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La metafisica della democrazia

Una critica serrata all’idealismo e al riformismo
Estratto di Terrorismo e Comunismo (Lev Trotsky)
Kautsky, sentendo che, nella questione della democrazia, gli viene a mancare sotto i piedi il terreno della storia, passa sul terreno della filosofia normativa. Invece di analizzare ciò che è, egli delibera ciò che dovrebbe essere.
I princìpi della democrazia – la sovranità del popolo, il suffragio universale e uguale per tutti, le libertà personali – appaiono, come ce li presenta lui, circondati da un alone di dovere morale. Essi vengono privati del loro significato storico e presentati come una cosa-in-sé, inalterabile e sacra. Questo scivolone metafisico nella grazia non è accidentale. E’ istruttivo che il vecchio Plechanov, nemico implacabile del kantismo durante il miglior periodo della sua attività, abbia tentato, alla fine della sua vita quando l’onda del patriottismo lo aveva travolto, di aggrapparsi all’imperativo categorico.
Kautsky confronta la reale democrazia, di cui il popolo tedesco sta attualmente facendo la conoscenza, con un tipo di democrazia ideale, così come confronterebbe un comune fenomeno con la cosa-in-sé. Kautsky non sa indicare con certezza un solo Paese in cui la democrazia sia realmente in grado di garantire un passaggio pacifico al socialismo. Ma egli sa con certezza che una tale democrazia deve esistere. L’attuale Assemblea Nazionale tedesca, questo organo di impotenza, di malizia reazionaria e di degenerati adescamenti, viene da Kautsky confrontata con una vera Assemblea Nazionale, che possiede tutte le virtù, tranne la piccola virtù di esistere.
La dottrina della democrazia formale non è il socialismo scientifico, ma la teoria del cosiddetto diritto naturale. L’essenza di quest’ultimo consiste nel riconoscimento di modelli eterni e immutabili di legge che, fra popoli differenti e in differenti periodi, trovano una espressione diversa più o meno limitata e distorta. Il diritto naturale della storia moderna, e cioè quale essa è emersa dal Medioevo, comprendeva innanzitutto una protesta contro i privilegi di casta, contro l’abuso di leggi dispotiche e contro gli altri prodotti “artificiali” della legge feudale positiva. I teorici dell’allora debole Terzo Stato esprimevano i loro interessi di classe in pochi modelli ideali, che più tardi si svilupparono nell’insegnamento della democrazia, acquistando nello stesso tempo un carattere individualista. L’individuo è assoluto; tutte le persone hanno il diritto di esprimere i loro pensieri in discorsi e scritti; ogni uomo deve godere di uguali diritti elettorali. La parola d’ordine della democrazia, come grido di battaglia contro il feudalesimo, ebbe un carattere progressista. Ma col passar del tempo, la metafisica della legge naturale (la teoria della democrazia formale) cominciò a mostrare i suoi lati reazionari – la definizione di un modello ideale per controllare le reali richieste delle masse lavoratrici e dei partiti rivoluzionari.
Se esaminiamo le varie concezioni del mondo, troveremo che la teoria della legge naturale non è altro che una parafrasi dello spiritualismo cristiano liberatosi dal suo rozzo misticismo.
I Vangeli proclamavano che lo schiavo aveva la stessa anima del padrone, e stabilivano così la eguaglianza di tutti gli uomini di fronte al tribunale celeste. In realtà lo schiavo rimaneva uno schiavo, e l’obbedienza diveniva per lui un dovere religioso. Nell’insegnamento del cristianesimo, lo schiavo trovò però un’espressione della propria primitiva protesta contro la condizione degradata cui era sottoposto. Ma a fianco a fianco con la protesta c’era anche la consolazione. Il cristianesimo gli diceva: “Nonostante tu assomigli a una bestia da soma, hai un’anima immortale”. Qui risuonava la nota di indignazione. Ma lo stesso cristianesimo diceva: “Anche se sei una bestia da soma, la tua anima immortale avrà in sorte una ricompensa eterna.” Qui è la voce della consolazione. Queste due note si ritrovano nella storia del cristianesimo in diverse proporzioni a seconda dei diversi periodi e delle diverse classi. Ma nel suo complesso, il cristianesimo, come ogni religione, divenne un metodo per addormentare la coscienza delle masse oppresse.
Il diritto naturale, che si sviluppò nella teoria della democrazia, diceva al lavoratore: “Tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge, indipendentemente dalla loro origine, dallo loro proprietà, e dalla loro condizione; ogni uomo ha un eguale diritto di decidere la sorte del popolo attraverso il suffragio”. Questo criterio ideale, come condanna dell’assolutismo, dei privilegi aristocratici e del censo, rivoluzionò la coscienza delle masse. Ma poi, col passare del tempo, addormentò la coscienza delle masse, legalizzando la povertà, la schiavitù e la degradazione: infatti, come ci si poteva rivoltare contro l’asservimento quando ogni uomo aveva un eguale diritto di determinare i destini della nazione?
Rothschild, che ha trasformato il sangue e le lacrime del mondo in napoleoni d’oro da intascare, ha nelle elezioni parlamentari un solo voto. Il minatore ignorante che non sa nemmeno firmare, che dorme tutta la vita senza togliersi gli abiti di dosso e che vaga nella società come una talpa sotterranea, svolge comunque la sua parte come depositario della sovranità della nazione e, di fronte ai tribunali e durante le elezioni, è uguale a Rothschild. Nelle reali condizioni storiche, nel processo economico, nelle relazioni sociali, nei loro modi di vita, gli uomini divengono sempre più ineguali; da una parte lusso sfrenato, dall’altra povertà e disperazione. Ma nella sfera della sovrastruttura giuridica dello Stato, queste stridenti contraddizioni scompaiono e vengono sostituite da incorporee ombre legali. Il proprietario terriero e l’operaio, il capitalista e il proletario, il ministro e il lustrascarpe: tutti sono uguali come “cittadini” e come “legislatori”. L’eguaglianza mistica del cristianesimo è scesa dai cieli nella forma dell’eguaglianza “naturale” e “legale” della democrazia. Ma non ha ancora raggiunto la terra, dove si trova il fondamento economico della società. Per il povero lavoratore a giornata, che rimane per tutta la sua vita una bestia da soma al servizio della borghesia, il diritto ideale di influenzare la sorte delle nazioni per mezzo delle elezioni parlamentari non è gran che più reale del palazzo che gli viene promesso nel regno dei cieli. Nell’interesse pratico dello sviluppo della classe operaia, il partito socialista, in un certo periodo, si pose sulla strada del parlamentarismo. Ma questo non significava minimamente che esso accettasse di principio la teoria metafisica della democrazia, basata su diritti extra-storici e indipendenti dalle classi. La dottrina proletaria considerava la democrazia come uno strumento della società borghese completamente adattato ai problemi e alle esigenze delle classi dirigenti; ma dal momento che la società borghese viveva del lavoro del proletariato, non poteva negargli la legalizzazione di una certa parte della sua lotta di classe senza distruggere se stessa: questo offrì al partito socialista la possibilità di utilizzare, in un certo periodo ed entro certi limiti, il meccanismo della democrazia, senza per questo prestare giuramento di farlo sempre, per principio immutabile.
Il problema di fondo del partito socialista, in ogni periodo della sua lotta, fu quello di creare le condizioni per una reale eguaglianza economica degli uomini come membri di una comunità umana fondata sulla solidarietà. E’ proprio per questa ragione che i teorici del proletariato videro nella metafisica della democrazia una maschera filosofica che copriva la mistificazione politica.
Il partito democratico, nel periodo del suo entusiasmo rivoluzionario, quando smascherava le menzogne dei dogmi della Chiesa, che inebetiscono e rendono schiavi, così predicava alle masse: “Si cerca di addormentarvi con promesse di eterne benedizioni alla fine della vita; ma qui voi non avete nessun diritto e siete completamente prigionieri delle catene della tirannia.”Il partito socialista, alcuni decenni più tardi, diceva alle stesse masse con lo stesso diritto: “Si cerca di addormentarvi con la finzione dell’eguaglianza civile e dei diritti politici, ma in realtà venite spogliati della possibilità di realizzare questi diritti. La condizionata e chimerica uguaglianza legale si è trasformata in ceppi con cui ciascuno di voi è legato al carro del capitalismo.”
In nome dei suoi obiettivi fondamentali, il partito socialista mobilitò le masse anche sul piano parlamentare; ma nessun partito si impegnò mai a condurre le masse al socialismo solo attraverso le porte della democrazia. Adattandoci al regime parlamentare, ci siamo limitati ad una confutazione teorica della democrazia, dato che eravamo ancora troppo deboli per rovesciarla praticamente. Ma la strada del socialismo, ben chiara nonostante tutte le deviazioni e tutti i tradimenti, non ha altro sbocco che questo: rovesciare la democrazia e rimpiazzarla con il governo del proletariato, quando esso sia pronto a realizzare questo obiettivo.
Porteremo una testimonianza, abbastanza forte. Il “parlamentarismo”, scriveva Paul Lafargue nella rivista russa So.Zialdemokrat, nel 1888, “è un sistema di governo in cui il popolo si illude di controllare gli affari del Paese, mentre, in realtà, il potere effettivo è concentrato nelle mani della borghesia, e nemmeno di tutta la borghesia, ma solo di certe sezioni di questa classe. Nel primo periodo della sua supremazia, la borghesia non capisce o, più correttamente, non sente la necessità di imporre al popolo l’illusione dell’autogoverno. Per questo tutti i Paesi parlamentari dell’Europa cominciarono con concedere un diritto di voto limitato. Ovunque, il diritto di influenzare la politica del Paese per mezzo delle elezioni e dei deputati, appartenne dapprima solo a strati più o meno vasti di proprietari, e solo gradualmente venne esteso ai cittadini meno importanti, finché, in alcuni Paesi, esso, da privilegio che era, divenne diritto universale di tutti quanti. Nella società borghese, quanto più la ricchezza sociale aumenta, tanto più diminuisce il numero di persone che ne godono. Lo stesso accade per il potere: con l’aumento della massa dei cittadini che posseggono diritti politici e con l’aumento del numero dei governanti eletti, il potere effettivo si concentra sempre di più e diviene monopolio di un gruppo sempre più piccolo di individui.” Questo è il segreto della maggioranza.
Agli occhi del marxista Lafargue, il parlamentarismo sopravvive finché la borghesia riesce a conservare la propria supremazia. “Quando il proletariato d’Europa e d’America”, scrive Lafargue “si impadronirà dello Stato, dovrà organizzare un governo rivoluzionario, e governare la società con una dittatura, finché la borghesia in quanto classe non sia scomparsa.”
Kautsky, ai suoi tempi, conosceva questo giudizio marxista sul parlamentarismo, e più di una volta lo ripeté egli stesso, anche se non con questa acutezza e lucidità francese. L’apostasia teorica di Kautsky consiste proprio in questo: col riconoscere il principio della democrazia come assoluto ed eterno, è ritornato dal materialismo dialettico al diritto naturale. Il parlamentarismo, che veniva spiegato dal marxismo come il governo provvisorio della borghesia e di cui era prospettata solo un’utilizzazione temporanea in vista della preparazione della rivoluzione proletaria, è stato da Kautsky nuovamente santificato come il principio supremo al di sopra delle classi, cui devono incondizionatamente subordinarsi i metodi della lotta proletaria. La degenerazione controrivoluzionaria del parlamentarismo trova la sua più perfetta espressione nella deificazione della democrazia da parte dei teorici decadenti della Seconda Internazionale.

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