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Riflessioni sulla Tunisia

Articolo di Ahmed Daoud Sono nato nel 1987, in Tunisia; avevo qualche mese quando Ben Ali prese il potere, ora ho 23 anni. E fino a pochissimo tempo fa lui era ancora lì, al suo posto. Al suo posto nella storia “democratica” di una Tunisia che ha conosciuto solo due presidenti, due padri-padroni: Ben Ali appunto e, prima di lui, per 30 anni, Habib Bourghiba. Una Repubblica, che si definisce democratica, e che nella sua storia ha avuto solo due presidenti, fa capire il livello reale ed effettivo di democrazia e di libertà presenti.

Il regime di Ben Ali, è stato uno dei più repressivi, violenti, dittatoriali e totalitari degli ultimi decenni; in Tunisia non c’era libertà di stampa, libertà d’opinione, gli oppositori politici venivano arrestati, torturati, intimiditi e/o uccisi. I partiti d’opposizione riconosciuti e legali, facevano una finta opposizione, anzi legittimavano il regime di Ben Ali. Inoltre, il regime si distingueva per uno dei più alti livelli di clientelismo, corruzione e malaffare. Le elezioni erano una farsa, una sorta di plebiscito: nel 1989 Ben Ali ottenne il 99,3%, nel 1994 il 99,9%, nel 1999 il 99,5%, nel 2004 il 94,5% e nel 2009 l’89,62%.

Per non parlare della condizione sociale della popolazione tunisina; la disoccupazione tocca il tasso del 28%, nonostante i dati ufficiali parlino del 14%; il 75% dei disoccupati sono giovani sotto i 30 anni. Nelle zone interne, la povertà e la miseria erano e restano altissime. Il governo ha investito nelle aree costiere e turistiche e nella capitale, ma ha trascurato fortemente le zone rurali del centro e del meridione del paese. Tutto ciò, fa capire come mai, le proteste di metà dicembre partirono proprio dalle zone interne per poi irradiarsi solo in un secondo momento, nelle zone urbane e sviluppate.

Il 26enne, Mohamed Bouazizi giovane laureato senza lavoro, cerca di sopravvivere facendo il venditore ambulante di frutta e verdure; ma la polizia gli sequestra il carico: il ragazzo sente di non potercela fare più: compra una tanica di benzina e si dà fuoco. Da lì cominceranno una serie di proteste che porteranno alla fuga del despota Ben Ali. E’ evidente che il gesto di Bouazizi, è stata la scintilla, la goccia che ha fatto traboccare un vaso pieno di malcontento, disperazione, miseria, fame e richiesta di libertà e democrazia.

Un altro tema molto importante, ma poco sottolineato dai mezzi di comunicazione, è la condizione di sfruttamento alla quale sono sottoposti i lavoratori tunisini, ad opera soprattutto di aziende straniere (per lo più italiane, francesi e tedesche). In Tunisia, non esiste una legislazione e una cultura dei diritti dei lavoratori. Essi vengono assunti a basso costo, molte volte anche in nero e senza nessuna tutela lavorativa. E’ normale infatti, che i primi ad essere preoccupati dalle possibili conseguenze delle proteste, sono proprio le aziende straniere che in Tunisia sono molto influenti in termini di investimenti di capitali.

E’ interessante notare come le proteste siano partite da rivendicazioni sociali ed economiche, cioè la richiesta di diminuzione dei prezzi dei beni alimentari, l’aumento dei salari, la richiesta di un lavoro; e come esse abbiano preso successivamente una connotazione politica, cioè richiesta di libertà, di democrazia e soprattutto la cacciata di Ben Ali e del suo regime.

E’ evidente inoltre, che se Ben Ali è fuggito il sistema dittatoriale,corrotto, clientelare e mafioso da lui “ristrutturato” (dopo la precedente dittatura di Bourghiba) è ancora al suo posto. Perciò, urge ancora di più una seconda fase, ed una nuova ondata che spazzi via questo sistema e che consenta veramente ai lavoratori, agli studenti, insomma alle classi disagiate e sfruttate di essere protagonisti del proprio destino. Tutto ciò potrà avvenire solo in una chiave internazionale, in cui le rivendicazioni della democrazia, della libertà si uniscano a quelle sociali ed economiche, di tutti i lavoratori sfruttati. Questo lo dico, soprattutto alla faccia di chi dice che le rivoluzioni sono un’utopia, che le rivolte non portano a nulla, ecc. Invece, la Tunisia dimostra che solo con le lotte, con i conflitti sociali, con la lotta di classe, che le classi dominate riescono a liberarsi da chi li soggioga da sempre.

Inoltre, bisogna fare soprattutto un appunto, sul ruolo delle potenze europee e mondiali. L’Italia, la Francia, gli Stati Uniti hanno sostenuto Ben Ali, e sostengono tutte le peggiori dittature africane e mondiali. Gli interessi economici, geopolitici sono superiori a qualsiasi diritto e a qualsiasi democrazia e libertà. Fulvio Martini capo del Sismi nel 1987, ha affermato che il colpo di Stato di Ben Ali, è stato appoggiato, sostenuto e diretto anche dal governo italiano, insieme a quello algerino.

Tra la fine degli anni ’70 e la metà degli anni ’80, in Tunisia, c’era stata una grave crisi economica e sociale, con molte proteste nel paese; il timore era quello che gli islamici prendessero il potere in una situazione di caos e di instabilità, data ormai la vecchiaia e l’incapacità del Presidente Bourghiba. Allora, fu individuato Ben Ali come la persona giusta per ridare stabilità ed equilibrio. Stabilità e ed equilibrio che in termini imperialistici vuol dire salvaguardare gli interessi economici in quell’area. Dovete sapere infatti, che per la Tunisia passava un importante gasdotto, e se il potere fosse andato in mano agli islamici sarebbe stata dura per gli occidentali mantenere il controllo e i profitti della zona. Inoltre, un mese dopo la salita al potere di Ben Ali, il socialista Franco Reviglio Presidente dell’Eni, accompagnato da Bettino Craxi, si recava in Tunisia per concludere un importante accordo industriale. I governi italiani, hanno sempre appoggiato Ben Ali, sia quelli di centro destra che quelli di centro sinistra. Ricordo ancora oggi, i baci e gli abbracci che Prodi si scambiava con il dittatore tunisino. Per non parlare, di Stefania Craxi, del ministro Frattini, di Berlusconi, tutti craxiani convinti, e tutti fervidi sostenitori del regime di Ben Ali.

Ciò che di più colpisce, è la sfacciata ipocrisia con la quale questi governi dopo aver sostenuto e legittimato Ben Ali, si distaccano dal regime e si autoproclamano sostenitori del popolo tunisino e della loro lotta per la democrazia e per la libertà. Ma dove erano loro, fino al giorno prima? Dove erano quando la polizia di Ben Ali torturava, massacrava e arrestava gli oppositori politici? Dove erano quando il clan Ben Ali/Trabelsi depredava le intere risorse del paese? Dove erano quando la corruzione e il clientelismo in Tunisia, toccavano livelli abnormi?

E poi c’è (come mi piace chiamarlo in un modo un po’ particolare) il teorema Frattini: la prima cosa che si è preoccupato di dire il Ministro degli Esteri , quando ci sono state le rivolte e le proteste – nel paese nordafricano – è che esse non si tramutassero in un’ascesa del fondamentalismo islamico. Mi ricorda tanto l’atteggiamento degli Stati Uniti e di molte personalità mondiali, che pur di evitare il rischio “comunista”, erano disposti a difendere le peggiori e criminali dittature fasciste.

Concludo con un appunto sulla mia esperienza personale: io sono stato ostacolato dal governo tunisino nella mia richiesta di cittadinanza italiana, per le mie idee contrarie al regime. Sorrido al fatto che non ora, ma nel 2005 parlavo della necessità di una presa di coscienza, della necessità di lottare e di protestare contro questo regime. I miei connazionali mi dicevano che per me era facile parlare:”tu abiti in Italia, tu hai la libertà, qui invece è tutto diverso”. Avevano ragione, ma cercavo di fargli capire che se non si fossero ribellati, le cose non sarebbero mai cambiate, sarebbero rimasti sempre dei sudditi. Per fortuna, qualcuno di quelli che mi guardava come un pazzo e che mi criticava, ultimamente mi ha detto che è sceso in piazza e che si è reso conto della necessità di fare qualcosa. Fortunatamente, le cose cambiano

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