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Electrolux: siamo oltre Charlie Chaplin!

Lettere: No a 91 pezzi ogni ora.
Noi operai e operaie dell’Electrolux diciamo che il sindacato ora sbaglia! Pensare di aumentare all’infinito la velocità delle catene di montaggio è proprio un grave errore! Sulle catene lavorano delle persone, non dei robot.
In pochi anni si è passati da una caduta di 60 pezzi ora, alla disponibilità di fare 91 pezzi ora come ipotesi sindacale (99 pezzi rimane la richiesta dell’azienda). Oltretutto dovendo recuperare le pause fisiologiche (pipì) aumenta ulteriormente il ritmo di lavoro. Una brutalità!
Per anni il sindacato ha sostento che per lavorare bene e meglio, è necessario ricomporre il contenuto del lavoro, sia per arricchire la mansione, sia per rendere meno alienante la prestazione. L’alienazione è fenomeno da tempo studiato che provoca problemi di salute.
Riteniamo che nulla sia più alienante di lavorare a cadenza di un pezzo ogni poche decine di secondi in catene di montaggio a ritmo vincolato, nei quali si è chiamati a fare svariate operazioni nella frazione di tempo. È evidente a qualunque persona con un minimo di buon senso, che più s’aumenta il ritmo della catena e maggiore è il rischio di riscontrare malattie professionali alle articolazioni e perdita di capacità lavorativa.
Gli operai e le operaie hanno quale loro unica fonte di reddito la forza lavoro che è loro concessa dalla propria salute. Dovrebbe essere imperativo per tutto il sindacato, nell’azione contrattuale, ritenere questo aspetto inviolabile. Un accordo che prevede l’aumento di pezzi da produrre nelle catene, aumentando la loro velocità, è un accordo che programma le condizioni di peggioramento di lavoro e di salute degli operai. Su questo punto c’è una dottrina medica del lavoro che conferma da tempo lo stretto legame tra aumento del ritmo delle catene e il peggioramento complessivo della condizione operaia. D’altronde basta guardare il film di Charlie Chaplin, “Tempi Moderni”, girato negli anni ‘30 (1936), per capire che già allora, con tanta ironia, ci si era resi conto di cosa fosse e quali problemi producesse, sulla popolazione, il lavoro vincolato delle catene di montaggio ad alti ritmi, quali quelli oggi già presenti a Porcia e nel gruppo Electrolux. Ciò che serve è una riduzione della velocità delle catene e dei ritmi di lavoro, oltre ad una diversa organizzazione del lavoro. Siamo persone non bestie.
Per queste ragioni riteniamo assolutamente sbagliato che il sindacato proponga su questo punto, come da richiesta dell’Electrolux, l’aumento ulteriore dei ritmi di lavoro nelle catene di montaggio dello stabilimento di Porcia. Inoltre c’è il rischio che tale peggioramento si estenda ad altri stabilimenti. Facciamo notare che non è con l’aumento dei pezzi che si risolvono le disfunzioni organizzative e i problemi di produttività. Lo prova l’esperienza di questi anni.
È nostra convinzione che le assemblee non debbano dare un mandato sull’aumento della velocità delle catene, mentre devono dar mandato al sindacato di non cedere su questi punti. Il sindacato deve battersi e lottare, con i lavoratori, per soluzioni alternative. È questo il nostro ruolo. In tutti i casi esprimiamo la nostra contrarietà a tale eventuale decisione.
09.05.09 Pordenone
Operai e operaie di: Electrolux Susegana (TV), Electrolux Forlì, e delegati
componenti Coordinamento Electrolux, aderenti a Lavoro Società – Cambiare Rotta
FIOM-CGIL


La posizione del Partito Comunista dei Lavoratori rispetto al lavoro nei sindacati:
…I comunisti rivoluzionari affrontano la questione sindacale, dall’angolazione del proprio progetto generale: la conquista delle masse alla prospettiva anticapitalista. Non si identificano in una collocazione sindacale, ma in un programma politico complessivo. E con questo metodo comune intervengono nelle diverse organizzazioni sindacali, in una logica di ricomposizione dell’avanguardia e di proiezione di massa. Rifiutando ogni adattamento al proprio specifico quadro sindacale di riferimento. Ed anzi subordinando le proprie scelte sindacali al comune progetto politico.

Nella CGIL è essenziale una battaglia frontale contro la burocrazia sindacale, quale agenzia della borghesia tra i lavoratori: fuori da ogni illusione di poter “spostare a sinistra” il baricentro della Confederazione; fuori da ogni illusione di una sua riforma democratica e di classe, corrotta come è dalla linea concertativa e subalterna al quadro politico delle compatibilità capitalistiche; ma nell’ottica opposta dell’ampliamento dell’influenza politica dei comunisti presso le masse che la CGIL controlla, in particolare nell’industria, la cui conquista è di capitale importanza per una prospettiva socialista. Questa battaglia contro l’apparato CGIL è tanto più importante in uno scenario politico che vede la burocrazia sindacale e la sua linea di concertazione come diretto piedistallo del governo e delle sue politiche antipopolari; e che proprio per questo moltiplica le linee di frattura tra l’apparato sindacale e settori importanti della sua base. La stessa contraddizione tra CGIL confederale e FIOM, fuori da ogni illusione sulla direzione FIOM, apre un varco positivo per la battaglia antiburocratica dei comunisti. La concentrazione di nostri compagni nell’area 28 aprile (Cremaschi) con un peso non marginale è tanto più preziosa nel momento in cui essa ha acquisito – in parte nella realtà, in parte nell’immaginario pubblico – un ruolo di guida della battaglia contro la linea di concertazione.
Al tempo stesso non si tratta di assumere la Rete, nella sua attuale veste, come riferimento acritico: ma di lottare al suo interno per trasformarla in una tendenza democraticamente organizzata e strutturata, a partire dai luoghi di lavoro, e soprattutto in una tendenza sindacale anticapitalista e non semplicemente anticoncertativa, capace di assumersi pienamente le proprie responsabilità sul terreno dell’azione di massa.

Parallelamente, va sviluppata una battaglia politica all’interno degli stessi sindacati “di base” anticoncertativi. La presenza di numerosi nostri compagni all’interno di queste organizzazioni sindacali (in particolare nella CUB, nei Cobas, nel SdL, nello SLAI COBAS) è un fatto positivo. Sia per la loro obiettiva rappresentatività di un settore d’avanguardia, per quanto limitato, sia perché la politica della burocrazia CGIL può spingere verso questi sindacati, in determinati contesti, altri settori di lavoratori. Ma anche in questo caso non si tratta di adattarsi acriticamente alle loro politiche. Fermo restando il comune orientamento anticoncertativo, i militanti sindacali del PCL si battono contro i limiti del sindacalismo di base: per lo sviluppo al loro interno di un’autentica democrazia; per contrastare ogni visione di autosufficienza sindacale e ogni tendenza settaria verso lo sviluppo del movimento e le necessità della stessa battaglia anticoncertativa (v. la scelta sbagliata della CUB di boicottare la consultazione sull’accordo del 23 luglio e la sua opposizione alla nostra proposta di Assemblea nazionale dei delegati). Inoltre la battaglia per la vertenza generale deve investire non solo l’ambito CGIL ma lo stesso ambito dei sindacati di base.

Il PCL lavora al tempo stesso per il rilancio del movimento dei delegati RSU (tra l’altro rivendicando la piena democratizzazione delle stesse, con l’abolizione delle clausole di privilegio del “terzo”, i pieni diritti di assemblea e presentazione alle elezioni per tutte le sigle sindacali, ecc.). Un coordinamento permanente della sinistra larga degli eletti e nelle RSU sulla base di un programma immediato di natura classista può essere uno strumento importante di lotta antiburocratica e per lo sviluppo del movimento di massa. Ed anche un terreno prezioso di ricomposizione unitaria della stessa avanguardia sindacale, al di là dei diversi riferimenti organizzativi d’appartenenza.
Infine, pur considerando centrale la lotta nelle organizzazioni sindacali, i comunisti debbono evitare ogni tipo di formalismo. In particolare, nei momenti di ascesa della lotta, sia generali che particolari, è decisivo lavorare allo sviluppo di forme di autorganizzazione di massa, sia nella forma di comitati di lotta, sia nella forma ben più elevata, di strutture elette e controllate democraticamente (comitati di sciopero, consigli). E’ in definitiva in queste strutture, più che nelle organizzazioni sindacali, che si giocherà la battaglia dei comunisti per la conquista della maggioranza della classe. La nostra stessa parola d’ordine di Assemblea nazionale dei delegati del No agli accordi concertativi ha rappresentato, da un’angolazione particolare, una forma di approssimazione a quella prospettiva generale, per muovere anche da qui verso la prospettiva della ricostituzione di un sindacato generale di classe rappresentativo di tutto il mondo del lavoro.
(stralci del documento congresuale del PCL- per la IV Internazionale)

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