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Opposizione comunista nelle fabbriche di Luglio

MARCEGAGLIA in lotta: Scaduto ad Aprile 2010 e prorogato con un accordo ponte fino a dicembre 2010; questa è la situazione del contratto aziendale della Marcegaglia di Forlì.

L’azienda in questo ultimo anno e mezzo ha cambiato pelle rispetto alla linea tradizionale dei decenni precedenti, che aveva visto chiudere contratti aziendali con aumenti fissi e poche ore di sciopero. Oggi, forte dell’esempio del modello Marchionne, anch’essa punta alla riduzione del salario e dei diritti dei lavoratori. Il pessimo accordo sul salario d’ingresso firmato dalle RSU degli stabilimenti di Ravenna e Casalmaggiore, per cui ogni nuovo assunto dovrà “sudare” per oltre sei anni per avere una paga pari agli altri è la dimostrazione che, d’ora in avanti, anche in Marcegaglia l’azienda adotterà una strategia di ‘balcanizzazione’salariale delle maestranze, lucrando sulle differenze salariali. Nella trattativa contrattuale di Forlì, la direzione di stabilimento, era partita proponendo un premio sulla produttività interamente variabile, e un altro sulla presenza vera e propria in fabbrica, considerando assenteismo anche infortuni, legge 104,donazione Avis,ecc. In pratica tutto fuorché le Ferie , per i padroni, doveva considerarsi assenteismo. Solo dopo gli scioperi di Maggio l’azienda ha abbandonato questa posizione, ma proponendo comunque un elemento premiante sulla presenza basata sul conteggio di 2 malattie brevi (da 1 a 5 giorni ) nell’arco dell’anno e premi di obbiettivo (eccetto il primo anno) di 600,650,700,800 euro nei 4 anni successivi, più il consolidamento di 40 euro in busta paga al termine del contratto a incidere su tutti gli istituti.

Ma, al di là dei numeri, l’intento dell’azienda è chiaro: legare il salario alla presenza e alla produttività, separatamente in ogni stabilimento e verso la demolizione del contratto nazionale di lavoro. Dividendo la classe operaia i padroni potranno fare ciò che vogliono. E’ per questo che il Contratto Nazionale può essere difeso solo con una lotta unificante in tutto il gruppo Marcegaglia, capace anche di collegarsi a livello nazionale con altre aziende in simili situazioni. Non si tratta più di un semplice contratto ma di uno storico scontro fra lavoratori e padroni il cui esito cambierà la vita a milioni di lavoratori; è necessario essere coscienti di questo.
Ci vuole un vero coordinamento di lotta dei delegati del gruppo Marcegaglia( quello esistente è come se non ci fosse) come unico strumento per respingere l’attacco padronale e chiudere positivamente tutti i contratti del gruppo.Che la crisi la paghino lor’ signori: banchieri e padroni.

RINTAL: un caso esemplare di arroganza padronale.
Lungimiranti padroni ed instancabili politicanti si adoperano per instillare nella mente dei lavoratori che,in momenti di crisi come questo, “tirare la cinghia” è obbligatorio per tutti. La litania è sempre la stessa: decisioni dolorose, “seppur difficili e sofferte”, sono necessarie per salvare la barca dall’affondamento. La verità è ben altra! loro vogliono mantenere intatti i profitti e, per farlo, devono abbassare il costo del lavoro: cioè tagliare i salari.

Un caso esemplare di arroganza e ipocrisia padronale, è fornito dalla Rintal, azienda forlivese produttrice di scale di lusso.
I primi ad essere licenziati, sono stati gli interinali, poi ai lavoratori sono state imposte le ferie (un’ora al giorno). Infine si è giunti al presente: cassa integrazione e incertezza verso il futuro con l’annuncio di 20 esuberi su un totale di 100 dipendenti. Questo mentre l’azienda progetta la costruzione di un nuovo magnifico capannone di 5700 mq che verrà adibito alla produzione e allo stoccaggio dei materiali come supporto agli investimenti che l’azienda sta facendo in Italia e all’estero. In sostanza, i lavoratori della Rintal con la loro cassa integrazione stanno pagando il capannone nuovo al padrone e rischiano pure il posto di lavoro. Purtroppo la Rintal non ha una storia sindacale e i lavoratori sono divisi di fronte all’attacco padronale. Ma c’è di peggio: magicamente, i sindacati, appena annunciati i 20 esuberi, si sono presentati ai dipendenti come loro difensori e: dopo varie assemblee, una quindicina di tesserati e tante, troppe parole, la conclusione è stata questa:
Nessuna azione di lotta in difesa del posto di lavoro. Niente di niente!….. Bei sindacati !
Lavoratori ! E’ necessaria subito una presa di coscienza netta e senza tentennamenti: solo uniti si può impedire che un quinto dei lavoratori della Rintal perda il posto di lavoro. Soltanto sviluppando una forza uguale e contraria a quella padronale si può sperare di vincerne la prepotenza. Ce ne sono le condizioni: l’azienda non attraversa una crisi strutturale ma vuole approfittare della crisi capitalistica per modernizzarsi sulla pelle dei propri dipendenti, operai o impiegati che siano.
Ci vuole lo sciopero : Nessuno deve essere licenziato !
Il lavoro, che c’è, deve essere redistribuito ! (anche con la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario).

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2 risposte

  1. Anonimo ha detto:

    grazie.

  2. Anonimo ha detto:

    Dire che sia un quinto il numero di esuberi credo suoni male. Io direi il venti per cento della forza lavoro. Si dovrebbe poi fare una comparazione con la media percentuale dei licenzimenti, Credo che il 20 per cento su cento lavoratori sia assolutamenteinaccettabile, fermo restando che sono inacettabili licenziamenti in genere, tantopiù in una ditta in espansione. Alla faccia e a scapito totale dei lavoratori, cassa integrazione compreso. Certi padroni bisognerebbe bruciarli vivi, incatramarli ed appenderli ai pali della luce come esempio. Non credete?

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