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25 aprile:“Fischia il vento infuria la bufera…”

I politici del nostro paese fanno a gara nel dichiararsi non-ideologici, anti-ideologici, post-ideologici, tanto che “professare” una ideologia sembra oggi essere diventato il reato più grave, la madre di tutte le colpe.
L’ideologia è il mondo della memoria, è l’idea che indica la meta finale e conclusiva dell’emancipazione umana, l’anti-ideologia è, invece, per sua indole, il mondo dell’oblio, del qualunquismo senza nessuna direzione.
La politica senza “ideologia”, in cui tutto si consuma di giorno in giorno in una banalità vissuta ed immediatamente dimenticata, non è il superamento dell’ideologia, ma la logica culturale del tardo-capitalismo, imperante da alcuni decenni, che ha contribuito a banalizzare la Storia distorcendola per convenienza ed opportunismo.
La Storia è diventata il discount della politica anti-ideologica che, abbandonato ogni senso di continuità e memoria, ha sviluppato un’incredibile capacità di saccheggiare la Storia stessa.
E sono proprio questi gli obiettivi che questa politica ha perseguito negli ultimi anni, in una instancabile rivisitazione falsificata della storia, che fa a pugni col buonsenso. Si veda, ad esempio, la recente proposta di legge, il decreto 1360, che chiede di mettere sullo stesso piano morale i partigiani della liberazione con i nefasti manipoli di Salò, mercenari e al servizio dei nazisti per la continuità dello schiavismo e del genocidio di razza.

Ricordare il 25 aprile per noi, che siamo “ideologici” e materialisti storici, significa innanzitutto dover restituire alla Storia la sua complessità, utilizzandola come laboratorio sociale e non certo come un supermarket dell’idea ad uso e consumo dell’attualità.

Perché il mito-menzogna degli “italiani brava gente” si è fatto strada?
Perché si avviato un progetto di delegittimazione dei partigiani?

Questi interrogativi sono tutti riconducibili ad un comune denominatore: il recupero di politiche espansioniste e imperialiste da parte dello Stato italiano (indipendentemente dal colore politico dei governi al comando). Perché, è evidente, se la memoria collettiva rimuove i crimini precedenti, diventa più facile spacciare la teoria della guerra “umanitaria”.
La delegittimazione dei partigiani è legata allo stesso percorso mentale:
se la guerra “umanitaria” si trova ad occupare un territorio per “liberarlo”, è ovvio che ci si imbatterà in oppositori, e questi oppositori sono per l’appunto i partigiani.
E’ evidente quindi che il partigiano non può essere considerato come un liberatore (in tutte le sue varianti), ma deve essere descritto dalla meta-narrazione imperialista come un “terrorista”.
Sia chiaro, non si tratta di denunciare un disegno occulto, non crediamo a trame complottiste; semplicemente prendiamo atto di un dato di fatto ineluttabile e facilmente visibile: è stata cancellata la memoria e distorta la realtà.
E per giunta si conoscono i responsabili di questa situazione. Non solo la destra erede del fascismo (oggi sdoganata e al governo con tanto di ministri) ma anche i vari esponenti politici di centrosinistra sono responsabili e complici di questo processo di banalizzazione storica al servizio della pacificazione nazionale.
E in tutta onestà, le responsabilità profonde, possono essere individuate sin dal 1945.
Questo percorso è stato possibile, infatti, perché all’indomani della liberazione si è spacciato il mito della Resistenza come esperienza nazionale condivisa.
Si è spacciata per buona l’idea che la Repubblica italiana fosse nata dalla Resistenza.

E’ vero invece il contrario, ed è necessario dirlo senza mezzi termini, la Repubblica (borghese) italiana è nata nonostante la Resistenza.
All’indomani della liberazione si è assistito ad un’autentica continuità fra lo Stato fascista e la democrazia repubblicana. Questo è necessario sottolinearlo sia per amor di verità, sia per ricordare coloro che hanno combattuto per una società diversa.
Ma anche e sopratutto per apprendere una grandiosa lezione dal passato.

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