Crollata in Etiopia la diga italiana inaugurata 20 giorni fa

A metà gennaio di quest’anno il ministro degli Esteri Franco Frattini ha fatto un tour politico-diplomatico in Africa. Tra le tappe che l’esponente del Governo ha toccato a spese dei cittadini italiani c’è stata anche la visita alla tomba di Craxi, ma il giorno 13 Frattini si è recato in Etiopia, dove assieme al primo ministro locale Meles Zenawi, ha inaugurato la più grande centrale idroelettrica del Corno d’Africa.
Nell’occasione Frattini ha inaugurato anche un tunnel (chiamato Gilgel Gibe II) di 26 km nel bacino del fiume Omo e che collega la diga Gilgel Gibe I con il fiume omonimo. A realizzare l’opera, volta alla produzione di energia elettrica per una vasta area del paese, è stato il colosso italiano Salini Costruzioni. Dal punto di vista diplomatico l’intervento avrebbe dovuto fornire l’assist per eventuali nuovi futuri accordi economici.
Per la costruzione dell’opera sono stati spesi 374 milioni di euro (di cui 220 milioni provengono dall’Italia, 104 dal governo etiope e 50 dalla Banca Europea per gli Investimenti). Una riedizione degli storici “successi” coloniali italiani.
E infatti due settimane dopo l’inaugurazione, il tunnel è collassato ed è ora praticamente inutilizzabile, a causa di un “imprevisto geologico”. Il suolo, “imprevedibilmente”, in quella zona è di costituzione sabbiosa e friabile e così il lavoro di perizia geologica e ambientale all’italiana ha portato a questo splendido successo diplomatico e commerciale.
Caterina Amicucci, della Crbm, spiega come il governo italiano sia andato avanti spedito, contravvenendo a tutte le norme nazionali ed internazionali sulla concorrenza e sulla trasparenza: il credito d’aiuto di 220 milioni di euro era stato infatti erogato a giochi fatti, quando cioè il contratto era già stato firmato tra la Salini Costruzioni ed il governo etiope, ed è il fondo più consistente rilasciato per un singolo progetto di sviluppo. Sviluppo che, tuttavia, non è mai arrivato.
Uno splendido viatico per l’Italia che, in barba al volere dei cittadini, del referendum degli anni ’80, di ogni minimo ragionamento di carattere economico ed ecologico ha deciso di imbarcarsi nel nucleare.
La costruzione della diga e poi del tunnel italiano ha causato 10mila sfollati e la promessa tradita di fornire luce, acqua, scuole e servizi che gli abitanti dell’area non hanno mai ottenuto nonostante gli accordi siglati. Il tutto ben incorniciato dalla distruzione della Valle dell’Omo, dichiarate dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
Ma chi paga ora per il fallimento dell’opera? il dubbio contratto stipulato con la Salini, infatti, esenta il colosso italiano dai rischi geologici, sicché è probabile che saranno i cittadini etiopi a dover pagare. Oltre al danno, la beffa, dunque. Per quanto la Cbrm si batta perché sia la Salini a pagare il conto, e non la popolazione locale.
E infine una conclusione in bellezza: nel luglio del 2006, infatti, il governo etiope ha conferito un contratto da 1.4 miliardi di euro per la costruzione di Gilgel Gibe III (una diga con un salto di 240 metri) sempre alla Salini Costruzioni, sempre senza una trattativa competitiva con altre società, e sempre senza i necessari accertamenti ambientali e tecnici. Sebbene il progetto violi la legge etiope, le norme internazionali per concorrenza e le politiche di salvaguardia ambientale del continente africano, la Banca Africana per lo Sviluppo e la Banca Mondiale sostengono apertamente il progetto.
Fonte Sconfini.eu – segnalato da www.pclabruzzo.org

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