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If the kids are united…

“Senza un’organizzazione dirigente,
l’energia delle masse si volatilizzerebbe,
come il vapore non racchiuso in un cilindro a pistone.
Eppure il movimento dipende dal vapore e non dal
cilindro o dal pistone”.

Lev Trotsky

Sui quotidiani nazionali di rado si leggono interventi e analisi ragionate e interessanti.
Di solito ci si imbatte in ciarlatani, pennivendoli e moralizzatori, di una morale che si vorrebbe al di sopra delle classi.
Ci si imbatte in ciarlatani in cerca di scoop e in pennivendoli che ci narrano attraverso la metafisica una visione ultra-conformista della realtà.
E’ il caso non ultimo di Saviano che abbiamo già ampiamente confutato nell’articolo di Maddalena Robin (M.R).
C’è persino di peggio, come chi si affida a dio e alle madonne per descrivere un’epoca decadente… Insomma una serie insulsa di posizioni con le quali non vale nemmeno la pena di confrontarsi.

In questo scenario in cui la costante è il cervello all’ammasso, c’è anche (per fortuna) chi si sottrae e seppur difende posizioni che non convincono completamente, merita di essere menzionato, è Marco Belpoliti che su La Stampa del 16 dicembre avanza l’ipotesi che: con il crollo delle ideologie le battaglie politiche lasciano il posto al trionfo della rabbia. Individua nel 2005 l’anno della svolta, e più precisamente nell’esplosione delle proteste delle banlieue parigine, che avrebbero aperto nel cuore dell’Europa ad un continuum di rivolte che da Atene, Londra e in ultimo Roma avrebbero aperto ad nuovo paradigma.
Queste rivolte sarebbero infatti all’insegna dell’assenza di una prospettiva, a discapito quindi di un progetto rivoluzionario che si proietta nel tempo.

Belpoliti scrive: la rivolta non prevede, ma vive nel subitaneo; non presuppone nemmeno una classe sociale che prenderà il potere, ma solo individui atomizzati, che nel corso delle insurrezioni spontanee, non preparate e contagiose, diventano una forza provvisoria (…). Ed ancora: la rivolta accade, alla stregua di un evento artistico, di una manifestazione momentanea, di una performance (…) un accadimento estatico più vicino alle forme religiose, alla festa, che non alle strutture della rappresentazione politica. Dove scendere in piazza significherebbe in buona sostanza nel realizzare un’arte senza opera.
Quale sarebbe la molla di queste sollevazioni estatiche? Belpoliti intravede queste forme di ribellione nella crisi della democrazia rappresentativa.

La riflessione è sicuramente interessante, tuttavia sono diverse le questioni che non convincono a cominciare dal fatto che la questione sociale è praticamente espunta dalla disanima di Belpoliti.
Detto questo però Belpoliti ha il merito di centrare il punto: la rivolta se priva di progetto e se non ha la pretesa di proiettarsi nel tempo è semplicemente una jacquerie e proprio perchè non si proietta nel tempo è essenzialmente estetizzazione della politica. Non può, quindi, che collassare e rivevere senza in realtà trasformare l’esistente.

Nel 2005 il CRQI rispetto alle rivolte delle banlieu scrisse nella sua risoluzione internazionale:

<< (…) una enorme rivolta della gioventù marginalizzata, umiliata e oppressa dei quartieri periferici e dei ghetti delle grandi città, scuote la Francia e commuove l'Europa e il mondo. La morte di due giovani che cercavano di scappare a un controllo di polizia è stato il detonatore che ha fatto esplodere il risentimento sociale accumulato di una nuova generazione privata dal capitalismo di qualsiasi futuro. Questa esplosione sociale non si produce in una periferia dell’Africa o dell’America Latina ma nel cuore stesso dell’imperialismo francese e dell’Unione Europea. Dopo l’esibizione di povertà, disuguaglianza e miseria che ha avuto luogo a New Orleans, la rivolta della gioventù francese mette a nudo la realtà sociale ciò che si chiama il “primo mondo” e il volto di rapina della cosiddetta “globalizzazione”. Lo Stato imperialista francese e i suoi accoliti, che vedevano come piccoli incidenti le stragi di intere famiglie nei recenti incendi di pensioni miserabili nella periferia urbana, ricorrono adesso alla “tolleranza zero” e al coprifuoco. Per tutto il corso degli ultimi anni questo stesso Stato francese ha ridotto l’assistenza sociale ai quartieri popolari, col pretesto cinico della necessità di non superare i limiti previsti del deficit di bilancio.

La rivolta giovanile si estende ora al Belgio e alla Germania; il primo ministro in pectore, Romano Prodi, ha già segnalato che un’onda di ribellione popolare simile a quella francese potrebbe scoppiare, in ogni momento, in Italia. La ribellione generalizzata di un vasto settore di adolescenti francesi si produce nello stesso momento in cui la maggioranza degli Stati d’Europa, così come degli Stati Uniti, affrontano una crisi di regime politico e sono diretti dai governi più deboli dei due ultimi decenni. La sollevazione giovanile si sviluppa, così, in un quadro generale di crisi al contempo sociale e politica dei principali Stati imperialistici.

È del tutto naturale che la massa della gioventù insorta sia composta di discendenti di immigranti, africani o asiatici, “les noirs et les beurs”, demistificando completamente le pretese di integrazione della democrazia rappresentativa capitalistica. Questa massa riflette, come è naturale, l’odio della gioventù contro gli attacchi dell’imperialismo francese e mondiale contro le nazioni del Medio Oriente e dell’Africa del nord; conosce molto bene ciò che succede in Palestina o in Irak, così come il destino che lo spagnolo Zapatero ha riservato ai marocchini e ai senegalesi che pretendevano di entrare in Europa da Ceuta e Melilla. Non ignora il destino tragico degli albanesi o africani che attraversano il Mediterraneo per arrivare in Italia. La rivolta giovanile è un’espressione concentrata di tutto lo sfruttamento coloniale perpetrato dal sanguinario capitalismo europeo. Ma è un fatto, che la grande stampa non ha potuto nascondere, che a questa massa si sono uniti sin dall’inizio, e in seguito in maniera crescente, i giovani disoccupati di diretta discendenza europea.
Il governo francese ha risposto alla rivolta con la repressione, senza per questo rimuovere le sue profonde divergenze interne. Il presidente Chirac ha aspettato più di una settimana prima di apparire in pubblico, segno chiaro di difficoltà politica. Ma la repressione contro ciò che il ministro Sarkozy chiama la “canaglia” giovanile è servita unicamente ad approfondire la ribellione. Il Coordinamento per la Rifondazione della Quarta Internazionale riprende e fa sua l’espressione di un settimanale satirico francese e fa appello alla lotta per mettere fine alla “Chiracaille” [Chirac-canaille, cioè Chirac-canaglia, ndt], cioè a cacciare il governo di Chirac, Villepin e Sarkozy. Dopo la vittoria del “No” al recente referendum sulla costituzione europea, la rivolta della gioventù ricorda ai lavoratori francesi che questo governo imperialistico è una cosa del passato che si regge solamente per la complicità della sinistra istituzionale francese e della burocrazia sindacale. Nel momento in cui Marsiglia vive l’esperienza di uno sciopero dei trasporti e di una lotta dei portuali e dei marittimi che non si è ancora conclusa, la parola d’ordine dell’unità dei lavoratori e della gioventù per mettere fine alla “Chiracaille” acquisisce una grande attualità.
Le direzioni ufficiali della sinistra francese hanno formato un fronte comune col governo della “Chiracaille” contro ciò che chiamano la “violenza” della gioventù. Il Partito socialista e il Partito comunista hanno pubblicato dei comunicati che fanno appello a “mettere fine alla violenza” (“l’ordine deve essere ricostituito”, comunicato del PCF del 6 novembre). Lutte Ouvrière (LO) caratterizza la ribellione in massa della gioventù come “sterile” e “in un vicolo cieco” in conseguenza del riflusso della classe operaia. Come nell’aprile 2002, quando il regime politico francese si è trovato davanti alla possibilità di un collasso, a seguito del crollo elettorale del partito ufficiale e del Partito socialista, la sinistra serra di nuovo i ranghi in difesa della democrazia. Il Coordinamento per la Rifondazione della Quarta Internazionale (CRQI) richiama l’attenzione dei lavoratori d’avanguardia d’Europa su questa sequenza politica: dalla crisi di aprile 2002 fino alla ribellione attuale, passando per la vittoria del “No” al referendum recente, perché tutto ciò evidenzia la crisi del regime politico francese e la possibilità della caduta della “Chiracaille” che aprirebbe una prospettiva di potere.
La violenza dell’insurrezione della gioventù francese non ha, è vero, il carattere di una violenza rivoluzionaria contro lo Stato capitalista, né il livello di una lotta di classe del proletariato contro il capitale. È la violenza massiccia di una gioventù spinta dal capitalismo verso la sotto-proletarizzazione. E’ indirizzata contro le istituzioni dello Stato, come i commissariati, la polizia, e le municipalità, ma anche contro i beni di altri lavoratori e contro beni comuni. Ma il compito degli operai in lotta e coscienti non può ridursi a caratterizzare questa violenza come contraddittoria, a condannarla astrattamente. Il compito dei lavoratori che hanno una coscienza di classe deve essere di orientare questa rivolta verso una prospettiva rivoluzionaria, in primo luogo intervenendo loro stessi nella crisi con una posizione politica chiara e avanzando obiettivi precisi. Non si tratta di emettere un giudizio sulla gioventù ma di portarla, per mezzo dell’azione, ad una lotta efficace, cioè decisiva. Il CRQI chiama a difendere l’insurrezione dei giovani francesi espropriati, attraverso una mobilitazione e lo sciopero generale fino alle dimissioni dei responsabile della repressione, il ministro Sarkozy, e alla caduta della “Chiracaille”. Sosteniamo le iniziative parziali delle organizzazioni di base della sinistra e di una parte delle loro direzioni (la Lega Comunista Rivoluzionaria, LCR) per manifestare in difesa della gioventù e per le dimissioni di Sarkozy, con la parola d’ordine “Fuori la Chiracaille!”, sciopero generale, conseguimento delle rivendicazioni di tutta i lavoratori in lotta. Con questo orientamento facciamo appello a formare del comitati lavoratori e giovani in tutti i quartieri per promuovere lo sciopero generale. Il comitati lavoratori – giovani devono incaricarsi della difesa dei quartieri e della sicurezza della popolazione.
È chiaro che l’uscita dallo stato di miseria della gioventù non può che passare attraverso un’azione anticapitalista. E’ necessario assistere socialmente i quartieri emarginati; che i giovani abbiano un lavoro; porre fine alla disoccupazione di massa che colpisce tutte le fasce di età; un piano generale di misure anticapitalistiche è necessario: in primo luogo, bisogna porre fine a tutte le sovvenzioni al capitale e stabilire una tassazione straordinaria dei grandi profitti capitalistici e dei patrimoni, per attuare un programma di opere pubbliche sociali, sotto il controllo dei lavoratori, che permettano di dare lavoro all’insieme della popolazione attiva.
Da circa due anni (2003 n.d.r), il CRQI ha affermato che la crisi del capitale pone in Europa la questione del potere, cioè, del governo dei lavoratori. La sinistra nel suo insieme, non solo ha ignorato questa questione ma si è impegnata in diversi Paesi a formare dei governi di centrosinistra per salvare lo Stato dalle crisi di regime politico. Ciò vale per quelli che sostengono l'”Unione” in Italia o hanno sostenuto e prefigurano nuovamente un governo della “sinistra plurale” in Francia, come è il caso del Partito della Sinistra europea presieduto da Fausto Bertinotti (che riunisce tra gli altri il PCF, il Synapsismos della Grecia, la Linke della Germania), e -con oscillazioni- la LCR francese (oggi NPA n.d.R). La ribellione generale della gioventù espropriata di Francia mette a nudo i limiti insormontabili di questa prospettiva politica e la sua incapacità di offrire una soluzione alla miseria ed alla disperazione sociale delle masse europee nel loro insieme. Il CRQI fa appello, a partire dagli avvenimenti che si svolgono attualmente in Francia, per raggruppare la sinistra combattiva d’Europa e i settori organizzati dei lavoratori più coscienti in una forza politica rivoluzionaria che abbia come strategia la lotta per gli Stati Uniti Socialisti d’Europa (Russia inclusa)>>.
Sicuramente questa risoluzione del 2005 del CRQI vale anche per l’oggi e risponde in larga parte alle problematiche sollevate dall’articolo di Belpoliti, per questo è necessario all’interno dei movimenti di lotta una discussione aperta, per parte nostra possiamo dire senza mezzi termini che la rivolta non è sufficiente, serve la rivoluzione.

Lo spontaneismo non ci soddisfa, serve l’organizzazione.
La rabbia è levatrice, ma dev’essere organizzata.
Detto in altre parole lavoriamo per trasformare l’arte della rivolta in opera compiuta: cacciare tutti i governi del capitale e costruire la democrazia consiliare e il socialismo.
E se i ragazzi si sottrarranno dall’individualismo atomizzante ci saranno buone possibilità di riuscire in questo progetto.
Avanti, l’assalto al cielo ci attende!

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