ancor più curioso che i gruppi dirigenti responsabili di quella tragedia si candidino oggi a “ricostruire la sinistra” che hanno distrutto.
Fare una Syriza italiana sembra infatti il mantra più diffuso in questi giorni. Appare ragionevole, ma ripropone l’ennesima illusione. Innanzitutto chiediamoci: il successo di Syriza è il risultato di “una sinistra unita e poco litigiosa”? No. Alle elezioni erano presenti 5 liste (KKE, ANTARSYA; EEK, ecc) e Syriza stessa è una costellazione di 13 diverse organizzazioni. Il successo è il frutto della radicalizzazione di massa dei lavoratori e della gioventù greca, il frutto di tanti anni di scioperi generali e di lotte prolungate. Questa radicalizzazione ha trovato una sinistra non compromessa nelle politiche di austerità (a differenza di quella italiana). Ma Tsipras risponde all’esigenza di una svolta vera? No, non risponde a quella esigenza. Lo abbiamo visto in questi giorni. Lo sforzo è quello di tranquillizzare il capitale finanziario europeo. Nessuna rottura con la UE. Nessuna rottura con la Nato. Nessun annullamento del debito pubblico greco. Nessuna nazionalizzazione delle banche. Salvaguardia dell’apparato dello Stato. La speranza è quella di un compromesso sul debito pubblico che ne riduca il peso e perciò stesso ne garantisca il pagamento. Ma è possibile realizzare la svolta sociale radicale che il dramma greco richiede rispettando il capitalismo greco e il capitalismo europeo? Anche una parte di Syriza, in dissenso con Tsipras, ritiene di no. E ha ragione.
Il nodo di fondo, in Grecia come in Italia, resta quello di sempre. Restiamo inguaribilmente convinti che l’unica sinistra capace di rispondere alla crisi del capitalismo sia una sinistra classista e rivoluzionaria. Classista perché schierata sempre e comunque dalla parte dei lavoratori contro la classe dominanti, i suoi partiti, i suoi governi. Rivoluzionaria, perché mirata a ricondurre ogni lotta di massa alla prospettiva di un governo dei lavoratori, quale unica vera alternativa.

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