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Nel nome dell’unità

Sotto la bandiera dell’”unità” e della “lotta alla frammentazione” si moltiplicano, nella sinistra italiana, proposte diverse di “nuovi soggetti politici” ( a volte gli uni contro gli altri armati). Spesso promossi da gruppi dirigenti corresponsabili, a diversi livelli , della disfatta delle sinistre. E in ogni caso accomunati, in forme diverse, dalla contrapposizione o estraneità alla prospettiva rivoluzionaria socialista: all’unica prospettiva che può indicare agli sfruttati una via d’uscita dalla catastrofe sociale del capitalismo e della sua crisi.

L’ENNESIMA “RIFONDAZIONE” DEGLI EX MINISTRI

Una prima proposta “unitaria” viene dalla “Lettera aperta alla sinistra” promossa dalla Direzione Nazionale del PRC. Cioè dalla principale responsabile ed erede di quei 15 anni di cicliche compromissioni di governo, nazionali e locali, col centrosinistra che non solo hanno colpito i lavoratori in cambio di ministeri e assessorati, che non solo sono giunte nel 2006/2008 a votare la guerra con la benedizione del ministro Ferrero, ma che hanno distrutto perciò stesso un patrimonio enorme di aspettative, energie, passioni militanti.

L’ex ministro Paolo Ferrero cerca oggi di sopravvivere come Segretario all’atto finale dell’autodistruzione del PRC ( svendita a Ingroia in cambio della speranza di parlamentari) impugnando la bandiera di “un nuovo soggetto politico unitario”: un soggetto “senza pregiudiziali ideologiche” , “sulla base di una piattaforma antiliberista”, che ”si connoti per l’autonomia e alterità rispetto al centrosinistra”.

Si tratta dell’esatta riproposizione dell’ equivoco di fondo su cui è nato il PRC e che ha distrutto il PRC: quello di una unità senza principi di classe e comunisti( “pregiudiziali ideologiche”!); fondata sul ripescaggio di un programma riformista Keynesiano contrapposto al programma della rivoluzione ( “antiliberismo” contro “anticapitalismo”); combinata con l’eterna ambiguità del rapporto politico coi liberali ( dai quali si è ”altro” ma ai quali non si è “alternativi”), con cui il PRC continua peraltro a governare nelle giunte di mezza Italia, votando privatizzazioni e tagli sociali.

Riproporre 20 anni dopo come “nuovo” un equivoco fallito, nel momento stesso del compimento definitivo del suo fallimento- e per di più con forze irrisorie rispetto a quelle di allora proprio a causa di quel fallimento- significa non solo proporre un illusione senza futuro: ma contribuire perciò stesso a nuove delusioni e dispersioni.

ANTAGONISMO SENZA RIVOLUZIONE

Una seconda proposta “unitaria” viene da un raggruppamento eterogeneo di soggetti e formazioni minori di diversa collocazione: una parte di Sinistra Critica ( Turigliatto), che già votò 21 fiducie al governo Prodi, e che ha ormai consumato una scissione interna verticale ; una parte del gruppo dirigente ferreriano del PRC ( da Russo Spena a Forenza) da sempre partecipe delle scelte governative di Rifondazione e tuttora collocato al suo interno; la piccola organizzazione della Rete dei Comunisti( Casadio) e i suoi militanti sindacali; e in particolare Giorgio Cremaschi e la sua area di riferimento nella Rete 28 Aprile e nel comitato No Debito.

L’appello avanzato rivendica “un movimento politico anticapitalista e libertario”, “alternativo al Centro sinistra” per una “alternativa all’attuale sistema sistema economico, sociale, politico” italiano ed europeo: ha dunque un impronta formalmente più “radicale” della Lettera aperta del PRC. Ma l’appello riflette al tempo stesso, com’è inevitabile, la tradizionale impostazione dei soggetti politici proponenti: la rimozione della prospettiva del governo dei lavoratori, quale alternativa rivoluzionaria di potere degli sfruttati, e unica vera alternativa al potere degli sfruttatori.

Siamo all’eterna riproposizione dell’antagonismo senza rivoluzione. Che anche quando parla di “cambiamento rivoluzionario” lo dissolve in un movimentismo scorporato dal fine. Contrapponendo l’apologia dei movimenti alla costruzione del partito rivoluzionario (v. il movimento non global di Genova raffigurato come esempio potenziale del “soggetto politico anticapitalista di massa”); rimpiazzando la centralità strategica della classe operaia, e della costruzione attorno ad essa del blocco sociale alternativo, con la sommatoria orizzontale di tutte le istanze di movimento ( dove le sacrosante rivendicazioni “ambientaliste, femministe, antirazziste..” restano prive di quel polo sociale di ricomposizione che è condizione necessaria per la loro stessa realizzazione) ; ignorando la ragione di un programma di rivendicazioni che faccia da ponte tra gli obiettivi immediati e la necessità della rivoluzione ( cosicchè ad es. la stessa rivendicazione dell’abolizione del debito pubblico verso le banche viene sostituita dal “rifiuto del vincolo del debito”, aprendo la porta alle teorie riformiste sulla sua “negoziazione” , sulla distinzione tra debito “legittimo e “illegittimo”..). Il risultato paradossale è che in un appello che si vuole fondato su una “proposta di lotta” manca una proposta generale di svolta, unitaria e radicale, proprio sul terreno delle forme di lotta ( occupazione delle aziende che che licenziano, vertenza generale, sciopero generale prolungato..): perchè la stessa proposta di lotta è inseparabile dal fine che si persegue.

La verità è che nel nome del “nuovo” si ripropone la vecchia soluzione politica “centrista”- “nè riformismo, né rivoluzione”, “nè carne né pesce”- che ha finito col dissolvere in tempi recenti “Sinistra Critica”, come già negli anni 80 Democrazia Proletaria. Ogni volta con l’inevitabile dispersione di militanti e disgregazione di forze. Che è l’esatto opposto dell’evocazione “unitaria” che si solleva.

UN’IMPROBABILE ALBA

Una terza proposta “unitaria” viene dal piccolo raggruppamento di ALBA, già promotore dell’esperienza “Cambiare si può”. E’ un raggruppamento che raccoglie esponenti dell’ala “sabatiniana” della FIOM ( come Airaudo, oggi parlamentare di SEL) e che è guidato da personalità intellettuali della sinistra di diversa estrazione : da Marco Revelli, già impegnato negli anni 90 a spiegare- come consulente culturale di Bertinotti- la “morte della lotta di classe” ; al professore fiorentino Ginzburg, già protagonista del movimento dei Girotondi, quale strumento di pressione sugli allora DS; sino a giuristi democratici come Pepino, o ad ambientalisti radicali come Guido Viale.

La proposta, anche in questo caso, è quella di “Un nuovo soggetto politico unitario”: un soggetto che inauguri “un nuovo modo orizzontale di fare politica”, occupi lo spazio liberato dalla “crisi dei vecchi partiti” della sinistra, unisca istanze progressive- politiche, sociali, civili, ambientaliste ( a partire dalla difesa dei beni comuni) attorno al primato della “cittadinanza democratica”.

La domanda è semplice: dove è il “nuovo”?

Si ripropone il vecchio canovaccio del progressismo democratico, nel momento stesso in cui il capitalismo in crisi rigetta sia il progresso sociale che la democrazia.
Si ripropone l’ennesima contrapposizione di una “cittadinanza” democratica, al di sopra delle classi, alla centralità della lotta di classe come ancoraggio della stessa battaglia democratica.
Si rilancia il vecchio rifiuto di un partito di classe anticapitalistico, nel nome di quella eterna suggestione di “nuova forma democratica della politica” che in realtà ripropone ogni volta, sotto mutate spoglie, tutti i vecchi vizi dei vecchi partiti burocratici riformisti.

Il “nuovo” progetto unitario si riduce in realtà ad un’area di provvisorio parcheggio per un ceto politico e intellettuale neoriformista oggi privo di collocazione. Forse con ambizioni politiche infinitamente superiori ai mezzi. E destinato per la sua fragilità ad essere terreno di incursioni e scorrerie di altre operazioni e soggetti ( da Rivoluzione civile a SEL allo stesso M5S) come si è visto nella sua recente esperienza. Con gli inevitabili effetti disgregatori, documentati dalla crisi precoce di “Cambiare si può”.

UNIFICARE LE AVANGUARDIE ATTORNO AL PROGRAMMA DI RIVOLUZIONE
E AL SUO PARTITO

Il PCL non si fa abbagliare da queste effimere operazioni “unitarie”.

Naturalmente manterremo e svilupperemo una politica di unità d’azione, su obiettivi comuni, con ognuno di questi soggetti, reali o eventuali, dentro la costruzione dell’opposizione sociale e la lotta di classe: secondo quella cultura della più ampia unificazione del fronte di lotta, fuori da ogni settarismo e personalismo, che ha sempre contraddistinto il nostro agire (a volte in polemica con le pulsioni settarie di altri soggetti..”unitari”.).

Ma lo faremo a partire dal nostro programma di rivoluzione. Lavorando a sviluppare in ogni lotta la consapevolezza che solo un governo dei lavoratori, su un programma anticapitalista, può segnare una svolta vera per gli sfruttati. Riconducendo ogni obiettivo immediato a quella prospettiva di fondo. Individuando nella classe operaia il perno decisivo del blocco sociale dell’alternativa anticapitalista, e dunque impegnandoci in ogni movimento ( ambientalista, democratico, antirazzista, femminista, antiimperialista..) in funzione di quella prospettiva unificante. Costruendo un partito militante, socialmente radicato e organizzato, unito nell’azione e libero nella discussione, quale strumento insostituibile di questa politica rivoluzionaria.

Attorno a questo partito lavoriamo ad unificare tutti i militanti d’avanguardia, ovunque oggi collocati, che ne condividano il programma e siano disposti a sostenerlo. Anche in risposta a quei segnali di avvicinamento ed ingresso nel PCL che si vanno moltiplicando, da versanti diversi, in varie parti d’Italia.

Siamo convinti che un programma di rivoluzione non sia solo l’unico vero programma di alternativa per i lavoratori e tutti gli oppressi. Ma sia anche l’unico solido terreno su cui poter costruire un partito capace di reggere, dentro un livello di scontro storicamente nuovo rispetto alla tradizione del dopo guerra; e dunque capace di evitare le inevitabili frantumazioni di partiti e soggetti improvvisati, senza radici e senza futuro.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

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