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Al fianco del proletariato egiziano


Il sottoproletariato, questa putrefazione passiva degli infimi strati della società, che in seguito a una rivoluzione proletaria viene scagliato qua e là nel movimento, sarà più disposto, date tutte le sue condizioni di vita, a lasciarsi comprare per mene reazionarie.”

Marx, Karl (1818-1883)
Manifesto del partito comunista: I, Borghesi e proletari


Il sottoproletariato è sceso oggi in piazza Tahrir, non per protestare né per rivendicare: è sceso perché pagato dal regime di Mubarak per massacrare i manifestanti.

Quella che era stata presentata come una manifestazione pro Mubarak indetta per oggi, non distante da Piazza Tahrir; si è rivelata da subito una vera e propria marmaglia al soldo del regime. È tutto il giorno che vanno avanti scontri tra le diverse fazioni, e i manifestanti in difesa di Mubarak appaiono molto ben organizzati, impedendo pure l’accesso delle ambulanze nella piazza. La piazza urla che ci sono anche molti, moltissimi poliziotti in borghese e uomini di stato a rendere più corposo il corteo. Sono arrivati armati di spranghe e coltelli, sono arrivati a cavallo e in cammello, caricando i manifestanti a bastonate e pare anche con armi automatiche. Anche le molotov sono tante: alcune hanno centrato anche il Museo egizio che si trova proprio in un lato della piazza, mentre brucia completamente l’ex sede del ministero degli Esteri, storico edificio della città.
Le proteste non cessano, in migliaia stanno manifestando nonostante i divieti, non rispettando il coprifuoco esteso dalle 16.00 alle 8.00, erigendo barricate, chiedendo con forza la fine di Mubarak. L’esercito sta osservando, per ora non fa un solo passo (in qualche sito si parla di “fraternizzazione fra esercito e manifestanti”, di soldati dispiegati nel centro della città che permettono di non rispettare il divieto fraternizzando con la piazza e in alcuni casi scandendo i medesimi slogan, si parla di alcuni ufficiali, che hanno dichiarato che l’unico modo per fermare le proteste sono le dimissioni del presidente). La polizia sicuramente verrà nuovamente dispiegata, questa volta con la licenza di sparare.
L’ultimo bilancio parla di 13 morti e 1500 feriti nella piazza che porta il nome della Libertà. I giornalisti occidentali oggi sono stati attaccati da questa nuova comparsa delle strade egiziane: i manifestanti in difesa della dittatura. E’ stato riconosciuto e picchiato Anderson Cooper, inviato di punta Cnn, con la sua troupe; così come un giornalista dell’Ansa. Una troupe canadese è stata salvata dall’esercito poco prima di un vero e proprio linciaggio. La colpa sarebbe quella di raccontare al mondo la rivolta egiziana, di mostrare immagini false e di non rispettare “quel brav’uomo” di Mubarak.
Nessuna notizia ancora di Wael Ghonim, blogger egiziano e membro dello staff di Google per il Medioriente. E’ stato una grande fonte di notizie in diretta nei primi giorni della rivolta e dal 27 dicembre non si hanno sue notizie; poco prima di un ultimo “tweet” preoccupato per gli eventi della giornata ha scritto: “Un governo che ha paura di Facebook e di Twitter dovrebbe governare una città in Farmville, non un Paese come l’Egitto.”…. poi il silenzio
Una ragazza che da anni vive al Cairo ha inviato un messaggio drammatico con preghiera di diffusione.
Stiamo cercando di metter in contatto gli attivisti con la stampa italiana e straniera. In piazza Tahrir stanno facendo strage di manifestanti, Mubarak ha pagato la povera gente (donne, uomini e bambini) per appoggiarlo , 500 lire ai cairoti e 200 a chi arriva dalle campagne. Chi sta massacrando la gente in piazza in realtà non sono manifestanti filo-governativi (come scrive Repubblica), sono poliziotti in borghese e mercenari che lanciano molotov e pietre, noi da qui sentiamo anche spari. I feriti sono più di mille e tanti morti, in piazza ci sono ancora famiglie. Anche sotto casa continuano a passare ragazzini che urlano slogan pro Mubarak, pagati.
ps: noi penso che andremo via, tra le altre cose ci sono anche propagande negative anche nei confronti degli stranieri

Dopo la Tunisia l’Egitto, il paese che insieme a Israele e Arabia Saudita forma una sorta di triangolo che dovrebbe avere la funzione di garantire il controllo dell’imperialismo in tutto il Medio Oriente. E in questi stessi giorni, in altri paesi del Maghreb, migliaia di manifestanti scendono in piazza contro i loro governi, accusandoli di corruzione e di immobilismo. Tutto questo mentre la crisi tunisina avanza e in Libano le forze anti-imperialiste stanno assumendo un ruolo egemone dentro il paese.
Così è stato in Algeria, in Giordania e nello Yemen. A Sanaa, infatti, migliaia di persone sono scese in piazza per richiedere con forza le dimissioni dell’attuale presidente Ali Abdullah Saleh, nonostante quest’ultimo abbia accolto quasi tutte le istanze presentate dall’opposizione ed abbia assicurato che non si sarebbe ricandidato alle prossime elezioni previste nel 2013. “Vogliamo le riforme, le riforme politiche e ci deve essere onestà. Chiediamo stabilità e libertà”, urlano i manifestanti, decisi non lasciare le barricate fin quando il leader del regime non si sarà dimesso.
Gli elementi che contraddistinguono queste mobilitazioni e rivolte sono correlati tra loro:
– Gli effetti della crisi economica: la battaglia per il pane e il lavoro. Questi governi sono stati dei fedeli servitori degli interessi economici dei paesi occidentali, che li hanno usati negli ultimi anni contro la minaccia del “terrorismo” islamico, in cambio di crediti, che supplivano alle incapacità produttive locali. La crisi che ha investito gli USA e la UE ha di fatto limitato questo trasferimento di denaro, portando alla luce tutte le contraddizioni economiche di questi Stati.
– La lotta contro il colonialismo, nel caso della Tunisia o della Giordania o contro il neo-colonialismo nel caso dell’Egitto e dell’Algeria. Questi Stati o non si sono mai affrancati politicamente dalle potenze occidentali, come nel caso dei primi due, o sono rapidamente ritornati dentro la loro orbita, abbandonando il pan-arabismo antimperialista che aveva segnato, al di la delle contraddizioni anche nel passato, la loro posizione nettamente anti-colonialiste.
– La lotta per l’indipendenza politica. Questi governi hanno soffocato le opposizioni, negando di fatto agibilità politica e sociale agli strati popolari.
È evidente che tutto sta cambiando e la velocità con cui si susseguono i nuovi eventi ci dice che le novità non sono finite. E l’Occidente osserva stupito. Tutto l’Occidente, compresa la cosiddetta sinistra ,che a da troppo tempo ha dimenticato di cosa può essere capace e che forza è in grado di sprigionare un popolo in lotta. La rinascita del movimento sindacale nei paesi arabi, cosi come il protagonismo della sinistra e dei comunisti stanno spiazzando la sonnolente massa proletaria occidentale, da decenni ormai abituata a chinare il capo e mettersi a novanta gradi per un effimero benessere, che di fatto non è mai esistito.
In tutte le manifestazioni, dallo Yemen alla Tunisia, sono ben visibili i simboli comunisti e i ritratti del Che. È ancora presto per parlare di una saldature tra le manifestazioni di protesta e le diverse organizzazioni politiche e sindacali di sinistra, tuttavia si può cogliere il ruolo dinamico e non minoritario esse che anno avuto in questo frangente.
Quello che sta succedendo nel mondo svela con chiarezza che il capitalismo non ha nulla da offrire alla stragrande maggioranza dell’umanità se non miseria, disoccupazione, fame e guerre.
Ma il bisogno di pane, pace e lavoro, che sta gridando dalla Grecia all’Albania, alla Tunisia all’Egitto, che si sta allargando nel mondo, se può sollevare una rivolta, non basta a fare la rivoluzione e la rivoluzione stessa, qualora riuscisse comunque ad innescarsi, non porterebbe a nulla senza la costruzione di un partito comunista rivoluzionario e ciò deve avvenire il prima possibile affinché la rivolta non cada nelle mani della reazione.
Non basta infatti cacciare il dittatore. Nonostante l’alleanza con i governi in carica gli Stati Uniti hanno finanziato a più riprese il movimento di opposizione democratica nel Maghreb. Un cablogramma dell’ambasciata Usa a Il Cairo rivela che “Pur appoggiando il governo alleato del presidente Mubarak, gli Usa sostengono dal 2008 un cambio di regime in senso democratico”. È chiaro che diventa fondamentale per il movimento in piazza riuscire ad emanciparsi, oltre che dal governo fantoccio, anche da chi lo finanzia.
Solo la cacciata di tutti i governi dell’imperialismo, dichiarati o mascherati che siano, da Nord a Sud, da Oriente a Occidente e la creazione di un vero governo del proletariato, che espropri senza indennizzo sia le banche, sia le industrie dei capitalisti autoctoni e stranieri, sia gli enormi latifondi che costringono alla fame milioni di persone può dare risposta alle richieste popolari.

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