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Politica di classe e classe senza politica

L’Italia è stata investita frontalmente, per 5 anni, dalla crisi capitalistica internazionale ed europea. cinque anni di crisi capitalista hanno prodotto la crisi sociale  più profonda dell’intero dopoguerra, con un attacco senza precedenti alle conquiste e ai diritti del lavoro salariato,   privato   e pubblico. Questa crisi ha investito gli assetti politici della borghesia, ha minato le basi di consenso dei suoi partiti dominanti, ha disarticolato i loro blocchi sociali di riferimento, ha causato la caduta di governi, ha dissestato l’equilibrio del vecchio bipolarismo borghese. In una parola ha precipitato la crisi della Seconda Repubblica, come la stessa crisi politica in corso documenta nel modo migliore.
Ma a questa crisi sociale e politica delle classi dominanti e del loro sistema non ha affatto corrisposto un’ascesa della classe operaia, del suo livello complessivo di risposta e mobilitazione.  Questo è il punto. Dire “non  c’è praticamente regione dello stato italiano in cui non ci siano proteste,  agitazioni, lotte  di lavoratori  del  settore pubblico e privato” significa sostituire l’analisi marxista con  l’impressionismo  retorico. Le “lotte” ci sono sempre,  com’è naturale, tanto più in un quadro di crisi drammatica che passa per la chiusura di centinaia di aziende. Ma la domanda è: “queste lotte disegnano, nel loro  insieme,   una curva generale  ascendente  del  movimento operaio, o descrivono un processo di resistenza atomizzata dentro una dinamica di arretramento complessivo?”
La risposta è nei fatti :
Nei 5 anni  della crisi capitalista il livello COMPLESSIVO di  mobilitazione della classe lavoratrice è stato minore -secondo  tutti gli indicatori  – di quello registrato negli anni precedenti la crisi (v. mobilitazioni del 2002/2003 contro Confindustria e Berlusconi). Sia nel settore pubblico (nella misura più netta), sia nel settore privato.  E questo pur in presenza di un attacco padronale e governativo assai più elevato (licenziamenti di massa, cacciata della FIOM dalle fabbriche, distruzione di conquiste e diritti contrattuali ..). E di una crisi politica e di consenso delle classi dominanti molto più profonda.
In altri termini:
La crisi di consenso delle politiche borghesi ha assunto, su scala generale, la forma prevalente del rigetto passivo, non della radicalizzazione attiva.Perché è accaduto? Per diversi fattori. Ma soprattutto perché la crisi capitalista si è abbattuta sul movimento operaio italiano dopo una lunga stagione di arretramenti e nel momento della sua parabola politica discendente (riflusso delle mobilitazioni anti Berlusconi del 2002/2003, fase di “pacificazione” concertata sotto il governo Prodi con la precipitazione dei livelli di sciopero, delusione politica per l’esperienza Prodi..). E ha finito così con l’amplificarne gli effetti, col peso materiale della propria pressione sociale disgregatrice. Nei tre anni di Berlusconi, la difficoltà della mobilitazione sul terreno economico sociale è stata in parte compensata dalla radicalizzazione politica antiberlusconiana del “popolo della sinistra” (non delle masse più larghe, come dimostra il tasso di partecipazione agli scioperi).
Col governo Monti la difficoltà si è accentuata proprio nel momento della massima precipitazione dell’attacco avversario.  Era “inevitabile” questa dinamica generale? Certamente no.  Tanto più dentro il quadro della crisi capitalista e dei suoi effetti disgregatori, il ruolo della direzione è centrale. E la burocrazia sindacale della CGIL in particolare ha avuto un ruolo decisivo nel disarmo della classe operaia di fronte alla crisi: non solo rifiutando ogni reale opposizione sociale, ma boicottando e ostruendo scientificamente ogni possibile canale di ripresa di massa, di unificazione del fronte e di controffensiva operaia (v. il sabotaggio del movimento di lotta a difesa dell’art.18 della primavera 2012).Mentre il gruppo dirigente della FIOM è stato totalmente incapace di assumersi una responsabilità di direzione alternativa: a partire dalla mancata occupazione degli stabilimenti Fiat di Termini Imerese nel 2009 e dalla dispersione delle potenzialità di svolta espresse dal voto operaio di Fiat Pomigliano. Al tempo stesso è indicativo che la burocrazia abbia utilizzato a proprio vantaggio quei sentimenti di sfiducia e demoralizzazione che la sua stessa politica alimentava. Riuscendo a sottrarsi per questa via, su scala generale, a contestazioni frontali (“autunno dei bulloni” del 92, o simili). Sfiducia diffusa verso la burocrazia sindacale e mancata rivolta contro la burocrazia sindacale sono, nella loro combinazione, un riflesso dello stato d’animo delle masse.
RIPRESA REAZIONARIA E INSTABILITA’ POLITICA. IL NUOVO FENOMENO BERLUSCONI.
Il congiungersi della crisi capitalista, della crisi politica della borghesia, della crisi del movimento operaio, ha prodotto un contraccolpo politico: la ricomposizione, in forme diverse, di un blocco reazionario. Instabile, contraddittorio, ma reale. La ripresa di Berlusconi, e lo sfondamento del movimento 5 Stelle si collocano in questo quadro.
Il PDL e il blocco di centrodestra hanno subito un tracollo elettorale rispetto al dato del 2008, ben superiore a quello registrato dal centrosinistra. L’esperienza del governo Berlusconi e gli effetti della crisi capitalista sul suo tradizionale blocco sociale sono stati profondi. Ma il dato politico scaturito dal voto di febbraio, non è la consistenza della perdita
elettorale del PDL. E’, all’opposto, il rapido e straordinario recupero realizzato da Berlusconi rispetto alla massima precipitazione elettorale e politica della sua crisi dei mesi precedenti.Un Berlusconi dato da tutti i sondaggi a novembre 2012 attorno al 12/15% ha recuperato in pochi mesi diversi milioni di voti, lambendo -seppur in discesa- un clamoroso sorpasso sul centrosinistra e ricompattando un PDL in piena crisi di disgregazione. Quale è stato il fattore di questa ripresa berlusconiana? Una dissociazione spregiudicata e clamorosa dal governo Monti, dall’unità nazionale, e dalla politica di austerità. Berlusconi ha capitalizzato in parte a proprio vantaggio la sofferenza delle classi medie e la disperazione sociale di ampi strati popolari immiseriti (campagna sulla restituzione dell’IMU), che non hanno trovato nel movimento operaio un punto di riferimento alternativo. In altri termini: dentro la crisi capitalista, Berlusconi ha capitalizzato la crisi del movimento operaio, rimontando sulla propria crisi; sino a configurarsi oggi come possibile (probabile?) vincitore di eventuali nuove elezioni politiche anticipate.Il fatto che Berlusconi sia stato rovesciato da un operazione del capitale finanziario, e non dal movimento operaio(e che anche per questo abbia preservato lo zoccolo duro del suo blocco sociale) è per l’appunto un riflesso della crisi del movimento operaio e della sua risposta di mobilitazione di fronte alla stessa.
IL PROGETTO REAZIONARIO DEL MOVIMENTO 5 STELLE
Il programma Casaleggio è un programma sociale e politico reazionario. Socialmente rivendica l’abbattimento del “peso parassitario” di 19 milioni di pensioni e di 4 milioni di pubblici dipendenti, per liberare le risorse necessarie per tagliare l’Irap ai padroni: con la proposta di un “reddito di cittadinanza” come parziale indennizzo compensativo della spoliazione del lavoro o della pensione. Politicamente punta alla conquista del potere politico in monopolio, con la soppressione di tutti i partiti, dei sindacati, dei cosiddetti corpi intermedi. La rivendicazione dell’abolizione del sindacato (“roba dell’800”) non ha niente a che vedere con la denuncia delle burocrazie, anche se naturalmente la usa: si tratta della ESPLICITA rivendicazione della trasformazione dei lavoratori in azionisti individuali del capitale d’impresa e per questa via della cancellazione della loro rappresentanza sindacale come strumento di rappresentanza collettiva. La giunta Pizzarotti che a Parma rifiuta di incontrare i sindacati dei lavoratori comunali, a partire dalla loro RSU, nel nome della relazione diretta con i singoli dipendenti (nel momento stesso in cui taglia il loro stipenio per pagare gli interessi alla banche) si colloca dentro questo progetto ideologico reazionario. Un progetto ideologico fondato sulla mitologia della Rete quale nuovo e unico universo delle relazioni umane, impegnata in una guerra contro il resto del mondo. Un progetto intriso di riferimenti ideologici irrazionali e apocalittici tipici delle culture reazionarie (“la terza guerra mondiale” dell’Occidente guidato dalla Rete contro l’Oriente..), ispirato da un guru megalomane e dalla sua setta.
Ciò non significa assimilare il M5S ad altri movimenti reazionari di massa, come il boulangismo francese di fine ‘800, né equipararlo a un movimento fascista o “semifascista”. Perché ad oggi è assente nel grillismo il fattore della violenza squadrista. E perché il movimento fascista come movimento di massa si manifesta normalmente come reazione speculare a una rivoluzione proletaria fallita o ad un’ascesa rivoluzionaria (il movimento squadrista dopo il fallimento del biennio rosso in Italia del 19/20; il movimento nazista dopo il ripetuto fallimento di tentativi e dinamiche rivoluzionarie nella Germania degli anni 20; Alba Dorata in Grecia o i movimenti salafiti in Egitto e Tunisia, dentro le convulsioni di una situazione prerivoluzionaria o dell’arretramento della prima ondata della rivoluzione..). Ma detto questo non vedere l’elemento ideologico totalitario nel movimento 5 Stelle, non coglierne la natura e pericolosità proprio nel cuore della crisi capitalista, della crisi politica borghese, della crisi del movimento operaio; e addirittura assimilare il suo humus culturale ai movimenti progressisti degli indignados spagnoli o dei “no global”, significa compiere un errore d’analisi molto profondo.
PICCOLA BORGHESIA E PROLETARIATO. FORCONI, PASTORI E 5 STELLE
Caratterizzare , M5S come “un movimento della piccola borghesia” che ha trascinato con sé “anche settori considerevoli del proletariato”, con qualche approssimazione, è fondamentalmente corretto e il il fatto che “considerevoli settori del proletariato” si muovano a rimorchio della “piccola borghesia” riflette esattamente la crisi dell’opposizione sociale proletaria.Un proletariato che sale nei livelli di mobilitazione tende a trascinare con sé e attorno a sé importanti settori della piccola borghesia, in particolare i loro strati inferiori. All’opposto, un proletariato che stagna o indietreggia, dentro la crisi capitalista, è espostopiù facilmente al richiamo di egemonie piccolo borghesi. Di più: apre alla piccola borghesia più ampi spazi di manovra nella lotta di classe, magari in contraddizione con la borghesia, ma per lo più contro i lavoratori.
Sia coi Forconi, sia col movimento dei pastori sardi, strati superiori delle classi medie hanno organizzato attorno a sé settori inferiori della piccola borghesia ed anche (specie in Sicilia) settori popolari proletari e semiproletari, sulla base dei propri interessi di classe e in contrapposizione agli interessi dei lavoratori (richiesta di privilegi fiscali e di cessioni liberiste per il grande trasporto in Sicilia, rivendicazione paracoloniale delle “zone franche” in Sardegna..). E vi sono riusciti esattamente grazie al quadro di passivizzazione sociale (Sicilia) o disperazione sociale (Sardegna) del grosso del movimento operaio, colpito dalla crisi, abbandonato alla propria solitudine (v. Sulcis), privato di un riferimento alternativo credibile. Cosa dimostra l’egemonia della piccola borghesia sul proletariato se non la crisi del movimento operaio? Esattamente questa dinamica illustra, su un piano diverso, le ragioni dello sfondamento elettorale del M5S nel mondo del lavoro e nella classe operaia industriale. 
In altri paesi capitalisti colpiti dalla crisi, l’ascesa della mobilitazione di massa della classe operaia ha trovato il proprio riflesso elettorale, distorto, nelle formazioni (riformiste) della sinistra politica.  L’ascesa della nuova socialdemocrazia di Syriza in Grecia, e il forte sviluppo che tutti i sondaggi attribuiscono alla formazione riformista di Izquierda Unida in Spagna, registrano lo spostamento a sinistra, nel vivo di enormi mobilitazioni contro l’austerità, di ampi settori proletari. Che ancora non approdano al marxismo rivoluzionario, ma si contrappongono ai partiti borghesi e cercano confusamente un’uscita a sinistra dalla crisi. L’ascesa elettorale della sinistra politica è il termometro della radicalizzazione sociale di un proletariato in lotta. Un’espressione contraddittoria dell’indipendenza di classe e di una aspirazione “anticapitalista”.  In Italia assistiamo a una dinamica profondamente diversa, e per molti aspetti opposta. La crisi profonda del movimento operaio e dei suoi livelli di mobilitazione, dentro la crisi autodistruttiva di una sinistra politica ”residuale”, ha dirottato la disperazione sociale di ampi settori operai verso un movimento piccolo borghese: non solo totalmente estraneo al movimento operaio, alle sue lotte, alle sue organizzazioni, ma guidato da una setta reazionaria su un programma reazionario. 
COSCIENZA SOCIALISTA E COSCIENZA DI CLASSE
Il successo del M5S tra i lavoratori riflette in particolare un lato importante della crisi del movimento operaio italiano: l’arretramento della sua coscienza politica sul terreno del riconoscimento delle proprie ragioni sociali indipendenti
Tutto questo significa dare per scontata la “vittoria della reazione” e “negare la possibilità della rivoluzione”? Niente affatto. La crisi capitalista internazionale, la crisi degli spazi riformisti, l’indebolimento delle basi di consenso dei partiti borghesi tradizionali e dei loro governi, lo stesso indebolimento profondo del peso e del ruolo dei vecchi apparati riformisti tra le masse, concorrono ad alimentare un altissimo grado di instabilità politica e sociale, in particolare in Europa. La crisi di rigetto delle politiche del Fiscal compact in tutta l’Europa capitalista ne è la misura. Tutto ciò favorirà ovunque tendenze alla polarizzazione sociale e politica, rompendo vecchi equilibri e vecchie forme della politica borghese. Il punto è che questa instabilità non avrà un segno univoco, ma sarà esposta a dinamiche opposte tra loro. Da un lato la crisi prerivoluzionaria in Grecia, e l’ascesa di massa in Spagna e Portogallo; dall’altro lo sviluppo di una massa critica di populismo reazionario senza precedenti nel dopoguerra, misurano la polarità delle dinamiche in atto in Europa. Che naturalmente conoscono e conosceranno infinite gradazioni intermedie e particolarità nazionali, ma dentro un comune approfondimento della crisi politica e sociale europea.
“RIVOLUZIONE O REAZIONE”: questo bivio storico tra tendenze speculari, passerà prevedibilmente per una lunga stagione di “brusche svolte”, di rapidi capovolgimenti della lotta di classe e degli scenari politici.
LA POSSIBILITA’ DI BRUSCHE SVOLTE IN ITALIA
Lo scenario italiano non sfugge a queste considerazioni generali. Proprio la profondità della crisi sociale, politica, istituzionale, del capitalismo italiano ha generato una instabilità straordinaria “di sistema”, esposta a dinamiche e soluzioni opposte: o lo sviluppo e l’affermazione di una svolta reazionaria, quali che siano le sue forme e i suoi canali; o un esplosione sociale radicale che scompagini dal basso l’intero scenario politico in direzione di una prospettiva anticapitalista. Svolta reazionaria e crisi rivoluzionaria sono due possibilità interne alla crisi italiana. Riconoscere che la dinamica della lotta di classe in Italia negli anni della crisi non è stata quella della Grecia o della Spagna; riconoscere i fenomeni reazionari che si vanno sviluppando, o l’involuzione della coscienza operaia, non significa affatto negare lo spazio e la possibilità di esplosioni sociali radicali e concentrate, anche di tipo rivoluzionario. Al contrario la l crisi politica della borghesia italiana è senza precedenti nel dopoguerra e senza eguali in Europa. L’Italia è l’unico paese imperialista in Europa e nel mondo a non disporre oggi di un quadro certo di governabilità politica e istituzionale. E ciò in presenza di una crisi capitalistica che è uno degli epicentri della crisi capitalistica europea. Le classi dominanti non hanno spazi di concessione riformista o redistributiva alle classi subalterne. Il loro spazio di manovra è abbattuto drasticamente dalla profondità di una crisi economica prolungata e dal peso gigantesco dell’indebitamento pubblico. Mentre gli strumenti tradizionali di controllo burocratico delle masse salariate sono più deboli che in altre stagioni storiche: sia in riferimento al ruolo del PCI e del suo controllo preponderante sulla classe nella stagione della 1° Repubblica, sia in rapporto alla mutazione o alla crisi verticale delle sinistre riformiste (già di per sé infinitamente più deboli) nella fase della 2° Repubblica. Il fatto che il peso del controllo politico sulle masse oggi ricada sulla burocrazia sindacale della CGIL è indicativo della crisi della sinistra politica riformista. E la crisi politica della sinistra italiana, che pur riflette l’arretramento della classe lavoratrice cui essa stessa ha concorso, è anche a suo modo un problema della borghesia: è la crisi di uno strumento utile di controllo e disciplinamento di possibili dinamiche sociali. Infine, lo stesso populismo, che pur si nutre della crisi del movimento operaio, non dispone ad oggi di una presenza organizzata nella classe. Perché non organizza i settori proletari da cui prende voti: il grillismo…non è il peronismo.
IN CONCLUSIONE
Il PCL è nato e ha sviluppato il suo lavoro rivoluzionario in un contesto non favorevole della lotta di classe, per di più segnato dall’arretramento della coscienza politica della classe operaia e dalle sedimentazioni negative, in essa, del disastro prodotto dalle sinistre politiche e dai loro tradimenti. Tempi e difficoltà del nostro sviluppo sono inseparabili da questo contesto. Al tempo stesso il contesto generale, politico e sociale, oggi prevalentemente negativo e molto instabile é segnato da numerose contraddizioni e può conoscere svolte. E’ nostro compito preparare le migliori condizioni soggettive per poter capitalizzare la svolta che verrà, quando verrà, sviluppando la comprensione e l’uso della politica rivoluzionaria nella sua complessità. Unire l’audacia dell’azione, in ogni possibile occasione di radicalizzazione reale – su scala locale e nazionale – con la costanza metodica della nostra propaganda e sempre tenedo conto dello stato della coscienza delle masse.
“Compito dei comunisti non è di predire tutte le mattine crisi, rivoluzioni e guerre, bensì di preparare le masse alle guerre e alle rivoluzioni.L’arte della direzione rivoluzionaria è innanzitutto l’arte di un corretto orientamento politico. In ogni circostanza il comunismo prepara l’avanguardia del proletariato e, tramite questa, l’intera classe operaia alla conquista rivoluzionaria del potere……….” ( Lev Trotsky )
Partito Comunista dei Lavoratori

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